Taking care of baby: l’insanabile discrasia del dubbio

Taking care of baby

Un disturbante e magnetico silenzio accoglie il pubblico di Taking care of baby, portato in Italia dall’Accademia degli Artefatti per la regia di Fabrizio Arcuri, che sceglie l’acclamato e controverso testo del drammaturgo britannico Dennis Kelly tratto da un recente caso di cronaca inglese. Sembra sfuggire ai limiti della finzione il fulcro dello spettacolo sin dal suo inizio, trovandosi davanti un filtro visuale, un doppio piano d’ascolto che rompe la tradizionale frontalità tra attore e spettatore: arriva e attraversa il palco per abbandonarlo immediatamente Isabella Ragonese, madre assassina protagonista quasi inconsapevole del tragico racconto innescato davanti ad una telecamera, in uno spazio altro, visibile ma decentrato, che ritorna attraverso un primissimo piano sul grande schermo montato a pochi metri di distanza, creando un corto circuito emotivo in chi guarda: c’è la realtà, che è corpo e voce, e c’è contemporaneamente un altro livello di percezione, quell’occhio artificiale sfrontato e pervasivo che vuole scoprire le piaghe del dolore e della menzogna.

Una donna in carriera, figlia di un noto personaggio politico, perde a brevissima distanza di tempo i due figlioletti, morti in casa in circostanze sospette: è lei ad averli uccisi o si è trattato di una rarissima coincidenza? La scienza può dare una risposta o il dramma è destinato a rimanere imprigionato nel dubbio dimenandosi tra gli abissi della mente umana e le statistiche? Non è una drammaturgia tradizionale quella proposta da Kelly, non c’è spazio per l’immedesimazione nel complesso intreccio di ricerche e documenti legati al caso di matricidio: un montaggio che include il ruolo dei mass media, la posizione della medicina e ancora le conseguenze sul piano personale dei personaggi coinvolti, in primo luogo la madre della presunta omicida, travolta dallo scandalo familiare durante la corsa elettorale; ma anche il padre, il marito e lo stesso autore chiamato a confrontarsi direttamente con i fatti per raccogliere testimonianze, per fornire alla platea tutti gli strumenti necessari alla formazione di un giudizio sulla vicenda.

Non è sul piano sentimentale che si gioca la partita con l’opinione pubblica, la ricerca della verità passa per un lavoro documentaristico che non poteva che essere sostenuto da una recitazione brechtiana, assumendo un punto di vista collettivo che rimane aperto sul piano etico e critico, perché la condanna, il carcere e tutte le conclusioni di presumibile inconfutabilità non garantiranno mai la salvezza dal dubbio. Sarebbe interessante confrontare la regia italiana di Arcuri con il testo originale per capire quanto il lavoro di commistione di linguaggi teatrale e audiovisivo riprenda la drammaturgia di partenza, non dimenticando quale discrepanza esista tra la celebrità della vicenda in Gran Bretagna e l’impatto sul pubblico italiano, in larga parte ignaro dei fatti. Se da una parte questo consente di ricostruire per la prima volta attraverso lo spettacolo i risvolti della storia, dall’altro può portare alla confusione o alla mancanza di interesse verso i personaggi, con il rischio di perdersi dietro alle molteplici focalizzazioni proposte. Una sfida sicuramente vinta sul piano della qualità recitativa ma non del tutto nella resa scenica, costringendo l’azione ad impervi rallentamenti che rivelano una sintonia imperfetta tra la matrice documentaristica e la fruizione teatrale, da attribuirsi forse alla difficoltà di ricezione per un pubblico disabituato a questa forma di scrittura, quasi assente nel panorama drammaturgico italiano.

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TAKING CARE OF BABY di Dennis Kelly. Traduzione: Pieraldo Girotto. Regia: Fabrizio Arcuri. Materiali sonori: Subsonica, tratti da mentale/strumentale (inedito nel cassetto). Con Isabella Ragonese e Matteo Angius, Francesco Bonomo, Pieraldo Girotto, Francesca Mazza, Sandra Soncini. In video: Vinicio Marchioni, Fiammetta Olivieri, Paolo Perinelli. Produzione: Accademia degli Artefatti, Teatro Stabile di Torino, Napoli Teatro Festival Italia.

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La Sicilia non solo terra d'origine ma luogo dell'anima, culla del teatro e fonte di ispirazione dove nasce l'amore per la scrittura. Dopo una laurea in Comunicazione e una specializzazione in Discipline dello spettacolo, scelgo di diventare giornalista e continuare ad appassionarmi alla realtà e ai suoi riflessi teatrali e cinematografici.

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