Lo Sferisterio del gioco perduto. La palla col bracciale

Lunga vita allo Sferisterio. Dalla palla col bracciale alla musicultura, tra opera e jazz.

Arrivati a Macerata, in un viaggio alla ricerca della conoscenza, oltre quella ormai scontata dei Grand Tours, ci siamo trovati appena fuori le mura, alla presenza di uno dei più famosi Sferisteri italiani, sopravvissuto alle nuove mode sportive del ‘900. “Se non vedete lo Sferisterio non avrete visto Macerata” ci ha ammonito un maceratese, voce della città. Ed una guida documentata ed appassionata ci ha introdotto al pregevole monumento ed al gioco antico della palla col bracciale.

Le dimensioni di uno Sferisterio, un anfiteatro particolare per quel gioco famosissimo nell’ ‘800, sono comunemente di 100×20 metri lineari, diviso longitudinalmente da una corda, in due parti identiche, funzionali per le battute e le ribattute della palla. Nella diagonale dell’emiciclo o semicerchio, veniva realizzato il muro di fondo, altezza tra i 15 ed i 20 metri. Una difficile opera architettonica dal punto di vista della statica perché senza appoggi, per cui il muro veniva spesso reinventato utilizzando le mura castellane. Il muro doveva di norma essere allineato come schermo a ponente per impedire che i raggi delle ore pomeridiane (di gioco) potessero infastidire la vista dei giocatori.

Il gioco si svolgeva tra due squadre di tre giocatori (battitore, spalla e terzino) con un pallone di cuoio (diametro di 12 cm. e peso di 350 grammi) che veniva colpito con un bracciale di legno durissimo di sorbo, munito all’esterno da sette file di denti di corniolo. I giocatori vestivano di bianco con casacca piena di pizzi, mancante della manica destra, calzoni fino al ginocchio, con alla vita una sciarpa di colore rosso o azzurro. Un mandarino tirava la palla verso un battitore, che prendendo la rincorsa su uno scivolo, colpiva ed inviava la stessa sul muro per farla rimbalzare sul campo opposto. Dai giocatori di questo campo, la palla direttamente o dopo un rimbalzo, veniva tirata di nuovo sul muro per farla ritornare sull’altro campo. Perdeva chi non faceva superare al pallone la linea mediana ed i punti si contavano come nel tennis (quindici per quindici) con la partita vinta a 60 punti. Ancora più bravo chi riusciva a mandare la palla oltre tutto il campo di gioco come nel baseball. C’erano grandi campioni di forzuto aspetto con paghe stratosferiche ed un pubblico attento e tumultuoso che si azzuffava e si rovinava con le scommesse.

La guida ci informa che lo Sferisterio di Macerata è una delle opere più significative del tardo Neoclassico europeo, commissionata dai notabili della città, doveva valere anche come arena per una variopinta giostra con i tori, con cattura, doma e distribuzione della carne stessa al popolo entusiasta. Eravamo soli in quel grande spazio costruito, realizzato nel 1929 da Ireneo Aleardi, a guardare ammirati la immensa arena di 90×36 metri lineari ed il muro rettilineo di fondo alto 18 metri e lungo 90. Molto impressive le 56 colonne doriche che sostengono i palchi, tra cui quello reale, che si concludono con una balconata in pietre che fa da cornice. Con una grande visibilità da ogni lato ed una perfetta acustica. La guida intanto parlava della decadenza della palla col bracciale agli inizi del ‘900, con l’arrivo del football dall’Inghilterra, uno sport più pedestre ma più spettacolare con 22 personaggi invece dei soli 6, e della nascita degli stadi che spostavano gli spettatori.

Da allora gli Sferisteri si convertirono ai giochi circensi, al teatro, all’opera, alla musica. Lo Sferisterio di Macerata ad esempio fu trasformato in teatro all’aperto, con un grande palcoscenico, buca per l’orchestra, poltrone e sedie sull’erba. Trasformato nel 1921 in “Macerata Opera” ospitò una fantasmagorica Aida con mille figuranti. Nel 1927 un concerto del tenore di Recanati Beniamino Gigli. Poi tante opere con rappresentazioni classiche od originali (l’Otello, Madame Butterfly, La Bohème dell’estemporaneo regista Ken Russel). La guida ha cercato con il suo entusiasmo di farci immaginare una Traviata con una messa in scena moderna ed innovatrice, caratterizzata da una grande parete verticale inclinata di superfici riflettenti, che rimandava come uno specchio la scena, i cantanti, il pubblico e la grande fuga di colonne dalla gradinata ai palchi più alti, con un grande effetto di partecipazione. Geniale creazione di illusioni.

Mentre uscivamo, l’immaginazione spinta dalla curiosità non ci ha abbandonato e guardando per l’ultima volta l’alto muro di battuta abbiamo sentito echeggiare i colpi della palla di cuoio nel silenzio di uno Sferisterio, ormai vuoto del suo scopo, ma a Macerata ancora utile e funzionante per nuovi spettacoli.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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