La mostra che non ho visto #45. Lucilla Catania

Lucilla Catania in un ritratto fotografico di Stefano Fontebasso De Martino
Lucilla Catania
in un ritratto fotografico
di Stefano Fontebasso De Martino

ARTURO MARTINI
Creature, il sogno della terracotta – Armonie, figure tra mito e realtà.
La doppia mostra del grande Maestro tra Bologna e Faenza.

Per una scultrice convintamente astratta come me sentirsi in profonda sintonia con uno degli ultimi grandi figurativi del Novecento è strano e mi sorprendo di questa dipendenza e fascinazione.

Ricordo ancora, molti anni fa, di aver visto, a casa di un amico collezionista, due piccole sculture del maestro fuse in bronzo. Rappresentavano delle figure femminili a cavallo ed erano poggiate su un  grande mobile l’una vicino all’altra. Che voglia di averle per me!

Raro per un’artista desiderare così fortemente un’opera altrui ma quando succede, succede!!

Le figure di Arturo Martini essiccate, rese porose dalla terracotta refrattaria, solitarie come organismi persi nello spazio mi coinvolgono e mi portano a quell’idea di scultura dell’essere che mi piace e che mi convince.

Il titolo di questa mostra “mancata” è una dichiarazione di poetica che chiarisce, con poche efficaci parole, il rapporto che il maestro ha con il mondo e con l’arte. Non un regno misterioso e

impenetrabile ma al contrario solare e accessibile, forse lievemente malinconico ma sempre concreto e tangibile nella sua fisicità. Un mondo di cose e di persone legate da uno stesso destino, il vivere quotidiano.

È questo che  mi piace di Arturo Martini: il raggiungimento dell’essenza, della vita interna degli elementi e degli esseri viventi, uomini o animali che siano.

La terracotta, vogliamo parlarne? “Un sogno” dice il titolo, direi un legame ancestrale, un richiamo della foresta per chi come me ama il fare e il pensare facendo. Costruire figure, oggetti e creature, per dirla con Martini, solo con l’ausilio delle proprie mani. Che impareggiabile piacere!

Mi dispiace per chi ha perso quel piacere e vive nel virtuale, pensando che sia la nuova frontiera dell’arte. Mi sembra un’ingenuità rinunciare a quella esperienza o la conseguenza di una scarsa capacità di analisi dei fenomeni socio-culturali a cui la realtà, costantemente, ci sottopone.

Con il termine creature si può indicare molto; ad esempio il concetto di organismo inteso come un tutto completo e autosufficiente pronto a funzionare. È interessante pensare a un’opera plastica in questo modo. Un organismo che agisce lo spazio, che lo trasforma interiorizzandolo o allontanandolo, sempre, in ogni caso, entrando in uno stretto rapporto di interazione con l’osservatore, anch’esso a sua volta organismo.

Mi piace pensare alla scultura come qualcosa di vivo (ad onta di La scultura lingua morta), anche se è pur vero affermare che, ovunque la metti, la scultura sta sempre male. Ma anche questo suo limite fisico suggerisce vitalità e personalità. Spesso mi è capitato di collocare delle opere in spazi chiusi e di lasciarle là per un certo periodo. Rimosse, poi, dalle loro sedi provvisorie, ecco che lo spazio non è più quello di prima. C’è un’ assenza nuova e la si percepisce chiaramente.

Questa assenza io la vivo quasi come una sorta di fantasma della statua che aleggia sopra le nostre teste anche quando il concetto/forma statua viene palesemente negato e sostituito da altre categorie espressive. Poco importa, quell’idea ce la portiamo dentro, risiede nel nostro inconscio collettivo saldamente  ancorata e alimentata da un  cospicuo bagaglio culturale. Bagaglio di straordinaria ricchezza che io mi porto ben volentieri sulle spalle e dal quale attingo idee, sensazioni, forme con felice disinvoltura visto che è mio. Mi appartiene geneticamente e per asse ereditario. In fondo, gli artisti sono tutti un po’ parenti.

Bene, non siamo soli al mondo! E il legame elettivo che sento di avere con l’arte di Arturo Martini sta ha dimostralo, a dispetto delle rispettive scelte fatte sul piano poetico e linguistico, visibilmente differenti.

Le sue opere sono come delle narrazioni di eventi naturali o umani ma sembrano anche essere delle rivelazioni di segreti lontani. C’è in quelle sculture stagliate nette nello spazio qualcosa di enigmatico. Emanano un fascino che cattura e che porta al loro interno, quasi a desiderare  di congiungersi fisicamente con il corpo stesso della scultura.

Ecco perché, adesso mi è chiaro, volevo avere a casa mia quelle due sculture di donne e di cavalli del mio amico collezionista! La scultura è quel corpo solido con il quale fondersi, un’esperienza totale dei sensi, un’esperienza benefica e rigeneratrice che apre a nuove conoscenze.

Beh, del resto l’arte non è forse anche terapia ?!

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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