La Sirena, storia di mito e bellezza pericolosa nel Costume, nella Cultura e nelle Arti visive. #1

La Sirena, quel dolce abbandono ma assai pericoloso e letale, tanto ben raccontato da Omero nell’Odissea, è un personaggio della mitologia classica indicato come una giovane e prosperosa donna nella parte superiore del corpo e di pesce nella parte inferiore.

La coda squamata talvolta la precede, nelle acque del mare, o ne indica un suo passaggio che si manifesta a un pubblico esclusivamente maschile. E non è un caso, come vedremo…

Inizialmente, era raffigurata come donna-uccello, come si può vedere per esempio nella bella decorazione di un piatto del VI secolo a.C. oggi al Museo Louvre a Parigi, che serba anche una statua funeraria del I sec. a.C., da Myrina; e si vedano la statua in marmo pentelico, rinvenuta presso la necropoli del Ceramico (Atene) e risalente al IV secolo a.C., oggi conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene, oppure un’antica anforetta istriana a forma di sirena alata.

Raffinatissimi sono la pittura vascolare del mito di Ulisse (British Museum) e, in tempi meno remoti, l’inquietante olio su tela Sirin i Alkonost del russo Viktor Michajlovič Vasnecov (datato 1896 e conservato alla Galleria Tretjakov di Mosca).

Tale personificazione pennuta della Sirena – da non confondersi con la Nike, di buon auspico  – era connessa alla decisamente meno affascinante e tempestosa Arpia, dal volto femminile e corpo da rapace, e il suo passaggio dal cielo all’acqua resta intricato, come pure la sua personalità, che è anche assai ambigua.

La Sirena è, infatti, duplice, sia nell’aspetto che nell’indole: attira con la propria avvenenza e i gorgheggi cristallini, straordinari e ammalianti i naviganti, incantandoli ma poi conducendoli verso gli scogli rocciosi delle isole, al naufragio e a morte certa.

Questo essere non è quasi mai isolato ma agisce più comunemente in piccolo branco, come a testimoniare quanto l’unione (femminile) faccia la forza: una forza, in questo caso, capricciosa e spietata che tramuta la grazia in orribile realtà.

La sua origine leggendaria è incerta e per certi versi evoca i Tritoni. Alcuni miti greci identificano le Sirene come figlie del dio fluviale Acheloo e di Mnemosine, o della musa della danza Tersicore, o di Calliope, oppure di Sterope, lontana discendente di Zeus; altri testi le vogliono generate da alcune gocce di sangue di Acheloo o del suo corno spezzato, altri ancora ce ne restituiscono una storia che giustifica, in parte, la loro ferocia, indicandocele come vittime di punizioni esageratamente crudeli: così trasformate o da Demetra, che le condannò per la loro incapacità di evitare il ratto della figlia Persefone da parte di Plutone, o dalle Muse, come pegno per averle sfidate in una gara di canto che esse persero.

Un’altra storia, pure legata alla metamorfosi, le vede sanzionate da Afrodite per la loro scelta di allontanarsi dai piaceri carnali: la dea le rese metà pesci e le esiliò sull’isola di Antemoessa (che significa fiorita) corrispondente probabilmente a Ischia o a Capri, che forse non a caso ha un suo scoglio dedicato.  Fu qui davanti, secondo la narrazione epica, che Ulisse riuscì a resistere al loro richiamo amoroso, facendosi legare all’albero della sua nave con le orecchie tappate con la cera. Vivevano forse qui, nell’isola dei baci, le Sirene? Anche questo è un mistero…; tra le altre ipotesi romanzesche, riconoscendo Partenope con una Sirena, era Napoli o il suo golfo e le isole a nascondere queste erinni al mondo, pronte a manifestarsi quando inevitabile. Si veda, a questo proposito, un’incisione del Settecento con una Sirena – Partenope regale ma ancora alata, come lo è quella nella Fontana di Spina Corona o di Santa Caterina, copia dell’originale attribuita allo scultore Giovanni Merliano da Nola, che la restaurò nel 1540 per volere del Vicerè don Pedro di Toledo, e ubicata in Via Giuseppina Guacci Nobile a Napoli; o si ammiri un’altra incisione, più minuziosa, di anonimo napoletano che, ancora nel Settecento, raffigura l’area di Paestum completamente in balìa di Sirene. Oppure, si riteneva un altro famoso centro del loro culto il Tempio delle Sirene a Sorrento – più probabilmente dedicato a Minerva, ma il dibattito sull’identificazione del sito di Punta Campanella è ancora aperto –, forse motivando tale credenza con le difficoltà della navigazione delle bocche di Capri…

