Salone del Libro di Torino 2014. Tante parole, ma tutte uguali

Salone del Libro di Torino 2014 - Ph. Milvia Comastri
Salone del Libro di Torino 2014 - Ph. Milvia Comastri

Amo leggere, e questo amore per la lettura ogni anno mi sospinge verso il Salone del Libro di Torino. Il libri, gli stand degli editori, le sale colorate, i colori, i suoni, le persone, sono per me un irresistibile richiamo. Così anche in questo 2014 rinvio impegni, disdico appuntamenti, mando al diavolo tutto e tutti e mi metto in viaggio.

Prima di entrare rammento che ho promesso di scrivere un piccolo articolo sull’evento, così decido di atteggiarmi a giornalista, anche se non so bene cosa significhi e cosa comporti.
Peccato che appena entrato vengo travolto dal Salone, tanto da dimenticare subito il mio compito. Pazienza, del resto non ho il senso del tempo e faccio confusione con i luoghi, avrei dunque scritto un incomprensibile articolo.
Mi limiterò a riportare un po’ di impressioni in ordine cronologico rigorosamente sparso.

Come sempre il Salone mi sembra un microcosmo staccato dal mondo, potrei paragonarlo a un enorme acquario, colmo di pesci variopinti. Ci sono le grandi case editrici che nuotano maestose, gli sciami di visitatori attratti dagli eventi e dai grandi nomi, i piccoli editori che stazionano ansiosi, i feroci EAP che scandagliano l’ acqua cercando anche la più piccola traccia di vanità, gli eleganti pesci intellettuali, i solitari lettori forti, i nervosi autori emergenti…

Quest’anno, però, nell’acqua c’è qualcosa di diverso, di assente, qualcosa che ha fatto sì che i pesci visitatori siano meno dell’anno precedente.
Non capisco di cosa si tratti, forse del profitto diminuito, forse dell’eccessivo numero di libri.
Ma non ho tempo per pensare a questo, per me il Salone significa anche incontrare amiche e amici scrittori, parlare con loro, ascoltarli.

Mi dirigo verso la sala azzurra dove uno storico presenterà il suo ultimo libro e la relatrice sarà una mia amica. La vedo davanti alla sala, ci salutiamo e decidiamo di aspettare l’ora dell’evento seduti a un tavolino dell’area esterna.
Parliamo di libri, dell’autore che tra poco presenterà e della campagna elettorale che lei sta facendo. Mi dice che vuole cambiare la narrazione, che vuole usare parole diverse, e mentre la ascolto capisco come sia la cosa giusta, perché la parola può cambiare il mondo.
Poi ci spostiamo in un bar, lei prende un caffè, anche io ne ordino uno per correggere il mio bicchiere di grappa.

Arriva il momento di un altro incontro, mi dirigo verso l’area riservata alla nazione ospite, dominata da una riproduzione della cupola di San Pietro. Mi fermo a parlare con i gesuiti, persone che sanno usare le parole in modo perfetto, poi vado alla sala bianca.

Ecco che arriva un’altra delle mie scrittrici preferite, ci salutiamo. Inizia la sua introduzione, parla di etica, distingue tra etica civile e religiosa. Sono d’accordo solo in parte con quello che dice, ma credo che difficilmente qualcuno saprebbe dirlo meglio. Sono affascinato dal modo in cui costruisce le frasi, da come usa le parole.

Ora c’è un’autrice di genere nella Arena, al Bookstock Village, giusto il tempo per arrivarci. La sala è stracolma, peccato, anche questa volta non riuscirò a parlarle, ma ho l’occasione per salutare la sua famiglia.
Intanto sul palco lei risponde alle domande, e io mi accorgo che il linguaggio è cambiato, ora è quello di una cultura che è stata contaminata dal pop. Ma non per questo il linguaggio è più povero o le sue parole meno affascinanti.

Adesso devo andare davanti allo stand Mondadori, mi aspettano giovani autori, altre parole, altri linguaggi.

Inizio a sentirmi un po’ stranito, tutte queste parole mi stanno ubriacando, anche se qualcuno mi suggerisce che in verità la colpa sia della grappa.

Parlo con una vera giornalista, con persone conosciute sui social, e poi mi  ricordo che l’amica che ho visto per prima entrando presenterà un suo libro per ragazzi. Vado alla sala dell’evento e ho il piacere di conoscere anche l’illustratore del libro. Mi siedo e ascolto come una saggista possa trasformarsi in una scrittrice di fantastico, un’ottima scrittrice. Del resto chi conosce le parole, chi sa usarle, può tutto.

Ma, un momento, forse è meglio se ritorno a parlare del Salone invece che dei miei amici.
Allora, dicevo, ah, si, dicevo che quest’anno mi pareva che mancasse qualcosa, qualcosa che è legato alla crisi attuale delle vendite, che la determina. E’ come se in questo acquario ci fosse meno ossigeno, meno…

Ecco, ci sono, credo di aver capito, c’è meno qualità, ci sono poche parole, o meglio ce ne sono troppe ma tutte uguali.

Adesso che guardo con attenzione gli stand delle case editrici mi accorgo che prestano sempre meno attenzione alle parole. Propongono improbabili rivoluzioni, cercano nuovi margini di profitto, nuove mirabolanti copertine, creano strani flipbak, magnificano il digitale… Non hanno capito che il fascino di un libro risiede solo  nelle sue parole, nel modo in cui vengono disposte, nella narrazione che ne deriva. Un tempo lo sapevano, ma ora lo hanno dimenticato, e mette un po’ tristezza vedere venditori dallo sguardo smarrito, incapaci di comprendere questa semplice verità.

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