Intervista Edwin Jurriëns, dall’Università Melbourne. Arte e Media in Indonesia

Edwin Jurriëns

Mi affretto a svoltare su Collins Street, Melbourne, in una giornata assolata, per fermarmi davanti ad uno dei numerosi vicoletti attorno alle strade principali, dove si trova il Cafè Segovia.
E’ lì che ho appuntamento con il Dr. Edwin Jurriëns, professore in Indonesian Studies all’Istituto Asiatico dell’Università di Melbourne.
Siccome tutti i migliori caffè a in Australia sono gestiti da italiani, cerco di ignorare la decorazione con panorami veneziani sulle pareti, impegnandomi a visualizzare immagini del paese del quale a breve discuterò l’arte contemporanea, ovvero l’Indonesia.
Edwin si siede al tavolo con fare amichevole e sorridente, il capello biondo e le guance leggermente rubizze che denunciano le proprie origini fiamminghe.
Proprio pochi giorni prima il professore aveva tenuto una conferenza alla galleria MiFa, specializzata nel Sud-Est Asiatico, parlando dello sviluppo dei media in Indonesia.

Autore di molti testi che riguardano il rapporto tra arte e media in Indonesia, come From monologue to dialogue: radio and reform in Indonesia (KITLV Press, 2009) o Cultural travel and migrancy: the artistic representation of globalization in the electronic media of West Java (KITLV Press, 2004), Edwin ha focalizzato la propria ricerca sull’interpretazione artistica dello spazio urbano, della storia locale e della percezione del corpo, nonché sul potere critico che l’arte assume in contrapposizione ai media ufficiali.

Davanti una tazza di tè, chiedo ad Edwin dove sia nato il suo interesse per l’arte contemporanea indonesiana:

“Il mio interesse è cominciato in Olanda, il cui legame con l’Indonesia è piuttosto forte per via del suo passato coloniale. Lo si vede nel linguaggio, nella letteratura, nella cucina e nella presenza di una grande comunità di indonesiani di prima e seconda generazione nei Paesi Bassi.
Per me questo interesse ha riguardato inizialmente la lingua e la letteratura indonesiana. Avevo il desiderio studiare una cultura non Europea, ed il linguaggio e la cultura indonesiana sono estremamente diversificati e dinamici. Le persone sono molto ospitali, ed è un posto meraviglioso per viaggiare e fare ricerca. L’arte e la creatività sono sorprendenti, fanno parte della vita quotidiana invece di essere confinati in musei o gallerie. Tutto accade in strada, in pubblico, ed è questo l’aspetto che mi affascina di più.”

Hai studiato all’Indonesian Institute of Arts (ISI), Yogyakarta, dal 1994 al 1995 e all’Universitas Andalas a Padang nel 1992. Che ne pensi del sistema educativo Indonesiano?

“Il mio viaggio a Padang è stato il mio primo in Indonesia, e l’occasione era un programma di scambio per l’ultimo anno di università. Quindi, con gli studenti di letteratura di Leiden, siamo andati a Padang a studiare all’Andalas University per sei o sette settimana all’incirca. Principalmente volevamo avere una migliore comprensione del linguaggio, ma abbiamo fatto anche un bel po’ di escursioni e ricerca sul campo. Quella è stata la mia prima impressione dell’Indonesia, e Pandang è un’area veramente splendida, sia dal punto di vista sia naturale che culturale.”

Dopodichè, compiuti trent’anni, hai studiato un anno all’Indonesian Institute of Art in Yogyakarta.

“Pur non avendo mai avuto ambizioni artistiche per me stesso, è stato divertente imparare a dipingere e a scolpire. Per me era più che altro un modo per entrare a far parte della scena artistica locale e vedere di persona come lavoravano gli studenti. Sono rimasto impressionato da come i miei compagni d’accademia riuscivano a fare così tanto con tanto poco. Lavoravano veramente duro e si fabbricavano da soli tutti i materiali, dalla pittura, alle tele, ai pennelli, creando splendide opere d’arte. Un’esperienza meravigliosa, certo, ma anche molto dura.”

In che senso dura?

