Gli stand vengono pian piano smantellati, il pubblico invitato a uscire e si acchiappano qua e là gli ultimi sospiri stanchi di editori e staff. Si stanno abbassando le luci sulla Fiera nazionale della piccola e media editoria, è tempo di andare. E riflettere.
Secondo il comunicato stampa ufficiale le presenze sono state «oltre 54 mila». Ma per chi ormai le persone le conta con la punta del naso, con la coda dell’occhio e con il tempo impiegato per scappare da un corridoio all’altro del Palazzo dei Congressi, i conti non tornano. A tal proposito, mi viene in mente un giorno in cui mi trovavo in un negozio dentro un centro commerciale: in una breve frazione di tempo, ero entrata e ri-entrata azionando un contatore (sonoro) di visitatori. Sentii due volte quel rumore, ma io ero sempre io. Eppure per il proprietario del punto vendita, al momento dei conteggi, sarei valsa come due persone diverse (entrambe uscite a mani vuote, tra l’altro). Ecco, ora, non per fare i conti in tasca alla Fiera, ma ho avuto l’impressione (condivisa da molti) che il computo totale sia stato inferiore a quello dichiarato. Se non altro perché le giornate di giovedì e venerdì sono state più scarne del normale, e il week-end non popoloso come ci si aspetta (senza disattese) di anno in anno. Quel che appare evidente, ad ogni modo, è come Più libri più liberi faccia fatica a garantire un + costante, edizione dopo edizione, davanti alla percentuale totale dei visitatori, ottenendo invece risultati altalenanti. Segno, a mio avviso, di come sia un evento ancora molto fragile, ben poco supportato dalle strategie di comunicazione (e forse anche di marketing).
Sempre nel comunicato stampa conclusivo, vengono ricordate le parole del presidente del Senato Pietro Grasso nel messaggio inaugurale: «Gli espositori che fanno vivere questo appuntamento sono il simbolo di un’imprenditoria che sa difendere la propria indipendenza culturale ed economica». Verissimo per tanti editori. Peccato che alcuni degli oltre 370 intervenuti quest’anno siano a pagamento o a doppio binario, dunque abbiano ben poco a che fare con il concetto di “indipendenza culturale ed economica“, dipendendo, di fatto, dal denaro dei propri autori. I quali, oltre ad aver investito nel proprio manoscritto, si vedono costretti a investire anche sul libro, in forme diverse (obbligo di acquisto di un certo numero di copie, pagamento delle spese di stampa, promozione a proprie spese ecc.). Non che l’autore, accettando queste condizioni, non pecchi di vanità e di presunzione (come se il mondo non potesse fare a meno della sua opera), ma ciò non significa che per l’editore, a mio avviso, sia corretto chiedere un contributo economico. L’editore è un imprenditore, e quale imprenditore non rischia? Infatti, alla base della prima pubblicazione, vi è l’adrenalina da salto nel vuoto e nell’ignoto. Quel che verrà, fallimento o ascesa, dipenderà soprattutto da quel primo passo. Il coraggio e la magia di questo mestiere stanno lì dentro, non nel portafogli dell’autore.
È un problema, quello dell’editoria a pagamento/doppio binario, che evidentemente non si vuole risolvere. Si accenna anche al coraggio, nel comunicato. Un coraggio che, però, manca gli appuntamenti importanti. Uno lo abbiamo sviscerato, ma c’è anche la questione del costo degli stand (eccessivo per diversi motivi); della mancata ricezione del fenomeno eBook (a proposito, quest’anno IBS e Sony non erano presenti con i loro eReader); della selezione degli editori (la piccola e media editoria è spesso un baluardo di qualità… spesso, però non sempre, e rimango dell’idea che al visitatore-lettore bisognerebbe offrire solo il meglio). E, passando al meno, vorrei ricordare che la Sala stampa è praticamente inesistente (nonostante un buon numero, sulla carta, di giornalisti accreditati: nel 2012 fummo circa mille, se non erro); che non ci sono punti di aggregazione per il pubblico, costretto così a vagare e vagare; che per due giorni uno dei due accessi principali al piano superiore è rimasto chiuso e che in generale le vie collaterali sono sempre sbarrate; che la Linea Libro che collega, ogni 15 minuti, la fermata della metropolitana EUR Fermi con il Palazzo dei Congressi è una spesa inutile (c’è l’imbarazzo della scelta tra almeno 4 linee regolari da prendere da punti limitrofi la metro, ma si può anche andare a piedi impiegando nemmeno 15 minuti); che la rete wifi non prende ovunque e mi è parso di capire che fosse addirittura a pagamento per tutti (editori inclusi) e… stavo per aggiungere che si moriva di caldo, ma onestamente la temperatura è stata gradevole. Però, in compenso, il maestro Andrea Camilleri e Max Pezzali hanno mancato i loro rispettivi (e attesissimi) appuntamenti: mai una gioia.
Una catastrofe? Non proprio, in fondo. Se devo fare il punto su quello che mi porto a casa, non è un elenco irrilevante.
Ho Dodici di Zerocalcare (BAO); ho La solitudine di un riporto di Daniele Zito (Hacca); ho Il Sale di Jean-Baptiste Del Amo (NEO); ho l’autografo di Diego “Zoro” Bianchi sul retro del mio pass (chi mi conosce, avrà già cominciato a ridere dalla parola “autografo”); ho il ricordo di tanti visi nuovi e di altri che erano già parte della mia memoria (ma come al solito non ho fatto in tempo a incontrare tutti); ho avuto la conferma – assistendo all’incontro con Madeleine Thien che raccontava il suo L’eco delle città vuote (66thand2nd), romanzo sul genocidio compiuto in Cambogia dai Khmer Rossi – che i libri abbiano il potere di completarsi, di finire l’uno la storia dell’altro.
