Rewind: Suzanne Santoro ad Alveare Milano è l’occasione per riparlare… L’intervista

In occasione della mostra di Suzanne Santoro che si inaugura ad Alveare Milano, riproponiamo un’intervista rilasciata a Manuela De Leonardis nel 2011 e che, assolutamente attuale, fa il punto sulla ricerca di quest’artista di origine italiana per parte di padre e inglese di madre, nata a  Brooklyn, New York, nel 1946, residente dal 1971 e per anni a Roma e, dalla fine del 2003, nella piccola, magnifica Capranica (Viterbo).

Si parla della storia e del lavoro di questa protagonista, con, Carla Accardi, Eva Menzio, Nilde Carabba, Franca Chiabra, Anna Maria Colucci, Regina Della Noce, Nedda Guidi, Teresa Montemaggiori, Stephanie Oursler e Silvia Truppi e la partecipazione non dichiarata ma fondamentale di Anne Marie Sauzeau Boetti, della celeberrima Cooperativa del Beato Angelico, primo movimento femminista nell’arte italiana e per la Santoro “momento chiave nel suo percorso personale e professionale”, come scrive l’autrice De Leonardis

(…) Nell’arte antica, come pure nella mitologia che va studiando approfonditamente negli anni, rintraccia “quei caratteri dell’immagine femminile volutamente messi in ombra o addirittura rimossi (come il sesso per esempio) da tutta una tradizione di cultura figurativa”, come scrive nel 1976.
Da lì parte la ricerca di Towards New Expression, il libro che pubblica nel 1974, oggetto di critiche e censure (la stessa autrice si autocensurerà rivedendone i testi, così come appare nella seconda edizione del ’79), in cui i particolari anatomici femminili vengono accostati agli elementi della natura, osservati e studiati da vicino:

 “il sesso femminile appunto, una conchiglia, la struttura di un fiore ecc. o tutti quei segni secondari come i particolari dell’architettura, certi panneggi, un sarcofago o altri elementi della scultura e della pittura attraverso i quali sia dato ancora intravedere quella naturalezza primordiale di simboli femminili via via appannata”.

Questo piccolo volume colpisce molto anche la giovanissima Francesca Woodman, come lei stessa afferma all’inizio della lunga lettera che invia a Suzanne. Non è datata, ma risale a circa un anno prima della sua morte: un foglio dattiloscritto pieno di cancellature che, da un certo punto in poi, è scritto a mano e firmato. In maniera un po’ confusa, la Woodman parla di vari disagi.
Legge ad alta voce la destinataria, traducendo in italiano:

“La mia vita non è né leggera, né calma.Voglio allontanarmi da questo lavoro molto personale e intuitivo che caratterizza la mia opera di questi ultimi anni. Questo autunno tre galleristi hanno insinuato in vari modi che, per capire il mio lavoro, volevano venire a letto con me. L’idea che la mia opera evochi questo tipo di risposta mi fa schifo. E’ assolutamente diverso, quello che volevo esprimere. Hai avuto mai di questi problemi?”.

New York e l’Italia sono luoghi che accomunano le due artiste. La Santoro torna ogni tanto a New York, dove ha partecipato a varie mostre ed eventi: recente la pubblicazione di un suo disegno nel catalogo della collettiva The visible vagina (2010) alla David Nolan Gallery; mentre al 1978 risale sia la conferenza da A.I.R. (prima galleria femminista statunitense), su invito di Nancy Spero, che la collettiva con Chia e Colombo, curata da Annina Nosei da C Space. Ma questa non è più la sua città. “Quando sto là, non sono a mio agio.” – afferma – Mi sembra molto lontana da me.”.

