La mostra che non ho visto #57. Carlo De Meo

Carlo De Meo su un ritratto fotografico di Nadar
Carlo De Meo
su un ritratto fotografico di Nadar

15 aprile 2014

Era la prima volta che salivo a Parigi con i miei acquerelli.

Da tre notti soggiornavo in una piccola pensione economica, la “Chambres” (o così era scritto a lato dell’ingresso), all’angolo con boulevard des Italiens che, da buon italiano che sono, aveva attratto il mio ago, non che avessi bisogno di orientamento, ma quel “deglitaliani”, facilmente tradotto dal mio pessimo poliglottismo, aveva fatto di quella via il mio punto di riferimento. Zona centrale a due passi dall’Opèra. Perbacco.

Da tre notti ritornavo bagnatofradicio per quella pioggerellina primaverile che “nonteneaccorgi” finché non sei, appunto, bagnatofradicio e che anche quella mattina, la quarta dal mio arrivo, inespressivamente cadeva. Ombrelli, ombrelli e ombrelli che ad alzar la testa ci rimettevi le orecchie e io con il mio cappotto pesante e la bombetta a frusciar acqua per ogni inchino, per ogni ombrello. Boulevard des Italiens straboccava di gente e di scritte e io le percorrevo tutte guardando, leggendo e a volte salutando. Boulevard des Italiens che a percorrerlo tutto ti ritrovi dai “cappuccini” ma io non ci ero ancora arrivato. Giravo sempre a sinistra verso rue Saint Honoré e poi giù verso il Louvre. Il Louvre, no, anche qui non ci ero ancora andato ma mi piaceva passeggiare lungo la Senna e attraversare l’“ile”, sedermi su qualche panchina, acquerellare una Notre Dame, bagnarmi il culo e rincamminarmi.

Quella mattina, la quarta, mi fermai a guardare il mio riflesso sulla vetrina de la Librairie Rey e a leggere le parole che mi si appoggiavano alle spalle tipo EFAC o EIREGNALUOB o come NOYL ED ERAG che mi saettò tra finestrini colmi di teste cappellate. Ero arrivato da lì, dalla Gare de Lyon, e ora ero qui, estatico, davanti alla Librairie Rey, a leggere, ad alta voce, lo scorrere “des Italiens”…
– Vous etes Italien?… di Italia? -.

Mi voltai di poco e mi ritrovai faccia a faccia con un cilindro neroperlato di gocce, il volto un po’ più in basso con due baffi nouveau – Gaspardfelix [tuttodunfiato] fotografo – e con in mano un mazzetto di quadernetti appena stampati.

– Carlo, acquarellista italiano – risposi e lui, facendo cenno alla mia cartellina, mi fece comprendere che aveva già compreso. Me ne diede uno e mi invitò, con qualche cenno di italiano, per la sera ad una “exposition des artistes peintres, sculpteurs, graveurs, etc…” più giù, come indicava il suo dito, dai “cappuccini”. Lo vidi andare via mentre alzava il cappello al grido – boulevard des Capucines 35, ce soir -. Mi ritrovai con il quadernetto in mano, lo stesso che era appena stato posato al centro della vetrina della Rey:

SOCIETE ANONYME

exposition des artistes peintres, sculpteurs, graveurs, etc…
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PREMIER

EXPOSITION

1874

35, boulevard des Capucines, 35
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CATALOGUE
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Prix: 50 centimes

Cinquanta centesimi… dovevo dargli cinquanta centesimi? Beh, “ce soir” pensai e continuai a sfogliarlo svogliatamente incamminandomi verso la “Chambres”. Le pagine, leggere come la copertina, erano un elenco di nomi mai sentiti (in fondo non conoscevo nessuno a Parigi), e di titoli di opere mai viste ma ben numerate fino alla 165: Port-Marly, soirée d’hiver. Che poi fu l’unica che lessi con attenzione.

