La mostra che non ho visto #53. Rocco Salvia

Rocco Salvia in un ritratto fotografico di Angelica D'Angelo
Rocco Salvia in un ritratto fotografico di Angelica D’Angelo

David Hammons

Nel 1992 avevo in corso una mostra nella Galleria Sala Uno di Mariangela Scroth a Roma, uno spazio grande con tre grandi archi su entrambi i lati e uno su una parete laterale.  Nel pomeriggio passavo spesso in galleria e un giorno in questo spazio grande entra un artista, non mi ha detto nemmeno chi era, ha cominciato a guardare le opere, abbiamo parlato un po’ ed è uscito.

L’aspetto era di un uomo di colore con sfumature rasta per la lunghezza dei capelli.  E’ noto a tutti che in America, soprattutto dopo le lunghe lotte e i conflitti degli anni 60 e 70, le persone di colore sono parte integrante della molteplice e complessa realtà sociale dell’America del nord e del sud, incrocio di etnie e soggetti provenienti da paesi e regioni diverse sin dagli inizi del 900.  Boston è tuttora la città col maggior numero di conflitti razziali.  Bande rivali di giovani di 15-20 anni, africani, portoricani, messicani e sudamericani si combattono tra loro, vedi Gran Torino di Clint Eastwood. Poi ci sono gli avvocati, politici, attori, artisti, produttori, jazzisti, manager, imprenditori,  ecc. che si combattono, anche se in maniera diversa.

Più tardi prima di andare, passo a trovare Mariangela e mi dice che era venuto a trovarla David Hammons, un artista che aveva conosciuto dieci anni prima. Artista di strada a New York,  Hammons aveva vinto quell’anno un premio di due miliardi di dollari e grazie al premio era entrato  in poco tempo nel circuito delle grandi mostre di Miami e Kassel.  Hammons era un pò confuso e spiazzato dall’improvviso cambiamento, da artista di strada a Star Internazionale.

Un grande assicuratore di NY dopo la morte aveva devoluto le sue finanze ad un associazione con l’esplicito intento di fondare un premio da assegnare ogni anno ad un artista, scrittore, musicista, ricercatore e scienziato. Non so oggi qual’è la situazione ma, in quegli anni, queste erano cose che potevano succedere solo li, nella Mela che era Grande.

Raccogliere oggetti per le strade è una tecnica pittorica praticata da sempre da tutti gli artisti a New York, anche gli artisti europei quando ci arrivano cominciano a raccogliere tutto quello che capita. Franco Nuti dopo un anno a New York è tornato con un sacco di buste di varie dimensioni, piene di roba, biglietti, oggetti, oggettini, carte di appunti, pezzi di legno, scatole, anelli, tutti raccolti minuziosamente in buste di plastica di varie dimensioni.  L’oggetto, raccolto e riproposto, è diventato un nuovo genere e una nuova  tecnica artistica, che si differenzia in base al tipo di cose raccolte. Dagli oggetti si è passati alle immagini, articoli, foto e altro. Il dibattito è andato via via ampliandosi, e in questa linea potremmo individuare in Brooadthaers un anticipatore.  Direttore per quattro anni di un Museo in Francia,  con la mostra alla Stadtische Kunsthalle di Dussendorf 1972, riflette sulla sua idea di museo e di oggetto e sul ready made di Duchamp. Anche  Boltanski e Richter possono essere considerati sostenitori della nuova idea di oggetto che si afferma negli anni 70.   Quasi tutti gli artisti degli anni 2000 hanno aperto questo dialogo particolare con le cose e infine anche  gli scrittori sono rimasti intrappolati dall’oggetto, Orhan Pamuk ha aperto a Istanbul un museo in cui ha esposto tutti gli oggetti descritti minuziosamente in un suo libro.

L’eccesso nell’uso di oggetti nell’arte contemporanea non spaventa e  smarrisce più nessuno, fare uso di varie cose è come fare un buon disegno, una buona istallazione, uno stencil, un video, una scultura. Dipende tutto dal modo in cui l’artista trasforma e contestualizza l’oggetto trovato, e dal risultato finale.

Hammons ha vinto il premio con una bicicletta rotta, una di quelle che avrete visto tutti, legata ancora con la catena ad un segnale stradale, ma senza ruote e senza manubrio. Uscito alla fine degli anni 60, è rimasto coerente con la tradizione dell’oggetto trovato dell’American style, ma elaborando nelle sue istallazioni vari riferimenti alla tradizione afroamericana.  Le varie culture di cui si occupa nei sui lavori, rispecchiano il vero volto dell’America e la molteplicità dei conflitti che nascono ogni giorno dai continui scontri e incontri.  Un’altra sua opera molto nota, visibile al Museum of Modern Art di New York, è  una bandiera afroamericana che sostituisce il nero al bianco della parte a strisce e delle stelle della bandiera americana, ottenendo cosi una bandiera afroamericana a strisce nere e rosse e a stelle nere su fondo verde. Gli Artisti degli anni 2000 fanno interventi minimi sugli oggetti trasformandone il significato.

David Hammons  era venuto a trovare Mariangela perché, dieci anni prima, le aveva proposto una sua mostra e lei non gliela aveva fatta fare.

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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