Benassi – Baruchello: Sistemi di un binario doppio in una biennale postmodernista

Se per qualcuno il postmodernismo sembra essere morto, è difficile allora identificare la pluralità delle esperienze in questa Biennale d’Arte veneziana 2013. Non ho visto alcun funerale del postmodernismo. Coloro che invocano una narrazione capace di grandi epopee e risultati certificabili o le vedove della pittura di conforto, che ne agognano il ritorno rispetto alla varietà dei mezzi artistici, sono vittime di un malinteso. Non solo varietà di mezzi, ma pluralità di narrazioni pervadono questa Biennale.

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Si prenda Gianfranco Baruchello(1924) qui doppiamente presente: con Piccolo sistema 2012-2013 – scelto da Pietromarchi in coppia con Elisabetta Benassi per il Padiglione italiano dell’Arsenale – e con  un lavoro di sedimentazione, La Grande Biblioteca. 1976-86 ai Giardini nel grande Padiglione centrale ed enciclopedico di Gioni.

Tralasciando le antinomie dialettiche scaturite dal tema indicato da Pietromarchi – Vice Versa – come responso autoriale ed omaggio alle Categorie Italiane di Giorgio Agamben, dove il concetto filologico viene qui preso a prestito per una scelta estetica, la caratura del dettaglio in Baruchello e dell’universale in Benassi è ben comprensibile nell’accostamento dei loro diversi modi di narrare il mondo. Baruchello è l’artista che più si avvicina al principio utopico della grande torre enciclopedica di Maurino Auriti, incipit di questa 55° Esposizione Internazionale d’Arte.

Grande scultore di ceselli mentali dove però le categorie, gli schemi, e le tensioni dialettiche non danno mai tregua al principio d’individuazione che i suoi lavori sottendono, il lavoro di Baruchello (grazie anche alla importante personale del 2012 alla GNAM curata da Bonito Oliva e Carla Subrizi) è oggi chiarificato negli aspetti fondamentali del suo operato artistico sempre in bilico tra Mito e Scienza.

Il suo relazionarsi alla terra, al cibo, alle questioni sull’abitare o sulle ideologie politiche ed economiche risolte in passato con azioni di carattere situazionista (Artiflex, 1968) o attraverso film e raccolte fotografiche montate e archiviate in teche attraverso temi complementari di forte impatto mnemonico –Il Montaggio. (Welcome to Mississippi. 1975-1976)–, è come in Auriti riassumibile nella Grande Biblioteca: veicolo tematico, seppur microscopico, di pensiero, parole e azioni.

Le sue tavole e le categorie tassonomiche rientrano perfettamente in questa Biennale 2013 dove la filogenesi autoriale è rintracciabile in una linea già intrapresa storicamente da Warburg a Gerhard Richter, passando da Baruchello appunto, fino all’ultimo Godard de L’Histoire(s) du cinéma. E’, questa, una linea già prontamente individuata nel 2010 negli artisti scelti dal filosofo francese George Didi Huberman, curatore al Reina Sofia di Madrid della bellissima mostra Atlas. Como llevar el mundo a cuestas? (http://www.museoreinasofia.es/exposiciones/atlas-como-llevar-mundo-cuestas). Sono temi che trattano alla fin fine delle fondamentali urgenze umane rintracciabili e visionabili nei grandi archetipi ed ossessioni di moltissimi autori scelti oggi dallo stesso Massimiliano Gioni, che non a caso apre il suo padiglione centrale con le tavole del libro rosso di C. G. Jung.

Il lavoro di Elisabetta Benassi, TheDry Salvages, fa da contrappeso al sistema esoterico di alambicchi e ampolle che pervade l’installazione di Baruchello: se gli studi scientifici sull’eco-sostenibilità (Baruchello è lo stesso fondatore di Agricola Cornelia, cooperativa agricola, nonché studio, fondazione e residenza di artisti ) includono nell’istallazione un piccolo letto per il riposo e le sperimentazioni oniriche dell’artista, Benassi ricompatta in 10.000 mattoni l’argilla alluvionale del Polesine – teatro della disastrosa alluvione del ’51. Marchiandoli con i codici alfa-numerici usati per la catalogazione dei detriti spaziali in orbita intorno alla terra, Benassi ritorna sulla poetica che già in Marguerite Yorcenar vedeva Il tempo non come ineluttabile rovina ma come grande scultore: in un arcaicissimo mattone sta l’allegoria della ricostruzione di ciò che la natura ha distrutto.

Entrambi i lavori dunque si aprono e dialogano sulle possibilità; siano queste utopiche o sperimentabili, riferibili alla tecnologia o alla sedimentazione storica. Un’esperienza umana riassumibile nel cervello posto sul tavolo dell’installazione di Baruchello: stratificata vigile e libera.

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Fabio Pinelli è laureato in semiologia dell’arte contemporanea con una tesi sulla prassi archivistica nella storia dell’arte tedesca da Aby Warburg a Gerhard Richter. Dal 2001 si occupa di visite culturali nei musei e gallerie di Roma nonché della stesura di contributi critici per periodici specializzati e alcune mostre di artisti contemporanei. Tra le più recenti: “Fuoriluogo” appuntamenti fuori dall’(h)-abitato.

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