“Ce soir” arrivò la sera stessa di un 15 aprile qualunque e mi incamminai per i cappuccini alzando gli occhi per vedere la grande scritta che mi aveva indicato Gaspardfelix [tuttodunfiato] come punto di riferimento.

LA VILLE DE SEDAN MANUFACTURE DE VETEMENTS mi apparve da lontano, quasi ero ancora da “des Italiens” e automaticamente allungai il passo.

Aveva smesso di piovere e sotto la grande scritta, davanti al piccolo ingresso, si fumava in un bel movimento di bastoni e cappelli… esitai un attimo ma poi entrai chiedendo, tuttodunfiato,

– Gaspardfelix -. – Nadar? Il est là – indicò, con un veloce gesto di mano la donna che si prese il franco di ingresso con un altro veloce gesto di mano. “Il est là”, come dire “siamo tutti qui” in un insieme di figuri neri e dritti e poi…”Nadar”? eravamo all’atelier Nadar, di quel Gaspardfelix che, intuisco, sia Nadar.

Uno sguardo a centottantagradi e mi spinsi, a mani palmate, verso la grande e calda stufa piastrellata. La colonna a tortiglione frondato, alla sua sinistra, mi ricordava il baldacchino di San Pietro mentre un brivido di calore mi ravvivava la schiena.

Quadri, tanti quadri di “luoghi”, disposti in alcuni casi su due file, riempivano le pareti come scorci tra teste e grossi cappelli. Scorci scorciati, per ora non vedevo che scorci di quadri che raccontavano di scorci di luoghi, di cieli e anche di qualche figura. Mi incamminai labirinticamente tra le stanze e mi soffermai, per una questione di spazio libero, davanti ad un’annebiata visione cittadina… “boulevard des Capucines”, lo riconobbi in quel grigiore di fine pioggia che smuove un frenetico formicolare di neri e, ad ogni nero, cominciai fantasticamente ad appiccicare tanti di quei volti già guardati in boulevard des Italiens. Accanto a me due incappottati non concordavano con il mio entusiasmo infantile, lo capii dai gesti e dal continuo indicare astrattamente, con il bastone pomellato, qualcosa di… – Ah,ah – ghignò uno dei due davanti al 97 – Questo si che è riuscito. Eccola qui l’impressione, o altrimenti non capisco nulla; vogliate solo dirmi che rappresentano quelle striscioline nere in basso -. – Ma – rispose l’altro – Sono persone che passeggiano -. – Sicché, quando passeggio per il boulevard des Capucines appaio cosi? Fulmini di Giove: ma, insomma, vi prendete forse gioco di me? –[1]. Le ultime parole sfumarono nel vociare generale quando, allo spostarsi dei due, venni letteralmente fulminato dal rosso di un cerchio di luce rossa. Era il 98, un metro più a destra, piccolo ma ben incorniciato, con il suo disco di fuoco in un campo instabile di un denso e cupo rosa napoletano e tre macchie nere che sputavano in basso altre macchioline nere. Apro finalmente il mio quadernetto e a pagina 15 leggo: MONET (Claude), 95, 96, 97 (confermo, il 97 era veramente boulevard des Capucines), 98 – Impression, Soleil levant.

Rimasi impressionato da quel sublime attimo di sole riflesso che mi accompagnò fino alla “Chambres” dove, due giorni dopo, dimenticai i miei acquerelli parigini per far ritorno in Italia. E veramente li dimenticai, tanto, dopo quell’Impression, era tutto da cominciare lasciando “alle spalle la realtà per entrare nel regno del puro idealismo”[2].

Note

1.  il dialogo dei due incappottati è di Louis Leroy, in Le Chiarivari, 25 aprile 1874 “L’esposizione impressionista”.

2.  Jules Castagnary, in Le Siecle, 29 aprile 1874 “Lesposizione sul boulevard des Capucines”.

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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