Afro-american identity

Deborah Willis è una fotografa afro-americana, curatrice, storica della fotografia, insegnante al College of Arts and Sciences in African Studies di Washington, docente e direttrice del Department of Photography & Imaging presso la Tisch School of the Arts della New York University (NYC). Deborah affronta da anni le questioni legate all’African American Art e alla cultura popolare e focalizza la sua ricerca sui temi legati alla politica del corpo, alla razza e alla sessualità, con particolare attenzione ai fotografi afro-americani e alla cultura dell’immagine fotografica.
Dopo aver visitato il dipartimento che presiede Deb Willis nella città di New York, l’abbiamo raggiunta telematicamente per farci raccontare nel dettaglio qual è la sua filosofia e quale è il modus operandi che adotta per portare avanti la sua corposa e variegata attività. In questa intervista si racconta, quindi, in qualità di artista, docente e studiosa.

Come autrice, qual è la tua filosofia?

“Ho cominciato a studiare fotografia nel 1970, ispirandomi al lavoro degli autori Roy DeCarava e Gordon Parks. Le mie immagini si soffermano sul concetto di fotografia come biografia, ma anche come documentazione del corpo femminile. Uso le foto della mia famiglia e quelle d’archivio per produrre storie e politiche sociali, cercando di sollecitare il pubblico a immaginare – a livello collettivo e individuale – le esperienze ritratte nelle foto degli afro-americani nel XIX, XX e XXI secolo. Nel costruire un racconto fotografico attraverso la memoria adopero, quindi, sia scene di vita quotidiana della mia famiglia, sia quelle di altri nuclei familiari afro-americani.
Il discorso autobiografico è essenziale perché mi permette di esplorare i valori culturali, le tradizioni e le percezioni nella comunità nera della quale faccio parte. Memorie collettive e individuali sono, quindi, alla base del mio approccio alla fotografia perché sono profondamente interessata alla connessione fra il presente e il suo legame con il passato: l’identità è legata alla collettività e la costruzione di idee è concepibile solo attraverso la spiritualità e il processo creativo del fare arte.
Col mio lavoro esploro il corpo nella fotografia del passato quanto in quella attuale. Centrale è il focus su quanto la visualizzazione del corpo nero influisca su come vediamo e interpretiamo il mondo. Nella mia pratica fotografica e negli scritti che ho redatto, ho sempre valorizzato la bellezza e lo stile nella fotografia americana. Ho anche esaminato come l’attenzione al passato abbia profondamente determinato la costruzione visiva del corpo nero nella società contemporanea.”

Parlaci del tuo lavoro fotografico più recente…

“Nella serie Nancy Lewis, Bodybuilder mi sono concentrata sul corpo nero femminile contestualizzato nel presente. Nelle immagini focalizzo l’attenzione sul lavoro fisico della bodybuiler che si esprime – anche esteticamente – attraverso la contrazione muscolare delle diverse parti del corpo, dalle spalle ai polpacci. La raffigurazione dello sforzo fisico e il suo impatto sullo sviluppo del corpo sono da sempre associati all’uomo, ciò significa che nell’immaginario collettivo il mondo del lavoro che richiede impegno fisico è considerato di esclusiva pertinenza del genere maschile. Questa serie tenta di spiegare, invece, il modo in cui il corpo femminile nero così come configurato nelle mie immagini, decostruisce e riconfigura l’iconografia delle donne e valorizza la forza del corpo scolpito, superando così una serie di preconcetti sociali.”

Come studiosa cerchi nuovi sviluppi di idee già composite e strutturi proposte di visione innovative.

“Vero. Come educatrice e studiosa ho notato che non vi era alcun testo che offrisse una discussione critica della fotografia in riferimento alla cultura afro-americana. Ho pensato di dover colmare questa lacuna e, nel corso degli anni ho prodotto libri e pubblicato articoli per affrontare, approfondire e diffondere tali tematiche.
Inoltre ho osservato il modo in cui gli autori si servono del mezzo fotografico per indagare sulla famiglia, come le famiglie e il pubblico in generale conservano e considerano quelle immagini, ho analizzato le relative implicazioni, gli stereotipi, come pure il modo con cui la fotografia di genere è raffigurata e quali sono i presupposti adoperati per interpretare il genere femminile. La maggior parte dei lavori che ho pubblicato offre, quindi, nuove interpretazioni della storia della fotografia, dell’African American Art e degli studi di genere.”

Qual è il ritmo della fotografia in America, oggi?

“Non vi è un ritmo unico e specifico. Gli autori utilizzano video e nuovi media, ma realizzano anche – e ancora – stampe di grandi e piccole dimensioni con lo scopo di riconsiderare i modi di guardare l’identità, il corpo e le storie di genere. In ogni caso la memoria – collettiva e personale – è centrale per il lavoro della fotografia contemporanea.”