Partiamo dall’esperienza della Cooperativa del Beato Angelico…

“Prima della Cooperativa del Beato Angelico ci sono stati gli anni di Rivolta Femminile, che nasce alla fine degli anni ’60. Il Manifesto di Rivolta femminile viene redatto nel 1970 da Carla Lonzi, in collaborazione con Carla Accardi e Elvira Banotti. La Lonzi viveva a Milano, per cui il suo gruppo era lì, ma c’erano anche altri gruppi a Firenze, Genova e Roma, dove si recava spesso avendo una relazione con Consagra. Quando sono arrivata in Italia, nel 1971, ho cominciato a frequentare il gruppo di donne legate all’ambiente artistico. Ricordo che c’erano anche Anna Maria Colucci che era incinta, Cristina Lawrence, e per un breve periodo Anna Paparatti e molte altre. Per anni ci siamo incontrate per fare autocoscienza, finché ad un certo punto, avendo idee diverse, ci siamo separate. C’era chi di noi aveva come obiettivo l’emancipazione, chi lottava per aborto, divorzio e altre mille questioni, diritti che l’Italia ha impiegato un secolo per ottenere e che, oggi – essendo questa una società patriarcale – rischiamo pure di perdere! Molte donne andavano via dopo i primi incontri, perché erano argomenti molto duri e pesanti da affrontare. Carla Lonzi, che in quegli anni aveva pubblicato i saggi Sputiamo su Hegel (1970) e La donna clitoridea e la donna vaginale (1971), era molto rigida sul tema della sessualità. Per lei c’erano due categorie di donne, quella clitoridea, con una sessualità indipendente da penetrazione e procreazione, e quella vaginale che considerava una serva, essendo la sua sessualità complementare a quella dell’uomo. Anche Aristotele, in fondo, aveva detto la stessa cosa! Ad ogni modo, come del resto per tutti i movimenti femministi del mondo, tutto partiva dalla sessualità. Parlavamo in grande libertà, proprio perchè non c’era la presenza maschile che sarebbe stata condizionante, ci confrontavamo.
Determinante è stata la rottura tra Carla Lonzi e Carla Accardi: la Lonzi mi aveva dichiarato di non voler fare la Lucy Lippard della situazione, cioè la critica d’arte femminista, e poi non era d’accordo con il mio libretto Towards New Expression. In seguito a questa scissione, con il gruppo di artiste abbiamo deciso di creare la Cooperativa del Beato Angelico. Il fine era quello di esporre il nostro lavoro con uno sguardo quindi alla contemporaneità, ma anche al passato. Fu Eva Menzio a proporre di esporre il dipinto inedito di Artemisia Gentileschi, con cui la Cooperativa inaugurava la propria attività.”

Come nasce il tuo interesse per l’arte, coltivato attraverso gli studi di Design alla New York University, dopo la laurea in Fine Arts alla School of Visual Arts di New York, dove hai avuto come insegnanti Dori Ashton, Mel Bochner e Salvatore Scarpitta?

“Avendo fatto tanti anni di psicoanalisi, so che ci sono teorie non sempre leggere sul perché si fa arte, un trauma ad esempio. Forse è questo anche il mio caso. Fin da bambina, comunque, ero fissata sulle luci e sull’immagine. Penso che tutto nasca da lì. L’arte è anche negazione e difesa, secondo altre teorie psicoanalitiche. Ai tempi dei miei studi il clima artistico newyorkese era influenzato dal minimalismo e dal concettualismo. Molti artisti, tra cui Joseph Kosuth che era un mio compagno di scuola, giravano intorno a Bochner che era anche un bravissimo docente di storia dell’arte, come pure Scarpitta Dori Ashton. Fu la Ashton a farmi venire in Italia per la prima volta, al seguito di Mark Rothko. Il pittore era stato invitato in Europa con la famiglia e cercavano una baby-sitter per i due figli, la femmina era teenager, mentre il bambino avrà avuto tre o quattro anni. All’epoca avevo vent’anni, ero al secondo anno dell’accademia, e decisi di partire. Ricordo che rimanemmo a Roma per quasi tre mesi, nella primavera-estate 1966. Andammo tutti insieme anche a Londra, alla Marlborough Gallery e Rothko, per conto suo, a Parigi. A Roma eravamo ospiti in un appartamento enorme che contava tredici saloni pieni d’arte, all’ultimo piano di un antico palazzo su piazza delle Cinque Scòle. Fu un’esperienza incredibile, ma anche sconcertante, perché sia Rothko che la moglie bevevano moltissimo e continuamente. Lui era molto chiuso e taciturno, andava in giro sempre con una copia de I Fratelli Karamazov di Dostoevsky che trovavo in bagno e ovunque in giro per la casa, quando non lo aveva con sé. Praticamente non vidi nulla di Roma, perché essendo in qualche modo molto puritani, non mi facevano mai uscire da sola, temendo che mi potesse succedere qualcosa. Solo qualche volta riuscii ad uscire di nascosto. Ecco perché decisi di tornare a Roma alla fine degli studi. Avevo duemila dollari e, per un anno, non feci altro che girare, vedendo tutto quello che volevo, e disegnare. Poi, decisi che era arrivato il momento di fare qualcosa e contattai alcune persone che mi aveva segnalato Scarpitta. Subito dopo conobbi Carla Lonzi e Carla Accardi, l’incontro con loro e con il femminismo è stato decisivo.”

