MurgiAMO 2014. Altamura: grazie della Bellezza

MurgiAMO, Azienda Biscò - pane di Altamura DOC - ph. Barbara Martusciello

«Bellézza s. f. [der. di bello] – L’essere bello, qualità di ciò che è bello o che tale appare ai sensi e allo spirito: la b. è una specie di armonia visibile che penetra soavemente nei cuori umani (Foscolo)» da Vocabolario online Treccani.

Nel cuore della Murgia c’è una città con un lungo corso, liscio come uno specchio, piastrellato di grandi pietre rettangolari. Ci sono case come cattedrali e cattedrali come case di bianco vestite. C’è il volo di un falco che sfiora un campanile e poi si perde nel cielo azzurro e libero di Altamura.

È un pomeriggio di luglio, e ad afferrare la pietra megalitica che la raccoglie (e le dà il nome), a scegliere il riparo dei suoi claustri (tipiche piazzette del centro storico), a offrire il viso al sole cercando il profumo del pane e l’aroma speziato del Padre Peppe (amaro locale inventato dal frate cappuccino Giuseppe Ronchi) ci sono anche i fotografi vincitori del contest-residenza fotografica curato da Barbara Martusciello all’interno del grande evento MurgiAMO – In tutti i sensi, www.murgiamo.it voluto e organizzato da Vittorio Cavaliere, Savino Di Bartolomeo e Ciriaco Acampa.

I 12 fotografi chiamati a immortalare, con le loro sensibilità, i territori della Murgia sono loro:

  • Nicola Auciello, costruttore di architetture leggere come l’anima, “21 grammi” di poesia;
  • Eliana Bambino, non teme il buio e doma le ombre, è curiosa come il sole della notte;
  • Federica Campochiaro, conosce la meraviglia nell’attesa analogica, vede prima e vede bene;
  • Danilo Cannone, corre veloce lungo binari di acciaio e destino, poi si ferma, ama e commuove;
  • Elisa Castoro, c’è sempre il tempo per un sorriso, la luce è perfetta come il cuore;
  • Stefano Esposito, la saggezza della quercia, esploratore di percorsi contemporanei e necessari:
  • Franz Gustincich, cantore di storie che iniziano in uno sguardo e finiscono nelle gole della Terra;
  • Luigi Ieluzzo, è tutto un “gioco” dentro i dettagli, ogni cosa può essere altro da se stessa;
  • Emanuele Mancini, attenti a guardare nel suo obiettivo, potrebbe rubarvi anima e ricordi;
  • Vito Martimucci, riconosce la bellezza e lascia che sia bellezza, pura come la brezza d’Altamura; 
  • Annamaria Mazzei, raffinata narratrice sa plasmare dal silenzio un ruggito; 
  • Andrea Miconi, è festa grande di affreschi e atmosfere, il rumore sta fuori, dentro resta lo splendore.

Altamura, fondata dai Saraceni, conosce la sua fortuna nel Medioevo al tempo di Federico II di Svevia (1194-1250), imperatore del Sacro Romano Impero, che la ricostruisce (Orlandus me destruxit, Federicus me reparavit narra infatti la leggenda). Fu lui a volere l’edificazione della cattedrale di Santa Maria Assunta (1232-1254), che ancora oggi si può ammirare in tutta la sua imponenza, e davanti alla quale si ritrova tutto il gruppo di MurgiAMO (una parte infatti si era dapprima mossa verso il bellissimo Teatro Mercadante: ristrutturato e riaperto di recente è tuttavia ancora privo di un calendario destinato al pubblico).

Grazie all’ottima spiegazione della guida Filippo Aruanno (non a caso Storico dell’arte) notiamo decori di ascendenza orientale sulla bifora e quattro piccole teste: due barbute a raffigurare i capi-mastri e due imberbi per gli allievi. I due possenti leoni (1533) che reggono le colonne del portale quattrocentesco, invece, rappresentano l’uno (a destra) il potere temporale nell’atto di ghermire la preda e l’altro (a sinistra) il potere spirituale che protegge il fedele come una madre suo figlio. Una simbologia distante dall’idea di Federico II che la edificò come cappella palatina, cioè sotto il controllo del solo Imperatore.

