Il corpo non dimentica. Violetta Bellocchio contro il binge drinking

Violetta Bellocchio, Il corpo non dimentica
Violetta Bellocchio, Il corpo non dimentica
Violetta Bellocchio, Il corpo non dimentica

Qualche sera fa ho incontrato Violetta Bellocchio. Aspettavo la presentazione del suo libro fuori da un locale, e l’ho vista  arrivare con passo vivace tirandosi dietro un trolley verde. Salutava tutti quelli che conosceva con delicata allegria, poi ha guardato anche me, che stavo impalata sulla soglia, e mi ha sorriso. A fine serata, quando le chiederò l’autografo, lei chiederà a me se ci siamo già conosciute. Purtroppo no,  sembra una persona che ha molto da offrire.

Eppure ho aperto il suo libro convinta di sorbirmi qualcosa di già scritto, su un tema usato e abusato, forse fuorviata da qualche stralcio di critica che invoca il fascino delle storie borderline.

Inizio a leggere sulla difensiva – per quanto già alle prime pagine senta lo stimolo di un plauso per lo stile, diretto e sfacciatamente efficace – mentre mi si svela il suo curriculum vitae, che… tanto di cappello; Violetta dice di essere brutta, lo ripete più volte, come fosse un suo dramma personale: brutta e grassa. Chiudo il libro per fissare la foto sulla quarta di copertina, controllo su Google immagini per essere certa che non sia solo uno scatto ben riuscito, ma mi trovo davanti ancora quella donna bella, dagli occhi castani intensi e dalla bocca sensuale. La domanda sorge spontanea:  cos’ha, una così, da tormentarsi a suon di ubriacature? E aspetto la rivelazione dell’evento traumatico che ha scatenato questa mania di binge drinking.

Invece mi prendo uno schiaffo in faccia, e me lo merito. Lo dice Violetta quanto sia fuori strada, quanto la Sandra Bullock di 28 giorni sia una macchietta per pellicole da blockbuster. La realtà è tutt’altra faccenda, è un fantasma parassitario che strappa l’anima come fosse un vestito delicato. Non c’è un trauma specifico all’origine, c’è solo il fatto, c’è che accade e da lì avanti per anni. La causa prima può essere stata la debolezza, l’assimilare male una serie di episodi che non sono tanto più gravi di quelli che capitano a ognuno di noi, ma che restano ferite aperte in quella parte dell’anima che vuole andare oltre:

Noi accettiamo di diventare dipendenti da qualcosa, perché la dipendenza è vita allo stato puro: la dipendenza è sangue e seme e acqua, denti e sudore, pelle, fuoco; la dipendenza ci fa stare in ginocchio davanti a qualcosa che non capiamo. È difficile smettere perché è impossibile accettare che niente ci farà sentire mai più così; che la fiamma ci ha liberato.”

C’è anche tutto il resto, però, la parte brutta, quella degradante. Violetta piange. E’ quella figura seduta al bar che mette in imbarazzo. Salta da un uomo all’altro più o meno cosciente, continua a sentirsi brutta, a sopportare lo scherno di un capo prepotente, a perdere vita e tempo, a risvegliarsi sporca e inadeguata, senza avere memoria degli antefatti. Pensa alle vite degli altri (quelli normali) come a qualcosa di oscuro. Finché una disperazione di troppo la porta a vagare per le strade di Milano fino a una riunione di Alcolisti Anonimi, e da qui piano piano comincia a prendersi cura della sua Lei indomita, che rimane là, dentro e fuori il corpo che non dimentica ma insegna.

La prosa è frammentaria, i periodi corti e le frasi spezzate assecondano le visioni altalenanti della sua autrice, la sintassi gioca con la punteggiatura, molte domande hanno il punto fermo e sono anche la risposta. Ogni tanto scappa qualche sorriso, ma senza invasione, perché  la stesura finale è rimasta fedele alla scrittura istintiva e calda della donna che segue il suo percorso di riabilitazione.

Violetta mette sotto accusa la negazione con cui in Italia viene surclassato l’alcolismo, eppure il suo non è un libro di denuncia, nemmeno un semplice memoriale, forse per lei scriverlo è stata una catarsi, ma per chi legge è vita vera.

Questa è una cosa importante.

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Appassionata di scrittura, letteratura, arte antica e contemporanea, si è laureata in archeologia per poi volgersi al mondo editoriale. Ha lavorato in una casa editrice romana e pubblicato articoli su riviste cartacee e sul web. Ė autrice di testi critici d'arte indipendente romana, di cui ha curato il progetto comunicativo per le esposizioni. Ama anche altre cose che non c'entrano niente con tutto questo.

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