Embracing Eatonville: A Photographic Survey è uno dei tuoi progetti fotografici…

“Sì. Nel 2003 ho visitato Eatonville, in Florida, Stati Uniti, luogo che ha dato i natali della scrittrice studiosa del folklore statunitense Zora Neale Hurston. Eatonville è stata una delle prime città del tutto popolata da neri, e fu costituita il 15 agosto 1887, dopo la guerra civile e dopo il Proclama di Emancipazione, che risale al 1° gennaio 1863.
Ho fotografato nei ristoranti, dall’estetista e nelle chiese, costruendo una storia rapportata alla realtà del posto in cui mi trovavo. Ho anche fotografato le shotgun houses, abitazioni arrivate in Florida attraverso la tratta di schiavi neri dai Caraibi, che testimoniano le tradizioni costruttive africane. Mentre scattavo queste foto mi sono resa conto di come si manifesta la bellezza nella cultura afro-americana, dalla fisicità del corpo alla struttura architettonica delle case.
Nel 2012 ho visitato di nuovo la città e ho realizzato un altro progetto dal titolo I Am Going To Eatonville: Memory and Reflection le cui immagini evocavano proprio i romanzi, i racconti, le lettere e le ricerche condotte da Zora Neale Hurston.”

Parliamo di pubblicazioni: il libro più importante che hai scritto finora e il prossimo che vedrà la luce.

“Il mio progetto più importante è Posing Beauty nel quale metto in discussione la comprensione contemporanea della bellezza, partendo dai concetti di estetica, di razza, di classe e di genere all’interno dell’arte, della cultura popolare e dei contesti politici.
In Posing Beauty ho esplorato le modalità controverse in cui la bellezza africana e afro-americana è stata rappresentata in contesti storici e contemporanei attraverso una vasta gamma di supporti, tra cui fotografia, film, video, moda, pubblicità, e altre forme di cultura popolare come la musica e internet. In tutta la storia occidentale dell’arte e dell’immagine, la bellezza come impulso estetico è stata allo stesso tempo idealizzata e sfidata, e il rapporto tra bellezza e arte è diventato sempre più complesso.”

DEBORAH WILLIS, DOCENTE

Quali sono le principali attività del dipartimento che presiedi alla New York University?

“Il Department of Photography & Imaging è un programma quadriennale incentrato sulla realizzazione e la comprensione delle immagini. Gli studenti esplorano la fotografia come mezzo di espressione personale e culturale. Il programma offre un piano diversificato che abbraccia molteplici prospettive, attraversando i temi e gli strumenti della fotografia in ambito analogico, digitale e multimediale.
I nostri docenti sono artisti, fotografi, fotoreporter, designer, critici, storici e studiosi. Dopo il corso di studi non è raro che gli allievi continuino a esporre le proprie opere in gallerie e musei, a pubblicare su quotidiani nazionali e su periodici. Gli ex allievi diventano anche critici d’arte, fotografi documentaristi, fotoreporter, registi, grafici, web designer, photo editor ed educatori.
La pratica dello studio non è slegata dal mondo del lavoro: studiare fotografia a New York City significa essere al centro di una metropoli in cui l’obiettivo professionale diventa parte integrante della tua esperienza, e le opportunità per allenarsi non mancano nei quartieri fashion, ad esempio, ma anche in quelli finanziari, nelle gallerie e nei musei, o semplicemente osservando la vita urbana, quella notturna, in teatro o a Central Park.”

Progetti espositivi e pubblicazioni sono affari del dipartimento?

“Certo, abbiamo un corposo programma espositivo, un blog e numerose pubblicazioni che mettono in luce il lavoro degli studenti.
Fra le tante mostre organizzate in passato voglio ricordare The View from Left Field, realizzata con foto tratte dal giornale del Partito Comunista d’America i cui archivi sono di proprietà di NYU Tamiment Library; e Act vs. React: DPI @ 30, esposizione con la quale abbiamo celebrato i trent’anni di attività del dipartimento.”

Gli allievi più bravi finiscono sul giornale...

“Succede spesso. Ad esempio, una serie di servizi sui conflitti in Siria, Afghanistan e Libia, realizzati dal nostro Bryan Denton sono state pubblicate sul New York Times. Su globalpost.com la fotografa ed ex allieva Bridgette Auger ha pubblicato un lavoro sulle aggressioni sessuali e sugli stupri delle donne egiziane di piazza Tahrir. A Los Angeles l’ex allievo Austin Irving ha esposto recentemente una personale dal titolo Caves, che raccoglie una serie di immagini di caverne sotterranee presenti nel Sud-Est asiatico e negli Stati Uniti, stampate in grande formato e a colori. Infine, il progetto The Armory della fotografa Liz Moran è stato pubblicato di recente su Wired e sul sito del New York Magazine.”

Quanto è importante la presenza di sedi dell’università di New York dislocate in altre nazioni?

“Lo ritengo fondamentale. La NYU ha un campus anche in Italia, nella città di Firenze, dove sono organizzati corsi pratici e di approfondimento critico, essenziali al fine di orientare lo studente nella scena mondiale come curatore, fotografo o critico.”

