La luce perpetua di Maurizio Nannucci

Maurizio Nannucci, courtesy galleria Giacomo Guidi Roma- Allarthasbeen contemporary
Maurizio Nannucci, courtesy galleria Giacomo Guidi Roma- Allarthasbeen contemporary

Siamo a Roma nella galleria Giacomo Guidi per la mostra di Maurizio Nannucci Words Without Silence / Silence Without Words: due stanze, due ambienti, due illuminazioni.

Solo il sole, al centro del nostro sistema solare, o il fuoco qui sulla terra, incontrollabile, per sua natura mobile, possono offrire da sé la luce. Tutto il nostro mondo, fino a meno di due secoli fa era governato dalle ombre; la luce stessa era mossa da ombra a ombra. Ecco qual era la realtà – il terreno – entro cui si muoveva – e si muove – il linguaggio e la comunicazione.

Può l’Arte offrire, attraverso lo sviluppo della tecnica, legandosi all’elemento più umano di tutti, sceso nella nostra tradizione più antica (la parola), operare una rivoluzione di ribaltamento del reale così consistente da sembrare l’intera rivoluzione dei rapporti retti da questo nostro sistema solare? Ossia: possono le leggi umane, prodotte dalla mente dell’uomo, rovesciare quelle leggi dell’ombra che hanno per tanto tempo condizionato la nostra natura?

Può oggi l’uomo creare un oggetto che produca da sé una luce? Sì. Ma non solo: può l’uomo creare un oggetto che emani da sé una luce che possieda una natura che non sia mai stata di questo mondo e di questo universo, che quindi invece di essere in movimento sia immobile, fissa, stabile nel trascorrere del tempo? Sì! Questo nuovo fatto storico permette all’uomo un’indagine e un movimento nel mondo diversi da quelli avuti finora. E questo è possibile se un artista sfrutta le caratteristiche del proprio tempo, se ne accorge e le usa.

Platone si stupirebbe. Allontanarsi dalla luce per sprofondare in altra luce, e al posto di altre ombre ecco apparire le parole. Le ombre di Platone si perfezionano? Sì. Entrando nella luce, scendendo in essa, penetrandovi, si incontra, contenuti nella sua aura, un gruppo di parole ordinate davanti a noi – osservatori – in uno spazio quadrangolare uniformemente riempito, scandito in diversi messaggi successivi, descrittivi del reale – in luce rossa per il luogo e in luce blu per l’Arte -, che altro non è che un diaframma, il ‘passaggio’ di un percorso mentale e fisico che porta l’uomo in una consapevolezza – o in una lotta, una sfida, per una consapevolezza di sé – necessaria, che lo cambia davanti alla natura sempre immutabile del mondo.

L’uomo aspira a se stesso per cercarsi e si arma davanti alla natura del mondo con la propria natura consapevole.

Che parole sono queste che ci offre Nannucci il cui neon sottile e nudo che le segna, offre una luce tanto intensa da stordire l’ambiente insieme all’osservatore che è contenuto in uno spazio nuovo, diverso, artefice di se stesso, interno al mondo, non decifrabile – perdendo ogni coordinata – se non attraverso la comprensione di quelle parole – gruppi di parole – che stanno ora, sola cosa esistente, davanti a noi? È chiaro che la luce è una materia nuova, che annulla quella vecchia e ne sostituisce il peso, dal fisico allo psichico forse, ma meglio: dal peso naturale – la pittura come ogni cosa del mondo – al peso mentale concretizzato – la luce di Nannucci abita il mondo, e ne sfida la natura (si integra metaforicamente), convive complementare, altrettanto viva. Che quella luce, lavorata nelle mani consapevoli dell’artista raggiunga una densità di parola, o che si apra in parole è ovvio: alla natura del mondo, impenetrabile, Nannucci contrappone il linguaggio umano, una ricerca consapevole di quel linguaggio in un risultato che va fino all’essenza interna del poetico, al ragionamento che lo abita, in una democratizzazione del lirismo in linguaggio universale, umano, offerto alla natura.

Nannucci punta il suo messaggio all’esterno, su ponti, angoli di palazzi, luoghi pubblici, musei interni ed esterni, stanze, seguendo angoli, spigoli, architravi, con segni ampi o brevissimi, parlanti o muti – con o senza parole. Egli ci dice che la massa è formata da una serie di complessi individui esistenti capaci in sé dello stesso medesimo mistero. Egli dice che la massa non è banalizzante, ma è l’obbiettivo di un accordo che la proietta nel suo futuro. Ma per trovare questo accordo essa deve riconoscere le profondità della propria epoca, l’unicità di cui essa solo in quel tempo è capace. Siamo nel tempo della luce umana, in un secondo atto della civiltà. L’invenzione dell’artista non è quella di scoprire cose nuove, ma di rivelare ciò che esiste. Per questo il suo operato è tanto entusiasmante storicamente. Egli svela ciò che sta al cuore di un dato tempo e lo mette in azione e lo universalizza, stabilizzandolo nel tempo delle epoche. Noi possiamo passare accanto a queste decodifiche dei nostri tempi o già essere loro presenti, e crescere nel presente.

