Sospensioni sonore, On the Tip of my Tongue. L’intervista alla curatrice Marta Silvi

Angela Zurlo Sole a mezzanotte, 2012 Bustine, tubo di platica, ferro/Small bags, plastic tube, iron Dimensione ambientale/Environmental size Musica di/Music by Vincenzo Pedata Courtesy the Artist

Tre le sale tardo medievali di Palazzo Trinci, nel centro di Foligno, risuonano rumori e melodie che risvegliano l’attenzione su nuovi accostamenti di figure e suoni, di antico e contemporaneo, di opere pittoriche affiancate da immagini di fredda luce o addirittura inesistenti, se non nella nostra mente che tenta di dar forma alle sonorità che la investono. On The Tip of My Tongue è il progetto espositivo presentato in occasione del festival Dancity, celebre appuntamento con la musica elettronica nella città umbra.

La curatrice Marta Silvi ci racconta com’è stato lavorare in una location così particolare e quali peculiarità ha il progetto.

Oggi i linguaggi delle arti si compenetrano di continuo, alla ricerca di inediti dialoghi e spunti originali. In che punto s’incontrano l’arte e la musica?
Quale idea avevi in mente e quale intento guidava la ricerca degli artisti da coinvolgere in questo progetto?

“La scelta di raccogliere lavori in grado di mettere in evidenza il proprio legame più o meno manifesto con la musica, il suono, l’elemento acustico, è stata piuttosto naturale e consequenziale. Attack, una solida associazione culturale folignate che da anni opera sul territorio dando vita a un festival che porta il medesimo nome -e che fino ad ora si è dedicato prevalentemente alle espressioni più importanti di arte urbana coinvolgendo nomi noti quali Ericailcane, Blu, Hitnes, Ozmo, Lucamaleonte, Achille, Sten&Lex- quest’anno è stato incaricato dal Festival Dancity di organizzare una sezione Arti Visive in concomitanza del Dancity stesso, uno dei più importanti festival di musica elettronica a livello nazionale e non solo, ormai alla sua nona edizione. La mia partecipazione è stata richiesta in questa felice unione e ho colto subito l’occasione per mettere in luce un dialogo affascinante quanto antico come quello che lega l’arte visiva con la musica nelle sue varie flessioni. L’arte compenetra ormai sempre più spesso le altre forme di espressione tanto che risulta difficile tracciarne limiti definiti. Ho voluto fare di questa sfumatura il punto di forza andando a cercare opere che nella loro ambiguità, polimorfia, sospensione, potessero rappresentare questa condizione, senza dispensare risposte definitive ma aprendo delle domande, alle volte velate di ammiccante ironia (Ruth Proctor, Gabriele De Santis, Stanislao Di Giugno), altre volte propulsori di diretta partecipazione (Alice Schivardi, Simone Pappalardo, Bernardo Vercelli-Quiet Ensemble, Angela Zurlo). Ogni lavoro proposto è stato profondamente pensato e discusso con gli artisti. Il luogo espositivo, di per sé così pregno e magnifico, è stato un forte catalizzatore e un elemento maieutico che ha portato alla indispensabile pulizia e asciugatura dei lavori stessi nel raggiungimento di un equilibrio davvero straordinario.

Nonostante le restrizioni e i limiti del luogo espositivo -un palazzo del XIV-XV secolo- gli artisti hanno proposto delle opere che dialogano con l’elemento sonoro e musicale secondo differenti declinazioni, senza tuttavia mai distaccarsi dal contesto e dal luogo in cui si trovano. In che modo gli artisti hanno lavorato con l’elemento sonoro?