“Erano gli anni del regime di Suharto, prima dell’avvento di internet, e il sistema educativo indonesiano non era molto sviluppato. Essendo uno studente straniero, far parte della comunità locale non era sempre semplice.
La gente mi chiedeva: com’è che sei venuto qui a studiare, l’educazione in Europa è assai meglio, che ci fai qui? Dovevo spiegargli ogni volta. E anche l’esperienza di vivere a Yogyakarta da studente straniero è stata dura. Si ci ammala molto facilmente. Ne ho passate tante…”

 

Hai avuto modo di notare delle differenze tra il sistema educativo in Indonesia durante la dittatura di Suharto e dopo?

“Senz’altro; adesso c’è molta più apertura e gli scambi tra studenti stranieri e locali sono molto più rilassati. Da entrambe le parti la gente è molto più informata e se qualcuno viene da un altro paese è considerato assai meno esotico che in passato, il che è sicuramente d’aiuto.
Certamente ad un livello personale la gente è sempre stata molto aperta e molto creativa, anche sotto Suharto. Ma adesso c’è più libertà d’espressione, e questo si riflette non solo nel clima politico ma anche in quello sociale.
Di tanto in tanto scoppiano tensioni tra varie ideologie e gruppi religiosi, ma penso che in generale adesso sia molto più semplice per gli artisti dire la propria.”

Dunque il cambiamento è stato visibile anche in arte. Pensi che dopo la caduta di Suharto il modo di lavorare degli artisti Indonesiani sia cambiato?

“Certamente. Le opere, tanto per cominciare, sono molto più esplicite. Alcune persone in qualche modo rimpiangono le restrizioni in quanto queste costringevano gli artisti ad essere molto inventivi e creativi. A volte certa gente parlando della situazione attuale si lamenta delle distrazioni che circondano gli artisti e del fatto che questi abbiano perso potenza comunicativa e non riflettano più sul loro fare artistico. Io però non sono d’accordo, penso che ci siano un mucchio di nuove opportunità per esprimersi e nuovi media da sperimentare.”

Pensi che la politica influenzi ancora l’arte indonesiana come in passato?

“Nonostante le critiche della vecchia generazione rispetto alla nuova per il loro scarso interesse nella politica, ho scoperto tramite la mia ricerca sull’arte contemporanea indonesiana che la politica è sempre presente, solamente è espressa in modo molto più sottile. Nonostante la libertà di espressione relativamente nuova, gli artisti decidono di esprimersi in maniera più indiretta, tramite problematiche identitarie, di genere, d’etnia e raccontando una storia del paese precedentemente celata. Penso che la politica sia presente addirittura di più che in passato, ma che si esprima in maniera meno esplicita. Insomma, niente più manifesti volti a cambiare il mondo.
Lo si può notare come tendenza generale nell’arte contemporanea: l’utopia viene trattata come micro-utopia. Si tratta di trovare soluzioni pratiche per problemi su piccola scala, invece che cambiare la società con una rivoluzione. La volontà di migliorare il proprio futuro è sempre presente, ma il percorso si realizza attraverso la risoluzione dei piccoli problemi con cui la gente ha a che fare nelle proprie vite quotidiane, come l’ambiente o lo sviluppo urbano. Si tratta di considerare solo una piccola parte del problema invece che rivolgersi a grandi ideologie, cercando nuove idee e proposte. Penso che stia qui la grande differenza delle giovani generazioni rispetto alle precedenti. Non è vero che non c’è più consapevolezza politica.”

Hai parlato di maggiore libertà espressiva, questo vuol dire che la censura non è più un problema in Indonesia?

“La censura non è più propugnata dallo stato, ma i media adesso sono quasi tutti privatizzati e quindi orientati al commerciale. I giornalisti si lamentano di non potersi più esprimere liberamente perché le loro parole in alcuni casi potrebbero danneggiare gli interessi del padrone dei media per il quale lavorano, e molti di questi padroni hanno anche ambizioni politiche. E’ un tipo di censura diversa.
Ci sono anche alcuni gruppi sociali e religiosi che possono essere piuttosto intimidatori ed aggressivi. Gli artisti non possono dire quello che vorrebbero al cento per cento perché sanno quale potrebbe essere la reazione dei gruppi fondamentalisti. In questo senso la censura esiste ancora.
In ogni caso gli artisti ora sono molto più liberi che in passato, lo si vede da come cominciano a parlare di argomenti precedentemente tabù, come lo sterminio dei comunisti del ’65.
Anche a confronto con altri paesi, come Singapore e la Malesia, l’Indonesia è molto più libera.”

Pensi che l’arte contemporanea in Indonesia costituisca un punto di ritrovo per la comunità o si relazioni ad uno status sociale?

