La mostra che non ho visto #59. Lara Pacilio

Lara Pacilio in un ritratto fotografico di Diego Barletti
Lara Pacilio in un ritratto fotografico di Diego Barletti

Sto per fare tardi, la cosa mi seccherebbe, non vorrei perdermi un solo minuto di questa mostra.
Eccomi finalmente arrivata, giusto in tempo.
Non mi so ancora orientare in questa città, è da poco che mi trovo a New York.
A proposito oggi è l’8 febbraio del 1929.
Sono qui fuori emozionata davanti alla Guarino Gallery, so che lui c’è, è arrivato anche lui da poco a NY, ed è già riuscito ad avviare la Depero’s Fururist House.

Prima di arrivare a NY ebbe una forte corrispondenza con Fedele Azari che si trovava  già lì, dove risulta chiaramente che la situazione americana non è per nulla favorevole ad accogliere sperimentalismi di sorta, chiusa ad ogni questione relativa all’arte d’avanguardia come confermano alcuni passi delle sue lettere:

“Ti dico subito che qui v’è assenza di gusto, di sforzo e di amore artistico – ho visto numerosi negozi e gallerie, ma finora d’avanguardia nulla. Tutti non si interessano che d’affari, affari, affari, dollari, dollari, dollari”.

E la frase chiave: “l’unica via possibile è l’industrializzazione dell’arte”.

Basta pensare. Entro. La galleria è splendida, ci sono i suoi arazzi e dei dipinti. Tra gli arazzi:  Cavalli GaloppantiCiclista in corsa,GalliPadre e figlioPellicaniAsiniLuneNumeriL’uomo lapis,Improvvisazione animeRinocerontiFesta di cuoriUomo moderno, La mucca ed io.

I colori sono così vivaci che contrastano reciprocamente. Tutto sembra una continua danza. Regna incontrastata una dinamicità di forme e colori, colori e forme. Tiro un gran respiro come a voler far rallentare il tempo. La galleria è gremita di persone, molti personaggi di rilievo, la critica sembra già osannarlo.

Nei suoi lavori rivedo tutta la forza e la dinamicità del futurismo, negli arazzi si intravedono le fantastiche invenzioni, ispirate ai personaggi del “Teatro Plastico” e del “Teatro Magico”. Gli automi ricordano le marionette meccaniche dei Balli Plastici. Figure e forme lineari, geometrismi plastici, piani sfalsati, colori sgargianti che poco si sposano con le case newyorkesi.
Ma eccolo, lo vedo, è di spalle. Sembra quasi si sia messo i guantoni: sta esordendo con un discorso:

“Sono felice di aver rapidamente realizzato uno dei più bei sogni della mia vita, di aver cioè iniziata una casa d’arte con officina di creazioni futurista, con una sala permanente per esposizioni al 464 West della 23a  Strada. Questo, rapidamente, costruendo, arrangiando abilmente, con pazienza e fatiche inesauribili.

Arrivai in un albergo che tiene in affitto il mio caro amico d’infanzia Ciro Lucchi, assieme all’amico Jackson, e che ora dedica tutta la sua attività alla mia impresa. Anche lui è trentino di origine, ora è suddito  americano, tiene una testa di ferro alpina e un cuore tricolore nel pugno. Buttammo dalla finestra vecchi mobili, tappeti usati, vasche da bagno, specchiere mezzo antiche e trasformammo parte dell’Hotel in una vera casa d’arte. Mi improvvisai falegname, carpentiere, tappezziere, cocciuto ostinato intransigente e impeccabile, e con strafottenti fatiche, gioconde, cantando sudando mangiando carbone e polvere, martellandomi le dita, prendendo dei comici torcicollo, maledicendo le esose pretese della mano d’opera americana, costruii la mia bottega, la mia sala, il mio studio, sicuro di aver creato l’inizio di un futuro prossimo centro di attività artistica italiana moderna che sarà sicuramente fecondo di risultati.”

Bellissimo questo piccolo ma toccante discorso.
Anche io sono una pioniera, o almeno mi sento così. La sua ostinazione lo rende nobile. Lo guardo da lontano, mi basta.

Tutto quello che potevo desiderare da lui l’ho avuto.

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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