Premio Alinovi – Daolio 2013, a Maurizio Cattelan. Si spengono i riflettori

Ogni premio porta in sé una malinconia, poiché celebra sempre qualcosa che è già stato: un impegno, un lavoro, una carriera. Il premio Alinovi – Daolio, quest’anno assegnato a Maurizio Cattelan, di malinconie ne porta con sé più d’una. E’ nato per ricordare Francesca Alinovi, ricercatrice e critica d’arte poco più che trentenne, barbaramente uccisa nel 1983, anno in cui Bologna fu al centro della cronaca nera per gli omicidi del DAMS. Erano gli anni ’80, partiti male, con la strage di Bologna. Ma erano anche anni di grande fermento culturale e sotto i portici potevi incontrare dei tipi tosti come Andrea Pazienza.

Anche Francesca Alinovi e Roberto Daolio, hanno contribuito con l’arte a rendere quel periodo denso, mitico e internazionale. Daolio purtroppo è scomparso lo scorso giugno, aveva sessantacinque anni, e questa è un’altra malinconia (ne abbiamo dato conto qui). Fu uno dei primi a credere nel lavoro di Maurizio Cattelan, che esordì nel capoluogo dell’Emilia Romagna proprio sul finire degli anni ottanta al tempo della galleria Neon. Come già sapete, poiché la notizia, un’istante dopo la consegna del premio, era già su tutti i siti web delle principali testate,  Cattelan non si è presentato, come sempre fa, mandando al suo posto I soliti idioti, duo comico irriverente arcinoto alle masse.

La consegna è avvenuta nell’ex Chiesa di Sant’Ignazio, oggi Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Lungo e commovente l’applauso a Roberto Daolio. Tutto era pronto per il rito e le autorità collocate dove un tempo vi era l’altare, sembravano rimarcare il senso liturgico e solenne all’investitura che si stava per compiere. Maurizio Cattelan, da bravo cristiano ha fatto quello che tutti si aspettavano da lui. Un’azione comica ed esilarante che lascia subito dopo l’amaro in bocca. I soliti idioti, coppia di allegri c/pretini che pare appena uscita da una fotografia di Mario Giacomelli, ha mostrato, tra una battuta e l’altra, immagini dell’artista celebrato vestito da chierichetto. Probabilmente l’artista ha compreso che il suo sarebbe stato solo un ruolo marginale all’interno della celebrazione ed ha trasformato la liturgia in un evento sociale. Certamente ha colpito nel segno, altrimenti non saremmo qui a parlarne.

Nell’era mediatica e immateriale della comunicazione, dove tutto passa e si consuma rapidamente, egli ha fatto sì che questo premio arrivi ben più in là rispetto allo spazio condiviso dai soli addetti ai lavori. Poi, dopo i giullari, l’ultima diapositiva mostrava un cristo ligneo, senza braccia, che dondolava impiccato a una croce. E quel che resta, è malinconia in più.

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Tobia Donà (Adria 1971), è architetto, si è laureato a Venezia, sua città d’adozione.
Fin da giovanissimo si occupa di architettura, arte e fotografia, passioni per che gli ha trasmesso il padre scenografo. Tutta la sua formazione verte sulla fusione di questo trinomio, attraverso il quale egli approccia ai suoi progetti. Attualmente è docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e Scenica, scuola di scenografia del melodramma di Cesena, dove insegna “teoria e pratica del disegno prospettico”. Pubblica i suoi scritti sui temi dell’arte e dell’architettura su diverse riviste, locali e nazionali, e saltuariamente sui quotidiani, oltre che diffonderli nel web. In questi anni, tra università, impegni professionali e stage di approfondimento ha avuto modo di collaborare e studiare con importanti personalità della cultura quali: Italo Zannier, Lucien Clergue, Franco Fontana, Enzo Siviero, Peter Shire, Aldo Rossi e Gino Valle. Ultimamente sta portando avanti progetti culturali che mettono in relazione, arte, industria e territorio.

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