Vedere l’ombra: Sharon Paz, l’israeliana tra simbologia e la realtà del conflitto

Sharon Paz, Restraining motion, video installation, 2013, 2 channel HD, 5:00 min., courtesy l'artista

Senza voler scomodare l’origine della pittura con la mitologica storia del vasaio Butades, il quale tracciò a lume di candela i contorni dell’ombra dell’uomo amato dalla figlia per permetterle di averne un imperituro ricordo, il concetto di ombra ha assunto all’interno delle arti visive un posto di tutto rispetto.

Il lavoro di Sharon Paz, artista israeliana ormai trapiantata a Berlino, si basa proprio sull’utilizzo dell’ombra, non tanto nel suo senso di privazione dell’immagine quanto come unica modalità per mostrare un’immagine in un contesto di sovraccarico visivo nel quale il medium non è più il messaggio ma qualcosa a sè stante e con una sua propria dinamica interna. Senza voler scomodare neanche Platone ed il mito della caverna, sembra quindi che l’unico modo di notare un’immagine, nel senso di prestarle attenzione, sia quello di non vederla, non riuscirla a mettere a fuoco. L’ombra diventa così il veicolo di un racconto da immaginare in quanto impossibilitato ad avere un protagonista definito, un racconto che nel suo vojeuristico contorno, ci chiama in causa in nome proprio della sua incompletezza. Così l’ultima opera/operazione della Paz, Restraining Movement (vista  presso Kunstverein L40), colpisce immediatamente l’occhio del passante che si trovava a camminare per Rosa-Luxemburg-Platz.

Restraining Movement, opera site-specific proiettata sulla lunga finestra del Kunstverein L40 al secondo piano di un edificio che si affaccia proprio sulla fermata della metropolitana, appariva – nel caos visivo di luci, pubblicità, manifesti semoventi, semafori, cavi del tram e tutto quello che la piazza centrale di una città cosmopolita come Berlino sa offrire –  in tutto il suo stridente contrasto ed in tutta la sua umbratile appariscenza. Sullo scenario di quelle caserme-case tipiche della DDR, si muovono le ombre di una storia, come detto, non scritta ma percepita e forse per questo partecipata. La prima impressione, guardando al secondo piano di quel grande edificio nero, era quella di spiare un’immagine privata, di trovarsi nella finestra sul cortile mentre le ombre di soldati chiedono passaporti, trascinano via persone e compiono altri gesti che l’iper illuminata piazza ci faceva percepire ancora meno. L’ombra diventa così un gioco di addizione più che sottrazione: siamo (stati) costretti sempre ad aggiungere un pezzo in più, siamo costretti a dover montare frammento su frammento per avere la totalità della storia.

Questo chiamare in causa, per certi aspetti, è parte fondamentale dell’estetica della Paz che ha trovato proprio nell’ombra la sua migliore visualizzazione. La Paz, infatti, concepisce le sue opere come installazioni da completare all’interno delle quali, come nel di Shaded Windows (2012) o The King is Blind (2011) si muovono performers e ballerini.

Il tema, inoltre, dell’ombra rappresenta un’astuta modalità attraverso la quale l’artista israeliana sviluppa il suo vero liet motiv, ovvero quello del conflitto. L’ombra nel conflitto assume una valenza e vastità di significati tali da poter essere, in un certo senso, trattati solo attraverso la loro negazione. L’ombra del conflitto, il conflitto ombra sono solo alcuni dei giochi di parole, e di senso, che questa modalità operativa sottende.

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Emanuele Rinaldo Meschini (Roma 1984). Storico dell'arte e curatore, laureato presso l'Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla comunicazione culturale tra futurismo e pragmatismo. Dottore Specialista in Beni Storico Artistici presso l'Università di Siena con il Professor Enrico Crispolti con una tesi sull'attivismo e pratiche sociali. Vincitore della borsa di studio per il perfezionamento all'estero indetta dalla Sapienza (2013) conduce ricerche sulle nuove pratiche sociali ed autogestione nel mondo dell'arte presso la Freie Universitat di Berlino. Attualmente curatore in residenza presso il Node Center di Berlino. Collabora con il Centro Luigi Di Sarro (Roma) ed è membro di UpperArt, collettivo artistico attento alle tematiche sociali ed alternative (Bergamo).

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