Ecco: accorgersi dello spazio attivato, stordente e liberante, che smuove lo spazio di una semplice stanza in magnetica ridefinizione, dell’idea che vi nasce e che segue il bisogno dell’uomo consapevole che si riposiziona nel reale, creando i propri punti cardinali, estratti da sé: la coscienza di sé è una mappa. E oltre il diaframma delle parole liberanti il messaggio con la loro luce, durante la lettura, appare chiaro lo spazio oltre quella scritta che filtra attraverso loro in questo primo spazio, così come questo filtra, attraverso l’aerea fisicità delle parole, in quell’altro non visto, in un punto di fuga che si trova ben oltre il limite fisico – o non-fisico o oltre-fisico – delle parole.

Vorrei insistere sull’originalità di offrire nell’insieme di queste parole non uno stato finito di discorso o di asserzione, ma piuttosto argomenti, fasi successive di un’esperienza che si stratifica, e si amplifica proprio in virtù di quell’esperienza vissuta, elaborata, che somma liberamente la successione, lo scandirsi, aprendo e facendo fiorire l’aspetto trattato – e in effetti tra le due opere, le due scritte, i due testi c’è una simbiosi: il primo tratta dell’aspetto materiale, reale e umano, dello spazio legato al luogo, in un avvicinamento concreto che si scompone empiricamente nella realtà mentale, e poi il secondo che tratta dell’Arte, argomento tra i più astratti, quindi speculare al primo, in cui vi è un avvicinamento o adattamento della mente al concreto della realtà; medesimo sfuggire ambivalente, stessa volontà di ghermire una soluzione che per l’uomo esiste solamente come condizione nel proprio tempo. Ma l’argomentazione è lasciata libera entro uno spazio che la trattiene ed essenzializza e che intrappola magnetizzando quell’Idea verso cui tutto il corpo in quel caso tende, mantenendola fissa nel cielo, nello spazio vuoto dove essa si trova persa – ma non dimenticata – nell’universo, come se si potesse entrare nella sua luce nuda e quella luce svuotarla di luce, e leggere in essa la normalità – in senso matematico – di un discorso retto nella sua esemplarità cognitiva, leggendo il nostro progredire che deflagra all’interno di essa così come all’esterno. Da lì si esce allo scoperto, di nuovo su questa terra, armati di una mente fisica.

Info mostra

  • Maurizio Nannucci
  • 7 dicembre 2013 – 28 febbraio 2014
  • Roma, Giacomo Guidi Arte Contemporanea
  • Palazzo Sforza Cesarini – C.so Vittorio Emanuele II, 282-284, Roma
  • tel. 06.68801038; info@giacomoguidi.it
  • Orari: da martedì a sabato, dalle 11.00 alle 13.30; dalle 14.30 alle 19.30.
  • Ingresso libero
  • Catalogo: Giacomo Guidi Arte Contemporanea
  •  Ufficio Stampa: CLP Relazioni Pubbliche, tel. +39 02 36755700 – Anna Defrancesco, anna.defrancesco@clponline.it
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Jacopo Ricciardi è nato nel 1976 a Roma, dove vive e lavora. Vincitore di diversi premi, ha pubblicato sette libri di poesie - Intermezzo IV (Campanotto, 1998), Ataraxia (Manni, 2000), Atòin (Campanotto, 2000), Scultura (con Teodosio Magnoni; Exit, 2002), Poesie della non morte (con Nicola Carrino; Scheiwiller, 2003), Colosseo (Anterem, 2004), Plastico (Il Melangolo, 2006), Scheggedellalba (con Pietro Cascella; Cento amici del libro, 2008) - nei quali il suo modo di procedere è “vasto quanto un luogo poiché lì è qui ma quando/ci si avvicina al luogo qui e lì già accade tra la/parola e l’universo che si toccano”. Ha ideato e curato dal 2001 al 2006, per Aeroporti di Roma, il progetto culturale “PlayOn” e ha diretto l’omonima collana presso Scheiwiller. Ha pubblicato due romanzi, Will (Campanotto, 1997) e Amsterdam (PlayOn, 2008). È presente nell’antologia “Nuovissima poesia italiana” (Mondadori, 2005) curata da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi.

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