Anton Kusters – Yakuza nel circuito di Fotoleggendo 2013

Nella sala espositiva di Officine Fotografiche l’odore di paglia intrecciata con il giunco dei tatami stesi a terra e la leggerezza della carta di riso sospesa, citazione delle tradizionali pareti shoji giapponesi, acutizzano la percezione sensoriale nel percorso intimo che il fotografo belga Anton Kusters (Genk 1974) ha realizzato prevalentemente a Tokyo, nel quartiere a luci rosse di Kabukicho a Shinjuku. Il soggetto (che dà anche il titolo alla mostra) è eloquente: yakuza, la mafia giapponese.

Oltre che essere un libro (Odo Yakuza Tokyo è stato pubblicato nel 2011), Yakuza è la prima ed unica tappa italiana, nonché mostra inaugurale della IX edizione di Fotoleggendo – “Ad occhi aperti” – diretta per il secondo anno da Tiziana Faraoni.

Anton, in realtà, cercava l’occasione per tornare più spesso in Giappone, dove vive il fratello Malik con la famiglia, e ne stava parlando con lui, esperto di marketing, in un bar di Tokyo quando entrarono alcuni yakuza, riconoscibili dal look da “old American gangster” e dall’atmosfera di tensione che li circondava. “Parlarono con il barman solo per pochi minuti, poi uscirono. Io e Malik ci guardammo. Ecco la “scusa” che cercavamo per collaborare ad un progetto comune!”.

Un motivo personale e una coincidenza fortuita portano, perciò, Anton Kusters a intraprendere tra il 2009 e il 2011 un progetto imprevedibile.

“C’è voluto quasi un anno di negoziazione, da aprile 2008 a febbraio 2009, prima che iniziassi il lavoro.” – spiega il fotografo – “Solo dopo l’accordo ho potuto seguire i membri della famiglia che controlla il distretto a luci rosse e fotografarli per due anni. Hanno accettato perché hanno capito l’onestà del mio lavoro, che voleva essere artistico con la produzione di un libro e di una mostra e non un reportage giornalistico.”

Anton entra in punta di piedi nei vicoli dell’area di Kabukicho, una zona piuttosto limitata ma significativa perché è tra le più antiche della città.

Quasi tutto succede lì, nelle sue fotografie, tranne quando si reca con il clan sulla spiaggia, nei campi segreti d’addestramento o durante le visite alla prigione di Niigata.

“Non ho giudicato, ma semplicemente guardato e fotografato.”

L’accordo stabilisce anche la distanza tra l’autore e il soggetto, proporzionale alla fiducia reciproca.

“Ogni settimana ci incontravamo e mostravo loro ogni fotografia. Insieme abbiamo visto il lavoro crescere e prendere forma. Ma entrambi sapevamo che nessuno dei due lo poteva controllare completamente, per cui doveva esserci rispetto. Siamo stati realistici. Loro volevano avere il libro come ricordo di famiglia, mentre io, naturalmente, volevo vedere concretizzato il mio lavoro artistico. Per due anni abbiamo visto le foto una ad una, ma non c’è stato un “no” né da una parte, né dall’altra.”

Il bianco e nero, linguaggio solitamente usato da Kusters, in Yakuza è stato abbandonato. “Non è stata una scelta.” – precisa l’autore – “E’ stato un feeling. Avevo appena iniziato il lavoro in bianco e nero quando, fotografando l’uomo nell’auto, ho scoperto quel blu fantastico che mi ha fatto decidere di usare una palette di colori. Così ho cominciato a pensare in termini cromatici. Anche se l’uso del colore è comunque molto leggero.”

Tra i tanti momenti e gesti di un quotidiano in cui vita e morte procedono a ritmi serrati, fotografare le ritualità del funerale hanno rappresentato per l’autore il momento più curioso e, allo stesso tempo, intimo.

“I giapponesi praticano diverse religioni, dallo scintoismo al cristianesimo, ma la maggior parte dei funerali che ho visto erano buddisti. Il rituale dura parecchi giorni e si svolge nei santuari. Il corpo del defunto viene bruciano, ma le ossa vengono prese con dei bastoncini e messe nell’urna, che viene poi consegnata ai parenti più stretti. Da noi si conservano solo le ceneri, per questo sono rimasto sorpreso di come sia intimo, triste e profondo questo momento di passaggio nella cultura giapponese.”

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Info

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Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arti visive sulle pagine culturali de il manifesto (e sui supplementi Alias, Alias Domenica e L’ExtraTerrestre), art a part of cult(ure), Il Fotografo, Exibart. È autrice dei libri A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (Postcart 2011); A tu per tu con grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (Postcart 2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (Postcart 2013); A tu per tu. Fotografi a confronto - Vol. IV (Postcart 2017); Isernia. L’altra memoria (Volturnia Edizioni 2017); Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (Postmedia Books 2019); Jack Sal. Chrom/A (Danilo Montanari Editore 2019).
Ha esplorato il rapporto arte/cibo pubblicando Kakushiaji, il gusto nascosto (Gangemi 2008), CAKE. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (Postcart 2013), Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (Ali&No 2015), Jack Sal. Half Empty/Half Full - Food Culture Ritual (2019) e Ginger House (2019). Dal 2016 è nel comitato scientifico del festival Castelnuovo Fotografia, Castelnuovo di Porto, Roma.

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