Lisario o il piacere infinito delle donne. La Napoli affascinante di Antonella Cilento

foto alberto cristofari
Antonella Cilento, foto Alberto Cristofari

La napoletana Antonella Cilento, fra le firme di maggiore merito della narrativa italiana contemporanea, con il suo nuovo romanzo, Lisario o il piacere infinito delle donne, edito da Mondadori, è fra i cinque autori finalisti al Premio Strega 2014.

Nel romanzo, ambientato nel Seicento, Antonella Cilento narra le vicende di Lisario Morales, sposa bambina, narcolettica a comando, che attraverso il sonno riesce a ottenere ciò che nello stato di veglia le è impossibile.

La scrittrice ci offre un vasto affresco della Napoli barocca, nutrito di letteratura e di pittura, che ha il sapore di un libro antico, di un romanzo picaresco al femminile, di un romanzo storico ma anche di un romanzo d’amore.

A pochi giorni dalla nomina del vincitore dello Strega 2014, le chiediamo del romanzo.

La città in cui la storia è ambientata è Napoli, il secolo è il Seicento, quali sono i motivi di questa scelta?

Scrivo da sempre da un mio tempo personale che spesso è seicentesco: forse perché il Seicento è stato per Napoli un secolo cruciale, affollato di magnifiche esperienze artistiche, dalla pittura del Siglo de Oro alla musica barocca, alla poesia di Basile e Marino, ma anche bersagliato dalla tassazione spagnola, dalla peste, dalle carestie, dalle rivolte. Un secolo per molti versi affine al nostro, in piena crisi economica, in conflitto con il corpo e con la morte, traversato da una cieca fiducia nella scienza nascente, un secolo naturalmente misogino e asservente. Il fascino che tuttavia promana da questo tempo distante e insieme consonante era l’unico sfondo, magico, favolistico e al tempo stesso crudamente realistico, in cui calare Lisario Morales, la giovane protagonista, e i suoi compagni, il medico cialtrone e marito Avicente Iguelmano, l’amante e amato Jacques Colmar, l’infelice e pericoloso Michael de Sweerts, grandissimo pittore realmente esistito, nonché la folla di personaggi, reali e inventati, della Napoli vicereale: banchieri olandesi, collezionisti, eletti del popolo “sagliuti”, prostitute, rivoltosi, notomisti, pittori e plebe.

Lisario, nonostante le sue difficoltà e i suoi limiti, riesce a realizzare i suoi sogni, in cosa consiste la forza del personaggio?

Lisario, benché muta, ha molte frecce al suo arco: la narcolessia a comando, protesta contro le sopraffazioni familiari, l’ironia che la fa ridere di ogni violenza e di tutti i potenti, la scrittura e la lettura che pratica di nascosto scrivendo alla Madonna, e la consapevolezza libera da schemi bigotti del suo corpo, che esercita come una bestiola allegra.

Nel suo romanzo, temi quali la sessualità femminile, l’ossessione del corpo, la violenza del potere, il timore della morte appaiono tutti come decisivi.  

Tutti e contemporaneamente: un vero romanzo è fatto di fili intrecciati, non risponde a domande, semmai le pone, come diceva Cechov. Dunque tanti sono i temi, una è la storia. In fondo, non si può leggere un romanzo come un oggetto sociologico, o meglio si può anche farlo per studio, ma non è mai l’insondabile ragione dell’opera che, in questo caso, è sia romanzo picaresco che favola, come accadeva ai narratori in quegli anni, a Cervantes come a Madame de La Fayette.

Nello scrivere un romanzo ambientato nel diciassettesimo secolo, quali scelte ha adottato nell’uso della lingua?

Ho scelto d’inventare una lingua ibrida fra l’italiano e il napoletano, evitando effetti antichi troppo faticosi ma rendendo il suono di un’epoca: oggi Basile lo leggiamo tradotto, ma il suo suono resiste nella musica, nella ricerca del maestro Roberto De Simone, nelle antiche canzoni recuperate dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare. Penso a questi modelli, al sound della mia città, e ne faccio una sintesi personalissima.

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Scrittore e psicologo, ha pubblicato per Guida, “La trilogia dei capperi “ (2005) e Passodincanto (2008). Dirige la collana “Solare” dell’ A.S.M.V. è ideatore e direttore del Festival dell’Erranza.​

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