Altre supposizioni vogliono la casa delle Sirene nelle regioni vicine allo Stretto di Messina, più precisamente a Scilla e Cariddi, o sotto l’Etna, in area limitrofa a Catania, al Capo Posidonio, dove si professava il culto della Sirena Leucosia, oppure a Terina, ove si venerava la Sirena Ligea. V’è uno Scoglio delle Sirene anche nell’arcipelago delle isole Eolie, vicino a Vulcano…

Quel che sembra certo, tra tante teorie incerte, è che le Sirene paiono create da una mescolanza dei miti greci con quelli nordici penetrati attraverso i popoli che invasero l’Impero romano; le straordinarie Ondine del folklore germanico, a ben guardare, non casualmente hanno molto in comune con le Sirene (si vedano Ondina di John William Waterhouse, 1872; Dans les vagues, ou Ondine di Paul Gauguin, 1889, Cleveland Museum of Art, USA; Le Ondine del campano, Castellammare di Stabia, ma veneziano quasi d’adozione, Ettore Tito, 1919, collezione private; o quella nel dramma teatrale di Jean Giradouxche che ebbe tra i suoi interpreti anche Audrey Hepburn e un suo marito, Mel Ferrer).

In tante altre tradizioni si rintracciano personaggi che hanno con esse similitudini, diversamente declinate e con caratteristiche più o meno pacifiche.

Quel che permane, in ogni narrazione, tempo e cultura, è il concetto che esse richiamano, che giunse sino a noi: quello della doppiezza – che è anche nella loro coda – parte integrante del loro fascino misterioso da Dark Ladies; sono quasi due facce della stessa medaglia: una apollinea, l’altra dionisiaca; sempre libere, gloriose, indipendenti e mai vittime.

Le Sirene sono diventate porzione dell’immaginario collettivo (si vedano, tra i più disparati esempi, un’antica gemma in corniola con Sirene musicanti e Ulisse e i marinai; una cartolina vintage russa illustrata dall’artista tedesco Herman Göhler e le tante Sirene decorate e che danno nome a stabilimenti balneari); esse sono emblema sia del mare e della sua attrattiva ma anche della sua estrema pericolosità, sia della Bellezza e, per estensione, del Sesso: elementi indicati come, allo stesso tempo, invoglianti e insidiosi.

La sensualità è, del resto, punto fermo delle varie riproduzioni della Sirena: guardando le languide interpretazioni in alcune foto (1927 e 1928), per esempio dello Studio / Atelier Manassé (fondato dai coniugi Olga Spolarics e Adorjan Wlassics, fu attivo a Vienna tra il 1922-1938 tra avanguardia e licenziosa raffinatezza), le caratteristiche sono manifeste e conturbanti.

La Sirena è evidentemente un archetipo muliebre primordiale, calato in quella visione che contrapponeva uomini e donne; in ogni letteratura soprattutto europea è incarnazione di femmina che strega e seduce con la propria grazia e il dolce canto (cfr. Dante, Purgatorio, XIX, 19-21).

Come ibrido, ricorda quanto la natura possa essere manipolata, manipolabile e infinitamente imprevedibile, così come possono essere infinite le sue sfaccettature: in quest’ottica, il suo significato recondito si apre ad accogliere riferimenti di genere (e talvolta conditi di stranezza, come la storia dell’americano classe 1990, Eric Ducharme, l’uomo che “si crede una sirena”).

Come ogni figura antropologica, la penetrazione simbolica della Sirena è stata ed è enorme, reticolare, attualizzata alla bisogna e diventata tòpos; talvolta, forma e significato sono germinati in maniera imprevedibile, stravolti e sfruttati in modo altro.