“In realtà si tratta per la maggior parte di lavori già esistenti individuati dopo un’attenta ricerca pensando non solo al filo conduttore del progetto, ma anche allo spazio che li avrebbe ospitati. Tanto è stato importante questo presupposto, che alcuni lavori sembrano addirittura essere nati qui o non poter esistere in location più appropriata. Lo scambio di opinioni con gli artisti è stato fondamentale e ha permesso di penetrare intellettualmente i lavori e lo spazio in maniera incredibilmente profonda rendendo, da una parte, le opere scelte “altre” da quelle originariamente create e, dall’altra, trasformando lo spazio in contenitore aderente e indispensabile per ciascuna di esse.
In Travelling Hat Dance, Ruth Proctor propone una tappa del suo continuo peregrinare: l’artista giunge a Foligno, alla mano il suo giradischi portatile e un sombrero tipico dei souvenir di viaggio. Accompagnata dal ritmo dei tamburini folignati del Rione Giotti -auspicanti la celebre ricorrenza locale della Giostra della Quintana- il giorno dell’opening l’artista ha concluso il percorso da Londra fino al cuore dell’Umbria, con una passeggiata coreografica dalla Piazza del Duomo all’interno del Museo.
Poco distante troviamo Postal Karaoke in Foligno, 2014. Il karaoke, fenomeno musicale tipico degli anni Ottanta-Novanta, viene declinato sotto forma di cartoline smaccatamente kitsch della città stessa.
Alice Schivardi in Equazione Uno, 2012, offre allo spettatore quattro delle sei storie originalmente registrate, che ripetute insieme e intrecciate a suoni sinusoidali puri instaurano un intenso dialogo con lo spazio che le ospita. Il passaggio, infatti, che collegava anticamente il Palazzo alla Cattedrale, via privilegiata e longa manus dei Trinci sul potere ecclesiastico, presenta anche una botola da cui si facevano cadere i condannati a morte per impiccagione. Il corridoio sembra perciò animarsi e ridare voce agli ultimi pensieri di chi percorrendolo andava incontro al proprio destino.
Simone Pappalardo, musicista prima che artista, in Antifonia 1. Genie, 2014, elabora il primo spartito di una serie, esposto ed eseguito in anteprima presso Palazzo Trinci. Esso contiene neumi e segni presi dall’antichità e dalla modernità, che condividono il fatto di non essere completamente interpretabili oppure di essere volutamente aperti. Lo strumento musicale di esecuzione diventa lo spartito stesso, che con una serie di semplici circuiti elettronici e meccanici è in grado di emettere suoni di diversa natura. Ai timbri elettronici sono stati affiancati suoni di uno strumento a fiato esatonale, costruito appositamente dall’artista, e suoni di flauto: il flautista/performer Gianni Trovalusci, a cui l’opera è dedicata, ha interpretato la partitura dal vivo il giorno dell’opening all’interno della preziosissima cappella del Palazzo regalando al pubblico un momento incredibilmente intenso.
Gabriele De Santis in Fa Sol, 2014 propone un dipinto su marmo che non emette musica, ma la rappresenta. Alcune note, in realtà create attraverso la combinazione di parentesi (in seguito a una lunga ricerca condotta dall’artista su Proust e il suo uso delle parentesi), sono ricavate per sottrazione da una patina di pittura che lascia emergere le venature del marmo stesso (che per sua natura produce continuamente dei crack leggerissimi, ma comunque rilevabili). Bernardo Vercelli (Quiet Ensemble) in Geometrie del volo, 2014 prosegue la riflessione e il fascino per gli elementi naturali e la casualità degli eventi non controllabili dalla mente umana, che sono alla base della ricerca dei Quiet Ensemble. Per l’occasione Vercelli prepara un concerto visivo: immagini di stormi in volo proiettati su una tavola, sono assimilati a note musicali fuori controllo disposte su un pentagramma immaginario distrutto. Angela Zurlo in Sole a mezzanotte, 2012 riproduce rielaborato per l’occasione un carillon sospeso nella sala del pozzo -originariamente uno spazio aperto, poi inglobato nell’architettura del Palazzo- che ruota attraverso un lento e continuo movimento su una musica di sottofondo (composta da Vincenzo Pedata) dai toni dolci e ammaliatori. Una sorta di enorme attrazione per bambini che induca alla quiete e al sonno o ancora una giostra che girando incanti e racconti di tradizioni lontane, quelle a cui la stessa città di Foligno è legata indissolubilmente (la Quintana). Con Pangea, 2005, Stanislao Di Giugno chiude la discesa vertiginosa della mostra negli abissi più profondi, riproponendo un’opera non recente ma fondamentale. Sovrapponendo le versioni strumentali degli inni nazionali dei paesi di tutto il mondo e facendoli suonare insieme sulla stessa traccia in 3 minuti e 15 secondi, la percezione sonora si disloca e l’elemento musicale irrompe nella quiete del Museo come un boato in rapido climax. Un abbraccio al pianeta terra ideale e irrisolto che sgorga inaspettatamente dalle viscere del Palazzo per poi essere riassorbito nel suo interno.”

E’ stato difficile per loro inserirsi in questa cornice o hanno trovato stimoli ulteriori per sviluppare le loro proposte?