Ho un tuffo al cuore, se ripenso che è finita. Che il Palazzo dei Congressi sarà adibito ad altro per un altro intero anno. Che ho parlato dei difetti (onestamente un po’ tanti) di questa Fiera, solo per amore. Della letteratura, del mio quartiere.
La Fiera nazionale della piccola e media editoria deve continuare a r-esistere, così come i suoi meravigliosi editori. Auguriamoci tutti, allora, che quella dal 4 all’8 dicembre 2014 possa essere l’edizione della svolta. Del coraggio, finalmente. Così potrò zittirmi, finalmente.
Giornalista pubblicista dal 2012, scrive da quando, bambina, le è stato regalato il suo primo diario. Ha scritto a lungo su InStoria.it e ha aiutato manoscritti a diventare libri lavorando in una casa editrice romana, esperienza che ha definito i contorni dei suoi interessi influendo, inevitabilmente, sul suo percorso nel giornalismo. Nel 2013 ha collaborato con il mensile Leggere:tutti ma è scrivendo per art a part of cult(ure) che ha potuto trovare il suo posto fra libri, festival e arti. Essere nata nel 1989 le ha sempre dato la strana sensazione di essere “in tempo”, chissà poi per cosa...
prenderei questo articolo
lo metterei in una busta e lo invierei con R/A
alla sede dell’AIE.
in questo caso l’articolo e il commento di Maurizio si equivalgono: non so per chi applaudire di più….grazie Giulia per questo sguardo lucido cinico eppur sempre appassionato!!!
Mi fa piacere ci sia questa sintonia d’opinioni. Mi farebbe più piacere, però, veder convogliate a dovere le infinite potenzialità della Fiera.
Giuro, vorrei davvero zittirmi :-)
Non c’è bisogno di spedirlo: l’Aie lo ha letto ed ha preso nota. Purtroppo temo che più dello sforzo che facciamo con le poche risorse a disposizione no possiamo proprio fare. Anzi credo anche che se gli umori prevalenti fossero come questi lascerei volentieri perdere visto lo sforzo immane che comporta un lavoro come questo e i grandi costi proprio per quell’Aie che avete evocato. Per fortuna o purtroppo il plauso è ancora prevalente e quindi se avremo ancora sodi da buttare andremo avanti. Ma per favore non scrivete minchiate del tipo che gli stand costano troppo. Quanto leggo queste cose penso che vi meritate il Salone di Torino.
Grazie a Fabio Del Giudice del commento.
Lo sforzo è evidente, le aspettative dei lettori e dei visitatori forse legittime.
Le obiezioni sollevate in merito ai costi degli stand da questo articolo andrebbero verificate con gli editori che anche se accettano, spesso si lamentano. Anche se a Roma gli stand costano meno che a Torino ed anche se Roma, per fortuna, non è quel supermercato in cui si è trasformato il Salone.
Credo che Più libri sia una sfida vincente che potrebbe migliorare in alcuni ambiti capaci di fare la differenza. Un po’ più politici, forse. Io ci credo e ci conto.
Gentile dottor Del Giudice,
intanto grazie per questa possibilità di confronto.
Poi, chi ha scritto l’articolo qui su, e chi le sta rispondendo ora, è una persona che per anni ha scelto di non andare al Salone di Torino, che come tipo di evento editoriale è ben distante da Più libri più liberi.
Non penso che Torino sia meglio di Roma, né viceversa. Penso, invece, che siano due appuntamenti diversi, con la propria coscienza etica che non starò qui a giudicare.
Più libri più liberi DEVE continuare a r-esistere (come ho scritto), ma non se lo spirito è quello di buttare soldi. Investire sì, buttare no. Non se sono i soldi della Provincia o della Regione o della Città o degli Editori, o nemmeno se fossero solo i miei o i suoi. La Fiera ha bisogno di ingegno, speranza e passione. E nessuno mette in dubbio che queste qualità non appartengano già agli organizzatori. Si tratta, credo, solo di trovare il canale giusto per convogliarle al meglio. Magari anche ascoltando i commenti negativi (specie se costruttivi e in buona fede), e non aggrappandosi solo a quelli positivi, pur maggiori che siano.
Per quel che riguarda i prezzi degli stand, non se ne faceva una comparazione meramente quantitativa. Ma anche, e soprattutto, qualitativa. A Torino costano molto (ma molto) di più, è vero. Ma il ritorno economico per gli editori piccoli e medi è anche, di norma, più elevato rispetto a Roma. La piazza di Torino è diversa, e immagino possa permettersi determinate cifre. La piazza di Roma è più di nicchia e per questo dovrebbe, se mi permette, riuscire a guardare più attentamente in faccia i suoi Espositori. Ne verrebbe fuori solo un gran bene, visto che sono facce bellissime, per lo più.
Quel che ho scritto non è il Verbo, e in mille potranno darmi torto. Quel che ho scritto, invece, è quel che sento e che ho sentito. Spero possa venire anche ascoltato.
Detto questo, grazie per l’ostinazione con la quale continuate a mantenere in vita Più libri più liberi: la piccola e media editoria ha bisogno di questo spazio dedicato. Rimaniamo uniti, però.