Così, ecco foto e rèclame correre a impiegare questo stereotipo: Levi’s e Campari, solo per citare alcuni marchi; o campagne pubblicitarie, per esempio della Disney; tutte, vantano spesso nomi di autori celebri: il francese e poliedrico Michel Gondry per Levi’s, la fotografa americana Annie Leibovitz per la Disneyland Resort .

Anche i mondi del Beauty, del Fashion e della Moda non hanno perso occasione di usare questo prototipo per molta produzione sia da mare, sia intima (come i corsetti a la sirène, del Novecento e la fattura della lingerie francese La Sirène individuata attraverso grafica pubblicitaria anni ‘50 e ‘60) che da sera: chi non rammenta i fascianti abiti-sirena, per esempio di Rita Hayworth nel film Gilda (1946 diretto da Charles Vidor) o di Marilyn Monroe e Jane Russell nel film Gli uomini preferiscono le bionde (1953 di Howard Hawks)? Cinema ma non solo: la campionessa di nuoto americana Esther Williams, resa celebre come attrice cinematografica in film musicali che prevedevano spettacolari coreografie di nuoto e tuffi, fu ribattezzata Mermaid e come agile sirena eretta a imperitura memoria.

Altri settori hanno utilizzato l’immagine della Sirena per farne oggetto di desideri infantili e adolescenziali ma anche recando quel tanto di fascino per adulti: lo riscontriamo in certi prodotti dell’industria del Giocattolo, dei Videogiochi, dei Comix e delle Anime; per non parlare della Street Art, della cosiddetta Tatoo-Culture e di tanta creatività off, compresa quella Hard.

Talvolta, quindi, la leggenda si piega allo star-system, allo spettacolo e alla musica – dalle Gemelle Kessler di Le Sirene siamo noi Madonna a Lady Gaga e a Katy Perry –, ammantandosi di qualche ironia, come nella commedia cinematografica: si vedano film come Mr. Peabody and the Mermaid del 1948, stesso anno di una improbabile versione di Tarzan, precisamente con Johnny Weissmuller e Linda Christian in Tarzan e le Sirene, o nei più recenti Splash – Una Sirena a Manhattan del 1984, firmato da Ron Howard e con una Daryl Hannah mozzafiato, e Sirene, del 1990, di Richard Benjamin, con Cher, Bob Hoskins, Winona Ryder, ma anche in Aquamarine (2006)…; hanno fatto una capatina anche nella saga dei Pirati dei Caraibi, in molta televisione (2003) e, naturalmente, in film d’animazione dalla Walt Disney (La sirenetta / The Little Mermaid del 1989 diretto da John Musker e Ron Clements).

 

La sirena ha sempre in sé qualcosa di fiabesco, diventando, con Hans Chrisian Andersen un vessillo di un popolo e fissato a Copenaghen dalla scultura di Edvard Eriksen e datata 1913.

Chissà che anche un fotografo come Pierluigi Praturlon e un regista come Federico Fellini non abbiano pensato al mito dell’incantatrice marina quando hanno reso immortale Anita Ekberg nell’ormai storico bagno nella Fontana di Trevi capitolina reiterato per sempre ne La dolce vita (1960).

La popolarizzazione somma del mito è celebrato nella città di Weeki Wachee, in Florida, ribattezzata, anche per i suoi spettacoli acquatici, delle Sirene, e diventa un po’ trash con l’apertura – udite udite – di un’accademia dove imparare a nuotare come… vere Sirene, con tanto di costumi con coda colorata ad inguainare le gambe. Fondata nel 2012 nell’isola di Boracay, questa scuola molto particolare è stata aperta poi a Manila da Djuna Rocha e Normeth Preglo!

Nella Cultura il mito della Sirena si esprime in molti modi ed è nelle arti visive che sembra dare il meglio di sé. Mai muta, poiché, come scrisse in un suo racconto Kafka, ciò che è più orribile da tollerare è proprio il silenzio della Sirena.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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