La Potenza della delusione. Intervista a Maurizio Savini

“Stavo simpatico anche a Mario Merz, che conobbi grazie al gallerista Mario Pieroni, ma non gli dissi mai che ero un artista. Volevo la sua attenzione e sapevo che non gli interessava parlare con i colleghi, perciò discutevo alle cene con lui di storia o di cultura. Se gli avessi confessato che facevo il suo stesso lavoro mi avrebbe liquidato con un grugnito.”

La dedizione al mestiere, la curiosità perenne per le cose e una serie di incontri interessanti hanno segnato il percorso di Maurizio Savini fino alla sua personale al Complesso del Vittoriano a Roma dal titolo Potenza della Delusione, e che raccoglie lavori realizzati tra il 2000 e il 2013. Per allestirla gli è toccato congedare per un po’ i manichini con le camicie rosse e i cimeli del Museo del Risorgimento e sostituirli con le sue creature che, al contrario, sono l’esatto opposto del monumento, della celebrazione. Come la sua statua di Putin che fa yoga.
All’artista romano chiediamo:

Che cosa ti interessa di queste figure politiche dell’attualità?

“Mi interessa il fatto che alcuni personaggi politici del presente, a mio parere, non saranno mai ricordati nella storia. Gli verranno dedicate al massimo tre righe. In questo modo, rappresentandoli nelle mie sculture, voglio andare contro all’idea di monumento. Un po’ come è accaduto alla statua di Saddam Hussein, tirata giù dall’esercito americano.”

La mostra, curata da Giulia Abate, è stata anche fortemente voluta dalla Galleria Mucciaccia e, nel catalogo, uno scritto dello stesso Savini in merito alle sue opere recita: “…ho la possibilità di segnare un punto di non ripartenza, un luogo esatto dove si ritrova la memoria propria e collettiva.”

La politica, a partire dallo scorso secolo, ha tentato di comunicare volendo divenire archetipo, costruendo immagini anche dei propri leader. Salvador Dalì scrive nei suoi diari di quanto sia sempre stato affascinato dalla pinguedine di Hitler, “dai suoi fianchi bianchi e grassocci”. Così, nelle sculture di Savini, la morbidezza del chewingum ripropone immagini dell’inconscio: l’uomo, l’animale, l’oggetto. Lo si vede nel broker che lava i panni nella scultura La sindrome di Pilato (che avevamo visto nella precedente mostra personale Tomorrow, alla galleria Oredaria di Roma nel 2009), o la testa di maiale de Il solito stupido ritratto del capitalismo.

Parliamo, ora, dei tuoi inizi, Maurizio: quali artisti della scena romana sono stati importanti per la tua formazione?

 “Io sono stato per molti anni assistente di Gianni Dessì. Anche quando ho iniziato a fare le prime mostre ho continuato a lavorare con lui perché non mi pesava aiutarlo dalle nove all’una. Gianni è molto disordinato, io gli preparavo delle tele, gliele sporcavo come andavano sporcate in modo che poi potesse lavorarci da solo il pomeriggio. E’ stato importante a livello di scambi. Anche perché, ad un certo momento, fui io a suggerirgli l’utilizzo di materiali nuovi come le resine e lui accettò i miei consigli con molta apertura.”

Poi seguì il lavoro come scenografo teatrale su disegno di Toti Scialoja per lo spettacolo La mela di Amleto e ancora l’invito, nel 1999, da parte di Ettore Spalletti, a partecipare al progetto Riunione Mondana, curato dall’associazione culturale Zerynthia.

“Toti Scialoja era bello anche solo sentirlo parlare. Lo conobbi che era già anziano e venne a vedere alcuni miei lavori. Appena vide i miei quadri mi consigliò subito su quali dovevo lavorare.”

Savini sviluppa anche una notevole capacità di capire e gestire gli spazi, una dote che gli è stata utile per questa recente personale, in cui si è preoccupato di far dialogare le sue sculture anche con degli sfondi, le sue planimetrie con lampadine che assorbono il concetto di tensione.
Se l’opera di Maurizio Savini fosse Poesia, avrebbe superato l’idea della parola intima, viscerale come un fossile (come era quella di Paul Celan o altri poeti della seconda metà del Novecento proprio in relazione alla tragedia del Nazismo) e sarebbe approdata a un voler costruire un discorso partendo dall’esterno delle cose, come forse si comporta la lirica contemporanea. E questo non è un caso:

“Il mio lavoro è stato sempre molto legato alla Poesia e ai poeti. Ho collaborato in passato con Daniele Pieroni e una delle prime mostre che ho fatto, nel 1994, aveva il testo critico del poeta Enrico Gallian, mio grande amico che purtroppo in seguito morì suicida. Per l’occasione mi dedicò anche un suo scritto. Ecco, te lo leggo:

“O, le piume/ O, gli aerei esuberi!/ O, pittura il volto scompagina capoversi,/ arrotonda profilo assetato,/ scuoia loro pelle nel segno della parola…”

Dando uno sguardo all’attualità, come ti sembrano i giovani artisti italiani?

“Mi sembra che ci siano dei ragazzi davvero molto bravi. L’Italia però è un posto dove accade tutto in maniera un po’ casuale. Il grosso del lavoro di qualità è svolto dai privati e, di conseguenza, gli artisti più gettonati sono il più delle volte quelli che hanno alle spalle i privati più in gamba.”

Per un verso, nulla a che vedere con la capacità degli americani di commercializzare qualsiasi attività umana, anche le performance con Lady Gaga. Dietro però c’è il loro sistema che anche Savini ha schematizzato nel suo Organigramma dell’Arte, dove attorno all’artista sono schierati una serie di consulenti creativi e manager affinché ogni scelta sia calcolata.
Per tornare alla lingua, Savini realizza un mappamondo con su scritti dei versi di Beckett.

Come sei arrivato a scegliere le parole di Beckett per questo lavoro?

“In realtà avevo in mente anche altre frasi da poter inserire, tra cui alcune parole di Greg Graffin, cantante del gruppo punk dei Bad Religion che io amo molto. Graffin, oltre ad essere un musicista, è professore di biologia presso varie università americane. Poi, mi capitò di vedere il cortometraggio Film, interpretato da Buster Keaton e sceneggiato dallo stesso Beckett, così presi dalla mia libreria il suo testo L’immagine senza lo spopolatore e trovai questa poesia. Io sono convinto di avere un dono, quello di aprire sempre i libri alla pagina giusta.”

Che farei senza questo mondo senza faccia né domande
dove essere non dura che un attimo dove ogni istante
si versa nel vuoto nell’oblio di essere stato
senza quest’onda dove alla fine
corpo e ombra sprofondano insieme…

Il cursore diretto sulle immagini visualizzerà le didascalie; cliccare sulle stesse per ingrandire.

Info mostra

  • Maurizio Savini
  • Potenza della delusione
  • Roma Complesso del Vittoriano
  • fino al 15 settembre
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Donato Di Pelino (Roma, 1987) è avvocato specializzato nel Diritto d’autore e proprietà intellettuale. Scrive di arte contemporanea e si occupa di poesia e musica. È tra i fondatori dell’associazione Mossa, residenza per la promozione dell’arte contemporanea a Genova. Le sue poesie sono state pubblicate in: antologia Premio Mario Luzi (2012), quaderni del Laboratorio Contumaciale di Tomaso Binga (2012), I poeti incontrano la Costituzione (Futura Editrice, 2017). Collabora con i suoi testi nell’organizzazione di eventi con vari artist run space.

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