Dall’amore per l’antico nasce anche Towards New Expression, il libro che pubblichi nel 1974 e che crea parecchio scompiglio, arrivando addirittura ad essere censurato…

“All’inizio non ero consapevole di tutti i discorsi che si andavano innescando, dal matriarcato alla scomparsa delle mille divinità che porta all’iconoclastia. La mia era una ricerca visiva di segni e simboli nascosti, legati all’organo sessuale femminile. Nell’antichità, infatti, sono tante le rappresentazioni della Yoni o vulva sacra. Certamente questa ricerca veniva fuori dall’esperienza di Rivolta Femminile, dove non si faceva che parlare della sessualità. All’Institute of Contemporary Arts di Londra questo libretto doveva essere esposto insieme ad altri libri d’artista, avevo anche firmato una lettera d’invito. Invece, andando a Londra, dove in quel momento mi recavo spesso perchè c’erano dei gruppi femministi molto accoglienti e attivi, mi accorsi che era stato censurato, insieme ad altri libri, tra cui quello diAnnette Messager. Nel mio caso il problema non erano tanto le immagini – fotografie di dettagli di opere d’arte antica, accanto a particolari anatomici reali, estrapolati dal resto del corpo, perché fossero volutamente privati sia della sessualità che della visceralità, e resi come disegni – ma le mie parole. Nei miei scritti affermavo la libertà sessuale per le donne. Ci fu anche chi accusò di essere “essenzialista”, come altre artiste che usano il corpo nel proprio lavoro. Ma, rifacendomi a Luce Irigaray, psicoanalista e filosofa femminista, membro negli anni Settanta dell’Ecole Freudienne de Paris, fondata da Jacques Lecan, che proprio nel ’74 pubblicava quel libro tostissimo che è Speculum, de l’autre femme, la tesi dell’essenzialità della differenza sessuale viene spiegata in una chiave che esalta, e non mortifica la sessualità femminile.”

Come si è evoluto il tuo lavoro dagli anni Settanta ad oggi?

“Ho continuato a fare pittura con molto dolore, spesso da sola, lavorando anche molto su me stessa. Nel 1984 mi sono anche laureata all’Istituto di Ortofonologia di Roma come terapista d’arte, specializzandomi nello sviluppo grafico dei bambini. Per vent’anni ho fatto art therapy, partendo dallo scarabocchio disegnato ad occhi chiusi, da cui esce fuori qualunque cosa. Sicuramente, però, la Cooperativa del Beato Angelico è stata la cosa più importante che abbia mai fatto. Dal femminismo ho preso tutto ciò che riguarda la mia arte. Non sono, infatti, un essere asessuato. Ci tengo che la mia particolarità venga dall’essere donna.”

Il cursore diretto sulle immagini visualizzerà le didascalie; cliccare sulle stesse per ingrandire.

Info mostra

  • Suzanne Santoro.L’immagine imprevista
  • A cura di Leonilde Carabba
  • Testo critico di Valeria Vaccari.
  • Inaugurazione: Domenica 27 ottobre ore 18: 30
  • Fino al 17 novembre.
  • Apertura e orari: da martedì a domenica dalle 18:00 alle 12:00; ingresso riservato alle sole donne
  • Alveare Milano
  • Via della Ferrera, 8
  • 20142 Milano (Zona Navigli)
  • Tel. 02.87067699 dopo le ore 18.00; E-mail: alveare.milano@gmail.com
  • http://www.alvearemilano.org/page.php?29

 

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Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arti visive sulle pagine culturali de il manifesto (e sui supplementi Alias, Alias Domenica e L’ExtraTerrestre), art a part of cult(ure), Il Fotografo, Exibart. È autrice dei libri A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (Postcart 2011); A tu per tu con grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (Postcart 2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (Postcart 2013); A tu per tu. Fotografi a confronto - Vol. IV (Postcart 2017); Isernia. L’altra memoria (Volturnia Edizioni 2017); Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (Postmedia Books 2019); Jack Sal. Chrom/A (Danilo Montanari Editore 2019).
Ha esplorato il rapporto arte/cibo pubblicando Kakushiaji, il gusto nascosto (Gangemi 2008), CAKE. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (Postcart 2013), Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (Ali&No 2015), Jack Sal. Half Empty/Half Full - Food Culture Ritual (2019) e Ginger House (2019). Dal 2016 è nel comitato scientifico del festival Castelnuovo Fotografia, Castelnuovo di Porto, Roma.

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