A proposito di Frieze Art Fair #1

Ha chiuso i battenti da una decina di giorni l’XI edizione della fiera londinese Frieze che, per il secondo anno, si è sdoppiata. Allestita (dal 16 al 20 ottobre 2013) nelle consuete tensostrutture nel verde Regent’s Park, oltre alla sede tradizionale, la fiera ha presentato anche Frieze Masters, nei pressi dello Zoo, la quale, con le sue oltre centotrenta gallerie, fa convivere artisti del passato dal medioevo al moderno, con artisti contemporanei, conducendo lo spettatore in pazzeschi salti temporali. Uno sdoppiamento, quello di Frieze, che l’avvicina di molto alle offerte di Art Basel con una non tanto velata finalità di soddisfare, nel periodo di crisi economica e di stanchezza, le richieste del più ampio pubblico possibile. Accompagnata da una temperatura atmosferica mite e piacevole, la fiera ha accolto così le sue migliaia di visitatori (per la precisione circa settantacinquemila) offrendo loro opere che tentano di scrollarsi di dosso la pesantezza dello stallo finanziario. Tentativo che si è dimostrato vincente come provato poi dai risultati delle vendite che hanno chiuso con un bilancio molto positivo.

Gallerie provenienti dai quattro angoli del mondo -con una vivace e propositiva presenza dell’America del Sud- che hanno presentato non solo tanta pittura, abbastanza fotografia, pochissimi video, ma anche tanta scultura e grandi installazioni, come quelle di Oscar Tuazon per Maccarone Gallery di New York, che ha creato interi ambienti a partire dallo stesso ingresso allo stand; installazioni alcune appositamente realizzate per la fiera, come Edoardo Basualdo con Teoria da PSM di Berlino o Genilson Soares da Galeria Jaquelin Martins di São Paulo, entrambe nella sezione Frame. Gallerie che hanno mostrato un solo artista, come la Lisson Gallery Londra, con Groovy Spiral di Dan Graham, o le cinque scintillanti sculture di Jeff Koons da Gagosian Gallery. Un divertito sorriso viene strappato da Showstopper ‘Safety Cones (After Richard Serra), le ventitre sculture antropomorfizzate di Rob Pruitt alla Gavin Bronwn’s enterprise di New York. Mentre è impossibile non interagire, nonostante il suo algido aspetto, con la grande scultura di Jennifer Rubell, Portrait of the artist da Stephan Friedman Gallery di Londra che, nel suo accogliente ventre, ospita il visitatore chiamato a regredire al suo stato fetale. Come sempre colpisce per la sua leggerezza, nonostante la sua intrinseca complessità, l’installazione di Tomás Saraceno da Esther Schipper di Berlino. La quotidianità, attraverso l’impersonale scontrino, è raccontata dai grandi arazzi di Gabreil Kuri da kurimanzutto di Città del Messico, cui fa da contraltare la grande scultura di Adrian Villar Rojas (che vista la sua presenza alla Serpentine, impazza per gli stand).

Una piacevole presenza, seppur con disegni di medio formato, è quella di Margherita Manzelli da Greengrassi di Londra (con una personale dell’artista in corso). Mentre Isa Genzken da David Zwirner di New York nuovamente lancia il suo invito a riflettere sui rapporti tra arte e architettura, con la sua scultura che sembra un reperto, una rovina; a cui fa da contrasto il minuzioso plastico in marmo di Venezia di Yutaka Sone. Come detto, tanta pittura, da quella fortemente materica (vedi le tele di Uwe Kowski da Galerie Eigen+Art di Berlino, di Per Kirkeby da Michael Werner di Londra e di Zhu Jinshi da Blum & Poe di Los Angeles) a quella cui si tenta di dare una tridimensionalità (come nel grande quadro di Li Songsong da Pace Gallery di Beijing). Tridimensionalità ricercata anche nella fotografia, con Yeesookyung da Kukje Gallery di Seul e con Carlos Garaicoa da Luisa Strina di São Paulo che, nella foto proposta, sottolinea l’importanza dell’architettura come significato di decostruzione della complessità del racconto socio-politico e storico di una città. Grande ironia mostra invece l’autoritratto Reborn di Takashi Murakami sempre da Blum & Poe. È stata altresì occasione di mostrare lavori datati come la performance di Four in a Dress del 1967 di James Lee Byars sempre da Michael Werner. Ammantata di un significato più politico la prassi artistica di Tony Cragg è Flag di Willem Boshoff da Goodman Gallery di Cape Town. Proposito politico dichiarato, farcito di un pizzico di ironia, anche nella grande installazione di Meschac Gaba dalla Stevenson Gallery di Cape Town, dove dimostra quanto l’abito fa l’uomo e l’uomo è fatto dall’abito così com’è coniato dai luoghi comuni e dall’immaginario collettivo. Un guizzo nostalgico è impossibile non provarlo di fronte a Ciao di Valentin Carron da David Kordansky di Los Angeles. Un modo originale di utilizzo del collage è Found il grande quadro di Kabi Trinkaus da Georg Kargl Fine Arts di Vienna. Di particolare interesse è la sezione Focus nella quale ventidue gallerie hanno allestito i rispettivi stand con delle personali, tra cui i delicatissimi lavori di Liliana Porter da Mendes Wood DM di São Paulo.

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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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