“Ci sono stati elementi della storia locale e del sito ospitante che maggiormente hanno attratto la loro attenzione?
Entrare a Palazzo Trinci è stata un’esperienza totalizzante e unica. Il palazzo presenta una conformazione labirintica vertiginosa e custodisce delle ricchezze incredibili (come gli affreschi attribuiti a Gentile da Fabriano). Il confronto con questa cornice è stato ovviamente stimolante ma non semplice, sia dal mio punto di vista che da quello degli artisti coinvolti. La collaborazione e la disponibilità della Direttrice e del personale interno è stato perciò indispensabile.
Con Alice Schivardi, ad esempio, si è deciso di non esporre la delicatissima striscia di ricami che corredava l’installazione sonora perché il luogo del passaggio risultava già pregno dal punto di vista figurativo. Le voci registrate sembrano qui dare seguito alle maestose figure ritratte sulle pareti in una sintonia perfetta. Il lavoro di Stanislao Di Giugno, originariamente concepito per i sotterranei della sede romana dell’Angelo Mai, non avrebbe potuto ritrovare location migliore. Lo stand di cartoline di Ruth Proctor gioca in maniera molto subdola con l’idea di dispositivo turistico, qui consolidato dal contesto museale, confondendo lo spettatore su cosa sia o meno un’opera d’arte.
L’impossibilità di interagire con la struttura dello spazio e di toccare le murature, giustamente tutelate dai Beni Culturali, ha costretto a entrare in punta di piedi inventandosi soluzioni meno invasive possibili ma per questo particolarmente leggere e aderenti al contesto. Si è cercato di costruire dunque un percorso armonioso ed equilibrato in cui le opere funzionano da punctum dialogando intelligentemente con i capolavori già esistenti.”

Il suono o rumore in alcuni casi -come il sombrero lasciato roteare su un mangiadischi ammutolito da Ruth Proctor, le Geometrie del volo di Bernardo Vercelli o anche le “attese” degli inni cacofonici di Stanislao di Giugno- ha lasciato spazio al silenzio, che ha riempito lo spazio e rapito l’attenzione in ugual misura, permettendo al visitatore di entrare nell’atmosfera con i giusti tempi e vivere il luogo in modo del tutto nuovo…

“Hai perfettamente ragione, il silenzio fa parte della musica e le pause sono volutamente presenza e parte integrante della mostra. L’assenza di suono produce attesa e riflessione, oppure produce suono a livello mentale laddove lo spettatore è chiamato a immaginare virtualmente musica e ritmo (in particolare nei lavori di Proctor, De Santis e Vercelli). La pausa e il silenzio, che sia sonoro o visivo, o semplicemente percettivo, induce a una forma più profonda di lettura, uno stato mentale e non solo sensoriale. Credo che in esso lo spettatore possa ritrovare un momento di meditazione che altrimenti, nella sovrapposizione costante di espressioni tipica della comunicazione odierna, non è facilmente concesso. In questo senso il titolo della mostra, “Sulla punta della lingua”, che in inglese (On The Tip of My Tongue) conserva una ritmicità tonale interessantissima tanto da sembrare il ritornello di un qualche tormentone estivo, esprime la sospensione, l’attesa a quella soluzione che ronza nella testa e che è lì pronta a uscire dalla bocca, ma che tarda a farlo.

La mostra chiude a fine mese e negli ultimi giorni ricordiamo alcuni appuntamenti d’eccezione.
Giovedì sera nella Chiesa di S. Maria di Betlem, Nico Vascellari è con un progetto installativo speciale, realizzato appositamente per il luogo. Sabato 28 alle 18,00 l’artista si trova, poi, introdotto dal Direttore artistico del Museo CIAC Prof. Italo Tomassoni e dalla curatrice Marta Silvi, a presentare il suo lavoro nell’incredidibile cornice della Chiesa della SS. Trinità in Annunziata meglio conosciuta come Calamita Cosmica.
Venerdì sera il duo folignate Kindergarten (Simona Molino e Matteo Luicidi) realizzerà una performance inedita nello spazio Zut!, cinema dismesso nel centro della città oggi riconvertito a luogo espositivo. L’evento si ripeterà sabato alle 19,30.
In chiusura a notte fonda si assisterà alla perfomance sonora dei Ninos du Brasil (alias Nico Vascellari e Nicolò Fortuni) presso l’ineguagliabile location dell’Auditorium S. Domenico.

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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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