La cattedrale è di stampo gotico, per questo entrando non ci si aspetterebbe di trovare Siena. Le colonne statuarie e infinite sorreggono la navata centrale dividendola dalle altre due laterali (dove ricorrono nicchie con quadri e opere d’arte cristiani, tra cui uno splendido presepe in pietra del XVI secolo, oltre alle classiche vetrate colorate) e culminano in un soffitto ligneo intarsiato d’oro. In fondo sta l’abside, che custodisce un rosone che parla a un altro rosone suo dirimpettaio, situato sopra il portale. Questa enorme differenza stilistica tra l’esterno e l’interno è dovuta all’ammodernamento subìto nel XIX secolo che ha visto tutta la chiesa rivestirsi con pannelli bianco-verdi e bianco-rossi in finto marmo. L’unica zona rimasta vergine è quella dei matronei (spazi soprastanti le navate laterali dedicati alle matrone), che ancora espongono la nuda pietra nella sua solenne magnificenza.

Terminata la visita a Santa Maria Assunta, ecco un’altra cattedrale: quella del pane. È l’olfatto, prima che la vista, a restituire l’idea di dove siamo. Il profumo del pane sta permeando tutta l’aria intorno, donando all’ossigeno gusto e corpo. I pani dell’azienda Biscò sono distesi nelle ceste, altri stanno cuocendo nei forni, altri ancora abili mani li stanno impastando. Esistono due tipi di forme: una bassa e un’altra a cono detta “sckuanète” (che potremmo tradurre con “alta”); quella che ci offrono appartiene al primo tipo e come gusto, fragranza e morbidezza non ha niente a che vedere con quei pani che a Roma, ad esempio, vengono spacciati per “pane di Altamura” (riconosciuto DOP nel 2003), simili all’originale appena nell’aspetto. Lasciamo l’azienda con un gentile dono: una pagnotta ancora tiepida, biscotti alla mandorla e taralli.

Come ormai nelle Murge ci hanno abituati, si termina il viaggio a tavola. Stavolta segnaliamo la favolosa Masseria San Giovanni (e il pranzo assaggiato alla Masseria Losurdo situata nei pressi della Via Appia Antica), che in un’ala accoglie anche la suggestiva installazione Faccia da trappola, curata da Paolo de Santoli, che racconta del «buonGiovanni e del suo ipogeo-prigione, ricompensa sgradita alla sua innata e voluta premura di redimere le genti, di battezzare a nuova vita. Punito con ferocia intraprendenza da Salomè, sensuale ma anche macabra con il suo ostentato trofeo».

È ormai buio e a guidarci verso le sale nella roccia ci pensano luminarie artificiali e il frinire lento dei grilli, che accennano appena il loro canto estivo.

A raccontare dalla cucina le peculiarità della Puglia gastronomica, il 20 luglio hanno contribuito sette grandi chef: Maria Cicorella, Giuseppe Di Mauro, Diego Picerno, Vito Chiapparino (antipasti); Felice Sgarra (primo); Antonio Bufi (secondo); Sebastiano Lombardi (dessert).

Con la cena, i 12 fotografi hanno potuto mettere a riposo le loro macchine fotografiche, ma non il modo speciale che hanno di guardare fuori di loro e dentro tutto il resto. Allora, il giorno della premiazione e della fine dell’avventura tra Corato, Matera, Altamura e Andria sembrava lontanissimo, nonostante la già tanta felice stanchezza che aveva trasformato i giorni in settimane, ma sarebbe invece arrivato presto, giusto il tempo di un’alba. E con quel giorno anche la sensazione di aver ricevuto, più che dato.

Grazie della Bellezza.

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Giornalista pubblicista dal 2012, scrive da quando, bambina, le è stato regalato il suo primo diario. Ha scritto a lungo su InStoria.it e ha aiutato manoscritti a diventare libri lavorando in una casa editrice romana, esperienza che ha definito i contorni dei suoi interessi influendo, inevitabilmente, sul suo percorso nel giornalismo. Nel 2013 ha collaborato con il mensile Leggere:tutti ma è scrivendo per art a part of cult(ure) che ha potuto trovare il suo posto fra libri, festival e arti. Essere nata nel 1989 le ha sempre dato la strana sensazione di essere “in tempo”, chissà poi per cosa...

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