“C’è un po’ di tensione e divario tra due differenti mondi dell’arte in Indonesia, quello commerciale e quello più impegnato socialmente.
Mi chiedo cosa avverrà in futuro, perché il bersaglio principale fino a poco tempo fa era la pittura, che ha avuto un successo incredibile in Indonesia. Molti giovani pittori sono diventati estremamente benestanti nell’ultimo decennio e il modo di reagire di altri artisti rispetto a questo sviluppo è stato utilizzare diversi tipi di media che sono più difficili da vendere, come le istallazioni, la video art, i graffiti. Adesso però anche questi media hanno cominciato ad essere commerciati, nonostante questo snaturi il significato delle opere stesse.
Sembra che i nuovi collezionisti siano aperti anche a nuove forme di creatività. Questo potrebbe essere negativo, ma io sono abbastanza fiducioso in sviluppi positivi.
Alcuni artisti ad esempio si dedicano a progetti commerciali per guadagnare denaro da investire in progetti indipendenti.”

In questo contesto pensi che la tradizione sia ancora viva, arrivando naturalmente e direttamente agli artisti, o che venga più che altro ricercata?

 “Penso che la tradizione arrivi abbastanza naturalmente. Certa gente critica l’arte contemporanea cinese per esempio accusando gli artisti di essere troppo coscienti di essere “artisti contemporanei cinesi” e forzandosi di includere un qualche tipo di riferimento alla tradizione locale, ma penso che in Indonesia tutto ciò avvenga in maniera piuttosto naturale e in maniera molto sottile.
Non si tratta solo del contenuto dell’arte stessa o dell’utilizzo di certi simboli, ma riguarda soprattutto il processo di produzione di un’opera.
Spesso si assiste ad una partecipazione collettiva, e in questa partecipazione si sente l’eco della tradizione, che dunque non viene espressa in maniera esplicita o conscia.”

Su cosa si sta concentrando la tua ricerca al momento?

“Mi sto focalizzando su gli artisti new media e credo che questo unisca tutti i miei campi d’interesse, studiando i media, l’arte, il linguaggio e la letteratura.
Da un punto di vista dei media tutti questi artisti forniscono un’alternativa ai media mainstream, i quali non azzardano mai critiche e mancano di qualità e diversità, per il problema del monopolio di cui parlavo prima.
Gli artisti spesso usano il proprio lavoro per proporre nuove idee e criticare la situazione attuale, specialmente per quanto riguarda la televisione. Alcuni di loro sono impegnati in progetti televisivi per la comunità e non è chiaro se siano attivisti mediatici o artisti. La cosa interessante è che in questo tipo di iniziative i ruoli non sono più distinti, è tutto molto fluido. Questi ruoli sono sempre stati sfumati in Indonesia, un artista può essere un compositore, un architetto, un pittore, un giornalista e un attivista allo stesso tempo.
Un’altro aspetto che mi interessa molto è quello dell’innovazione puramente estetica. La new media art in Indonesia è molto interattiva ed usa la tecnologia, il video, internet e la partecipazione del pubblico. Al momento questi sono gli ambiti di indagine sui quali si concentra la mia ricerca.”

Naima Morelli sta lavorando ad un libro sull’Arte Contemporanea in Indonesia, mirando a mostrare perché l’arte contemporanea prodotta in Indonesia non può essere etichettata semplicemente come “indonesiana” e allo stesso tempo rintracciando le peculiari e diversificate influenze derivanti dal contesto “Indonesia” sull’arte contemporanea stessa.

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Naima Morelli è una critica e giornalista specializzata in arte contemporanea nel Sudest Asiatico e Medioriente, ed è un'autrice di graphic novel. Scrive regolarmente per Middle East Monitor, Middle East Eye, CoBo, ArtsHub, Art Monthly Australia e altri. Collabora con gallerie asiatiche come Richard Koh Fine Arts, Lawangwangi Creative Space, Tang Contemporary con testi critici e come liason tra Italia e Sudest Asiatico. E’ autrice di due libri-reportage intitolati “Arte Contemporanea in Indonesia, un’introduzione” e “The Singapore Series”. Sotto lo pseudonimo “Red Naima” ha pubblicato le graphic novel “Vince Chi Dimentica”, incentrato sulle tensioni artistiche di inizio ‘900, e “Fronn ‘e Limon”, realismo magico all’italiana.

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