Quindi questo è un selfie del ‘600?

Luca Giordano, Autoritratto, c.a. 1692, Pio Monte della Misericordia, Napoli
Luca Giordano, Autoritratto, c.a. 1692, Pio Monte della Misericordia, Napoli

“Quindi questo è un selfie del ‘600?”. Questa domanda, un po’ scherzosa e un po’ seriosa, è stata pronunciata davanti all’autoritratto di Luca Giordano nel Pio Monte della Misericordia a Napoli.

Però si sa, anche dalle inerzie possono nascere spunti di riflessione interessanti. Attraverso i social network che rendono necessari il riconoscimento visivo, sempre più spesso attraverso un autoscatto, facilitato ormai da smartphone e quant’altro, inconsciamente sempre più persone si approcciano alla fotografia. Ma qual è la differenza tra la pittura e la fotografia?

Questa è una domanda aperta a mille risposte perché il campo in cui esse spaziano è vasto e possono contenere tante verità quante sono le possibilità. Si può partire dagli attrezzi di lavoro ad esempio: una macchina fotografica ed un rullino (da anni basta anche solo una macchina fotografica digitale) per la fotografia; dei pennelli, un supporto dove eseguire il dipinto ed una tavolozza di colori di varia natura per il dipinto; fino a finire invece alla differente capacità di fruizione da parte dell’osservatore.

Però entrambe le arti hanno l’ambizione di immortalare nel tempo un preciso momento. Esse vogliono, tra tanti, rappresentare un singolo attimo nella successione del tempo che scorre.
Oppure no?

Per la fotografia è il singolo momento che conta. Ciò che avviene in quel preciso istante non è mai più possibile che accada di nuovo. Non esistono due azioni con lo stesso significato. Per dirlo con le parole del critico Roland Barthes:

“Ciò che la fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più a ripetersi esistenzialmente. In essa, l’avvenimento non si trasforma mai in altra cosa: essa riconduce sempre il corpus di cui ho bisogno al corpo che io vedo; è il Particolare assoluto, la Contingenza sovrana, spenta e come ottusa, il Tale, in breve la Tyché, l’Occasione, l’Incontro, il Reale nella sua espressione infaticabile.”

Claude Monet, La Gare di Saint-Lazare - L'Arrivo del treno,1 877, Musee d'Orsay, Parigi
Claude Monet, La Gare di Saint-Lazare – L’Arrivo del treno,1 877, Musee d’Orsay, Parigi

Quindi la fotografia ha la capacità dell’immediatezza. Riuscire ad incatenare con il solo singolo gesto dello scatto quel determinato momento che noi abbiamo scelto.

Per la pittura non è così per una serie di ovvie valutazioni. La prima è proprio nella mancanza di immediatezza della dipingere. Il tempo del soggetto ritratto nel dipinto scorre insieme al pittore che lo esegue.

Viene quindi d’obbligo la seconda osservazione. In un tempo così dilatato è in se il mutare. L’abbiamo detto prima che due attimi non sono mai uguali l’uno all’altro. Nel tempo dell’esecuzione del dipinto il cambiamento è insito nel soggetto, qualunque esso sia, all’idea stesso del pittore che esegue l’opera, il quale partendo da un’idea iniziale può cambiarla nel corso dell’esecuzione.

Quindi tutti questa serie di momenti viene poi resa sul supporto dalla capacità tecnica e dalla sensibilità dell’autore. Per cercare di spiegarmi nel modo più chiaro possibile vorrei partire da un dipinto molto famoso e che molti di voi, almeno una volta avrete visto: La Gare di Saint-Lazare  di Claude Monet.

Monet dipinse diversi quadri con il medesimo titolo, questo è senz’altro il più importante dipinto nel 1877 ed ora al Museo d’Orsay. L’opera ritrae un treno in arrivo in stazione con i suoi sbuffi di vapore bianco, all’interno di un complesso fatto di forme geometriche e lamiere di acciaio, la stazione di Saint – Lazare.

Ebbene, per paradosso si potrebbe pensare ad un fotografo munito di macchina fotografica, che cerca immortalare il momento dell’arrivo in stazione del treno. Egli riuscirebbe, anche scattando un momento dietro l’altro, ad incatenare non un lasso di tempo contiguo ma una serie di singoli momenti intervallati da pause di tempo, anche se per noi impercettibili.

Invece a me piace immaginare l’esecuzione di quest’opera così come la descrive Cristopher Moore nel suo Sacrè Bleu:

“Sono il pittore Monet” annunciò Monet al direttore della stazione. “Ho deciso di dipingere la vostra stazione. Devo ammettere che ero combattuto tra la Gare du Nord e questa, ma credo che la vostra abbia più carattere, perciò è Saint-Lazare che avrà l’onore”.
“Desidero dipingere il vapore e il fumo, la furia dei motori pronti a partire. Dipingerò la nebbia, capite, catturerò su tela ciò che mai è stato catturato”.

Monet era uno sperimentatore in fondo, a differenza di William Turner, pittore inglese del settecento, il quale aveva dipinto temi simili ma imbevuti di una cultura più romantica. Con un gioco di accostamento di colori chiari e freddi, Monet riesce a dare quel risalto alla luminosità nel dipinto tipica del periodo impressionista. Egli riesce a riprodurre tutto l’accaduto senza pausa di sorta, interpretandolo attraverso la sua tecnica e la sua percezione personale.

Molti di voi storceranno il naso davanti a questa mia, forse inutile riflessione, ma a volte dalle domande più banali possono nascere riflessioni più accurate.

“Quindi questo è un selfie del ‘600?” chiese ingenuamente.

 

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Marco Trotta è nato a Napoli nel 1981. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico alla S.U.N. con una tesi sul restauro del Duomo di Napoli. Ha conseguito un master regionale di “Rilievo architettonico per i Beni Culturali”. Restauratore di beni culturali e poi catalogatore per la Soprintendenza di Caserta, ha tenuto corsi di Storia dell’Arte presso diverse associazioni e per progetti P.O.N.. Promotore di eventi culturali di natura trasversale. Attualmente è anche giornalista per Campaniarock.it

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