Spagna dei misteri

Mojácar, Spagna
Mojácar, Spagna
Mojácar, Spagna

Mojacar, un nome quasi arabo, come moresco tutto sembra in questa parte di Spagna con le spalle ammantate dalla Sierra Nevada.
Sono di fronte ad un mare incantato, azzurro, con il fondale, profondo, disseminato di ciottoli lisci.

Nuotando a largo l’ombra del corpo si delinea sul fondo di sassi colorati. Deserto, sole, vento.
Stamattina mi sono svegliata su questa infinitesimale spiaggia di sassi.

Come sono arrivata quaggiù non lo so.
Il ricordo più vicino risale ad un ristorante sotto un pergolato di palme nella bianchissima cittadina arroccata sulla collina: strade piccine e maioliche blu.

A Mojacar ero giunta attraverso le montagne, di sera, dopo il calare del sole. Un viaggio onirico e lunare fra queste dolci pareti di roccia rosata nelle quali è scavata la strada. Sulla sinistra il mare blu come la notte più profonda, illuminato da vaghe lampare quasi sulla linea dell’orizzonte.

Nel ristorante sotto il palmeto, avvolti da una musica soft, si mangiava pesce alla griglia e gelato al limone e si beveva una dolcissima sangria affatturata. Devono avermi stregata con le spezie e il vino dolce e ghiacciato. Mi hanno stregata con le arance ed i limoni dal sapore arabo.

La notte mi ha lasciata fra le braccia di una mattina calda.

Aprendo gli occhi vedo una scala di roccia rossa che scende giù, scalini su scalini ed ancora scalini, fino al mare.  Qui vive la Pitonessa, una donna bellissima e senza età dai capelli di sale e di alga, la pelle ormai d’oro come il sole, gli occhi più chiari del mare, una gonna nera a balze ed una maglia verde mare che le lascia scoperte le spalle… mi accoglie nel suo piccolo rifugio mentre il mare ci lambisce i piedi.

Ancora una volta, lungo questo viaggio, sono in balia di un magico mondo misterioso.

Tutto è cominciato a Valencia: Valencia dalle porte fortificate, Valencia dagli alabastri più tenui, Valencia della città vecchia dove (nonostante il tentativo delle amministrazioni locali di renderla uguale a mille altre città storiche con arredi urbani, panchine, percorsi pedonali, localini ed ombrelloni) il gotico, il barocco e il liberty resistono  nel loro sovrapporsi, nel loro creare apparizioni, movimento, confusione grazie anche agli intrichi di stradine e piazzette che, immodificabili, portano fino alla Cattedrale. Improvvisa ed immensa, con la cupola, bianca vetrata da arcate di finestre d’alabastro venato di giallo che sfuma al rosa, trasformando lo sguardo in una fuga verso il cielo.

Lì, oltre l’antico ostensorio d’oro e d’argento ricolmo di pietre preziose e ornato con collane di perle a profusione, i due dipinti di Goya dai volti stravolti e dai colori cupissimi, il Santo Graal si manifesta nel suo tabernacolo d’oro laminato,

Sì, proprio il Graal di Parsifal, il Graal della conoscenza, la piccola coppa d’agata dalle sfumature bianche che fu incastonata in oro e pietre preziose forse proprio dai saraceni, come attesterebbe un’iscrizione in arabo, mai tradotta completamente, che istoria il suo piede.
Il Santo Graal di Valencia, uno dei più misteriosi fra numerosi Graal che chiese e cattedrali conservano gelosamente, pronte a qualsiasi ordalia capace di dimostrare che proprio quella coppa ha contenuto il sangue di Cristo.

E mentre mi stupisco che sia non più largo di un bicchiere e non più profondo di un mestolo , m’accorgo di essere circondata da un’energia profonda, quasi una visione che rimane al mio fianco lungo il viaggio.

E si va oltre, attraverso litoranee o strade perdute fra montagne mozzafiato, si va fin verso la sommità della punta più orientale: Cabo S. Antonio, una scogliera a picco sul mare, un’altezza quasi infinita, un vento senza requie.

Non c’è altro che il mare, la montagna ed il vento.  Un luogo di potere, avrebbe detto Carlos Castaneda, di potere totale.

Il vento, come un padrone inospitale, ricaccia indietro gli esseri che tentano d’avvicinarsi, trasformando la montagna in un campo di ferocissime battaglie. E’ come se una forza superna sovrastasse ogni resistenza; è un’unica, incredibile danza di sensazioni turbinose.

Ed in fine di corsa verso la cima della roccia, stringendo fra le mani  una pietra strappata alla scogliera per andare via in pace da quella tempesta di energie straordinarie scatenata tutt’attorno.

Eppure non tutto sembra essere domato.

La strada prosegue fra le alte montagne fino a Cabo la Nao che appare molto più alto o, forse, è solo molto più a picco. Qui, in bilico su una balza di roccia rosa riparata dal vento, ho visto un altare di mare proprio sotto ai miei occhi. Colori di lapislazzuli e malachite.

Se dio è un pesce la sua cattedrale è nel fondo di un mare di scogli.

La carretera  fino ad Alicante passa per montagne scure e notturne piene di presenze stregonesche: il Penon di Ifach è come un dente di mare; e nonostante palazzi e grattacieli, le luci delle case sparse nel nero della roccia, le gallerie scure, le torri rotonde mantengono integra quest’aria magica, forte di presenze inquietanti.

Alicante mi abbraccia come un orribile mostro dai tentacoli di grattacieli.

Andare, bisogna, proseguire verso Elche dove dicono vi sia una foresta di palme. O forse è solo un grande parco, un giardino, ma di notte Elche si confonde con le sue stesse palme che appaiono all’improvviso in ogni luogo e sembrano bianche e spettrali alla luce della luna.

E allora via di nuovo verso Murcia ammantata di barocco dove decido di togliere l’anello.

Quell’anello misterioso acquistato da un rigattiere di Valencia: una pietra lavica lucida, incastonata in una montatura ottocentesca ornata da infinitesimali scaglie di diamante.

“La pietra è scheggiata e manca una scaglia -dice la donna che me lo mostra nel negozio- glielo lascio ad un prezzo stracciato” dice ed io penso che voglia proprio liberarsene.

A Murcia tolgo l’anello e lo lascio cadere in una cunetta della Piazza centrale. La visione che mi segue dalla Cattedrale di Valencia scompare mentre la strada prosegue, attraverso le montagne fino alle spiagge di Aguilas ed oltre fino alla notte di Mojacar.

+ ARTICOLI

Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.