Mochetti, l’etica, la cronaca, l’illuminazione

Cercare un valore etico nell’arte è lecito e necessario. Trovarlo in uno stato non cadaverico e quindi vivo e attivo è raro. Ma Maurizio Mochetti fa di più, mette l’opera in contatto con la Cronaca, con i fatti del mondo esterno e contemporaneo. Quattro opere, quattro dimensioni dello spazio umano: l’Architettura più forte dell’architettura (se la Natura è un architetto più grande di quello che noi possiamo essere, allora può esistere una Natura della mente a cui l’uomo può accedere e architettare); Pozza rossa, il Territorio che è misura e affermazione di un territorio e di tutti i territori; Missioni, l‘Avvicinamento dall’alto a un punto sospeso, porta sospesa che accede al luogo, che dà su quel Territorio o forse da quel Territorio dà su uno dei territori reali che stanno oltre o dentro di esso; e infine l’opera nascosta, Sfera laser, il Mondo, il pianeta (vero assoluto concettuale e fisico: il pianeta che realmente esiste e che ci ospita su di esso può essere materializzato dalla mente – nella mente – nel mondo; si crea così la continuità tra due materie, quella materializzata Naturale e l’altra materializzata Mentale, in continuità e reciprocità. Noi possiamo essere spettatori di questa sincope logica, di questa crasi delle materie dell’esistenza, di questa estrema sintesi del vivere di queste due entità materiali che si completano. L’uomo è un essere logico e quindi si pensa, e questo pensiero è etico e questo pensiero etico ti reimmette nella vita. L’arte è il mezzo di questo exploit, e Mochetti ci reimmette in qualcosa di più specifico della sola vita, ci reimmette nel contemporaneo.)

Nessun isolamento intellettuale nell’opera di Mochetti, anzi si attua una comunione alla radice di un’esperienza: in questo caso del Luogo, spaccato in quattro parti costitutive. Sono quattro momenti cognitivi che si ricompongono nella mente durante la durata dell’osservazione-esperienza della’visita’ del Luogo-mostra. Siamo soli davanti a ogni opera, ma la nostra mente già si connette ad altre menti!

Il buio di Mochetti è siderale e vitale, e qualcosa in esso vibra e si muove, lo invade ma non lo colma, lo occupa (ecco la parola giusta, ‘occupa’, come la nostra mente nel mondo, in un suo punto, da un suo punto). Se il nero di Matisse è l’opposto della morte e si carica in sé di luce e contiene e ritiene una vitalità, il nero di Mochetti è vuoto, liberato, tridimensionale, pieno delle sue possibilità: non è lo stesso vuoto oscuro ma limpido dell’universo intorno alla terra? Esso nasconde per distanza e la sua materia è chiara come una mente. Quindi una mente contiene un mondo, come una porzione d’universo un pianeta. Mochetti non vuole allontanarsi, deve rimanere in contatto perché lui cerca un codice, egli trova il codice che ci tiene in contatto con quella porzione d’universo, col pianeta e con il nostro cervello.

Tutto è fisico e tutto è in scala. Si passa da una dimensione all’altra senza sforzo, senza priorità, l’una si determina nell’altra, l’altra si verifica nella prima. La mente ha questo paradosso: ambedue sono vere – essa si muove in circolo (o meglio, in scambio lineare) tra due poli.

Lla luce in Mochetti svela l’oggetto, per quello che è, un modellino, che vive in un lasso di tempo reale, e lo riesce a congelare (o meglio, a frazionare in uno dei suoi istanti eternizzati, verifica di tempo e azione. E ancora meglio: lo riesce a cogliere nel culmine di un istante dell’azione in cui tutto il tempo si rigenera – è come se si ricostruisse, come se ricostruisse dietro quel tempo la sua Azione nella mente e quindi di nuovo il Tempo, in una ritrovata dote Divina  dell’Arte. Ecco dove ci porta Mochetti, al centro della mente, della sua azione progettuale e cognitiva irriducibile e inalienabile, dove l’Idea dell’uomo ha un che di divino poiché egli in essa si esaurisce: Corpo e Idea, altri due poli in scala!).

Pendoli laser. Tre barre di alluminio che terminano a cono e la cui punta giunge quasi a terra e davanti ad essa sul pavimento il punto rosso del laser. Possono dondolare appese in alto e il punto di laser rosso scivola sul pavimento seguendo l’estremità delle barre.

L’oscillazione è misurazione dello spazio esterno non in quanto tale, ma svuotato, annullato, estremizzato. La reciprocità lineare perpetua tra l’oggetto e la luce distaccata di poco da esso (la stabilità incontrovertibile tra i due elementi) universalizza lo spazio esterno, lo annulla intorno a noi fino a cambiare – ribaltare – la nostra percezione di esso: la nostra verticalità, fisica e biologica, è confermata dalla stabilità in divenire (movimento che torna su sé, rallenta, può riprendere in intensità ignota e per causa estemporanea, fermarsi e restare tale) dell’oggetto, ed è proprio il mondo esterno, che ci appare immobile, fatto d’aria e architettura, a perdere tangibilità, a dissolversi, ad annullarsi in un più vasto spazio di riferimenti, ridiventando un universale Uno, lo Spazio, un Suono, causato dal silenzioso oscillare di quello Strumento. L’oggetto in azione, in movimento o fisso, cancella la realtà nel Reale. L’osservatore del mondo si accorge che questo Reale ha un Tempo che fluisce uniforme e che distribuisce nel suo remoto l’origine delle proprie innumerevoli possibilità. Ecco a cosa lui è davvero connesso. L’anima è contemporanea al crescere – c’è un bioritmo tra i due poli!

Il cursore diretto sulle immagini visualizzerà le didascalie; cliccare sulle stesse per ingrandire.

Info mostra

  • Giacomo Guidi Arte Contemporanea
  • Palazzo Sforza Cesarini, Corso Vittorio Emanuele II, 282/284, 00186 Roma
  • Tel/Fax: +39 06 68801038, Mob.: +39 393 8059116
  • www.giacomoguidi.it
  • info@giacomoguidi.it
+ ARTICOLI

Jacopo Ricciardi è nato nel 1976 a Roma, dove vive e lavora. Vincitore di diversi premi, ha pubblicato sette libri di poesie - Intermezzo IV (Campanotto, 1998), Ataraxia (Manni, 2000), Atòin (Campanotto, 2000), Scultura (con Teodosio Magnoni; Exit, 2002), Poesie della non morte (con Nicola Carrino; Scheiwiller, 2003), Colosseo (Anterem, 2004), Plastico (Il Melangolo, 2006), Scheggedellalba (con Pietro Cascella; Cento amici del libro, 2008) - nei quali il suo modo di procedere è “vasto quanto un luogo poiché lì è qui ma quando/ci si avvicina al luogo qui e lì già accade tra la/parola e l’universo che si toccano”. Ha ideato e curato dal 2001 al 2006, per Aeroporti di Roma, il progetto culturale “PlayOn” e ha diretto l’omonima collana presso Scheiwiller. Ha pubblicato due romanzi, Will (Campanotto, 1997) e Amsterdam (PlayOn, 2008). È presente nell’antologia “Nuovissima poesia italiana” (Mondadori, 2005) curata da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.