In questo complesso periodo storico, cosa significa insegnare cultura dell’immagine?

“Vuol dire chiedere agli studenti di avere il coraggio di esplorare e cercare la diversità. Agli allievi dico sempre di riflettere criticamente sul loro ruolo di artisti nella società di oggi; chiedo loro cosa pensano delle immagini fotografiche, invito a riflettere sulle modalità di osservazione e interpretazione delle fotografie. Voglio sfidare quello che i miei allievi pensano di sapere sul mondo dell’immagine, scardinare le loro convinzioni, ampliare la capacità di riflettere e di porsi sempre nuovi interrogativi, voglio che siano in grado di tenere discussioni consapevoli circa il loro ruolo di creatori d’arte.
Nei miei corsi unisco la teoria e la storia contemporanea, con un approccio scientifico alla cultura visiva gli allievi devono saper affrontare la costruzione di progetti di tipo politico, sociale ed estetico, devono interpretare l’idea del corpo, costruire la bellezza e avere piena padronanza dei mezzi della tecnologia per utilizzarla al fine di realizzare un racconto visivo. Tutte le settimana viene scelto uno studente, questi conduce la discussione attraverso quattro domande chiave, individuate studiando, così facendo incoraggio i miei allievi a esplorare il patrimonio culturale e artistico, a valutare gli usi politici della fotografia in modo che siano in grado di trovare una collocazione dei loro studi nel mondo reale. Chiedo loro anche di analizzare una fotografia e di decodificare i riferimenti nascosti in essa che riflettono gli interessi ideologici ed estetici dell’autore.

Spesso la fotografia ha una particolare valenza sociale che gli allievi devono essere capaci di riconoscere. Si studiano, quindi, i casi più emblematici, dall’esperienza della Farm Security Administration alle drammatiche immagini dei prigionieri iracheni torturati ad Abu Ghraib.”

Le prossime mostre.

“In collaborazione con mio figlio Hank Willis Thomas sto curando la collettiva Social in Practice: The Art of Collaboration alla New York University e alla Nathan Cummings Foundation. L’esposizione riunisce trasversalmente varie forme d’arte, autori con background differenti, collettivi e organizzazioni che esplorano l’idea di collaborazione nel campo delle arti.
Abbiamo invitato fotografi, scultori e video artisti, ma anche programmatori, sociologi e medici che hanno risposto alla nostra iniziativa mirata a comprendere i meccanismi dei progetti di collaborazione nei rispettivi generi, e gli interessi specifici incentrati sul concetto e la pratica del fare arte in collaborazione.
La mostra è suddivisa in cinque sezioni: Portrait, Audio-Visual, Document, Garden, Exchange. Gli artisti selezionati per questa esposizione diventeranno, quindi, veicolo della consapevolezza del potenziale dell’arte, elemento fondamentale per la costruzione di una società futura sana.”

Info

  • Deborah Willis, artista afro-americana, fotografa, curatrice, storica della fotografia, docente e direttore del Department of Photography & Imaging presso la Tisch School of the Arts della New York University (NYC).
  • Premi, esposizioni e pubblicazioni.
    Deborah Willis è stata insignita di numerosi premi fra i quali il Guggenheim Fellow 2005, il Fletcher Fellow e il MacArthur Fellow 2000. Come fotografa ha esposto in vari Paesi quali Stati Uniti, Portogallo, Ghana e Canada. Con la professoressa di storia afro-americana Barbara Krauthamer ha scritto il libro Envisioning Emancipation per la casa editrice Temple University Press. Suo è anche il lavoro editoriale Posing Beauty: African American Images from the 1890s to the Present (W.W. Norton, 2009). Nel 2010, per il libro Michelle Obama: The First Lady in Photographs (W.W. Norton, 2009), Willis ha ricevuto l’NAACP Image Award for Outstanding Literary Work-Biography/Autobiography. Nello stesso anno ha ricevuto l’Honored Educator Award of the Society for Photographic Education.

http://debwillisphoto.com/home.html
http://www.photo.tisch.nyu.edu/page/home.html

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La biografia ufficiale recita: giornalista specializzata in fotografia, curatrice e fotografa. Membro di giurie di premi nazionali e internazionali, partecipa alle letture di portfolio, cura progetti fotografici ed espositivi, segue un filone di ricerca personale. Sono un cielo nuvoloso è la sua più recente esposizione fotografica. Collabora con associazioni culturali nell’organizzazione di eventi e conferenze sulla fotografia, partecipa alla realizzazione di vari progetti editoriali e cura l’archivio della fotografa calabrese Gina Alessandra Sangermano. Nella biografia ufficiosa, invece, si legge che Loredana è una cittadina del mondo nata nel Sud Italia, che ama viaggiare, intraprendere nuovi percorsi interculturali, e che ha fatto della fotografia e della cultura fotografica la ragione della sua vita.

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