La West Coast Americana: Questa sconosciuta? Edward Kienholz

Edward Kienholz
Edward Kienholz

Andy Warhol e la Pop Art hanno segnato una forte rottura rispetto al contesto artistico precedente, con una potenza tale da figurare di diritto tra i protagonisti culturalmente più vivaci della New York tra gli anni Sessanta e Settanta. In netta contrapposizione con l’eccessivo intellettualismo dell’Espressionismo Astratto, la Pop Art ne ha respinto il ripiegamento sull’interiorità e l’istintività, guardando, invece, al mondo esterno e al complesso di stimoli visivi che circondano l’uomo contemporaneo.
La grande notorietà di questo movimento appartiene, in realtà, a quasi tutta l’arte newyorkese della metà del Novecento. Meno conosciuta è invece l’arte della costa opposta dell’America, quella di Los Angeles e dintorni. Dagli anni Sessanta in poi, la West Coast americana ha avuto una produzione estremamente interessante, che da una parte guarda senza dubbio a New York – divenuta, dopo le Guerre Mondiali, la capitale dell’arte, sostituendosi a Parigi -, dall’altra crea espressioni artistiche autonome e originali.

L’arte di Los Angeles è eccessiva, chiassosa e anche volgare, ma non per questo mancante di una riflessione profonda sulle tematiche socio-politiche contemporanee. Si direbbe, in realtà, che questo accada in misura maggiore nel contesto californiano rispetto a quello newyorkese, contraddistinto da un’arte spesso autoreferenziale, che riflette semplicemente sui suoi stessi mezzi, senza aprirsi in maniera diretta al mondo.

Edward Kienholz è stato uno dei più grandi rappresentanti dell’arte della West Coast americana nella seconda metà del Novecento. Nasce nel 1927 a Fairfield, un piccolo centro di campagna nello Stato di Washington che, a dispetto della collocazione geografica della capitale degli U.S.A., sorge sulla costa opposta. Lontano da New York e da un ambiente culturale stimolante, il giovane Kienholz si fa le ossa nella fattoria di famiglia, acquisendo con il lavoro duro (falegnameria, saldatura, metallurgia) una certa dimestichezza, che gli tornerà utile nella realizzazione dei primi assemblage.

Di carattere indipendente e anticonformista, finito il liceo Kienholz decide di non iscriversi ad alcuna università ma di girare on the road per l’America nord-occidentale. Nei sette anni in cui Edward è girovago, si imbatte in una mostra di Rembrandt a Minneapolis. Ne rimane talmente colpito che in quel momento si fa strada in lui l’idea di dedicarsi all’arte. Decide però di non seguire un’istruzione accademica convenzionale e di lasciare la sua istintualità libera di esprimersi in arte senza freni.

Nel 1952 Kienholz arriva a Los Angeles. L’impatto con la grande metropoli lo sconvolge: i cumuli di oggetti abbandonati nelle discariche e il consumismo sfrenato sono molto lontani dal contesto semplice e rurale in cui era cresciuto. Stabilisce però di rimanervi, facendone la sua sede per vent’anni, affascinato dalla stravaganza della realtà californiana. Fin dall’inizio l’artista si reca nelle raccolte dei rifiuti e ne recupera ogni sorta di oggetto, riutilizzandolo, in seguito, all’interno dei suoi lavori.
In questo periodo realizza le prime opere, dalla fattura di tipo tradizionale. Si tratta di quadri astratti con richiami a Joan Mirò e Paul Klee, distanti dalle successive e più conosciute sculture a scala ambientale.

One Day Wonder Painting (1954). Pittura su masonite e pezzi di legno. Cm 100 x 56. Collezione di Dr. Louis F. D’Elia
One Day Wonder Painting (1954). Pittura su masonite e pezzi di legno. Cm 100 x 56. Collezione di Dr. Louis F. D’Elia

Kienholz tuttavia abbandona la pittura quasi subito, orientandosi verso l’assemblage, ossia l’accorpamento di elementi eterogenei – pezzi di legno, metallo, oggetti vari recuperati nelle discariche -, dipinti e incollati su una tavola.

In ogni caso, questa fase è un ulteriore momento di passaggio. Kienholz se ne allontana presto, percependo la bidimensionalità del quadro come un limite alla sua dirompente necessità espressiva. Il suo desiderio è quello di estendere il lavoro artistico all’ambiente circostante, coinvolgendo in maniera potente lo spazio e lo spettatore.

Nel 1959 realizza quindi le prime sculture. Si tratta nuovamente di assemblage, che il più delle volte consistono in manichini recuperati da depositi di vecchi magazzini e in oggetti d’uso comune. Già da questi lavori compare l’aspetto che più caratterizzerà la produzione di Kienholz da quel momento in poi: l’attacco feroce e spietato alla società americana. Con la crudeltà e la schiettezza che appartengono a chi vive un problema dall’interno, l’artista condanna e sbeffeggia la cultura statunitense in ogni suo ambito, dalla politica militarista al colonialismo, alla discriminazione razziale, alla vittimizzazione della donna e alle falle del sistema giudiziario.

John Doe è uno dei primi esempi. Questa scultura è realizzata dal busto di un manichino reciso a metà e incollato su un carrello. Il viso del fantoccio è sorridente ma è mascherato da una colata di pittura nera. Al centro, il petto è forato e contiene una croce, da cui scende del colore rosso, simile a sangue.

John Doe (1959). Pittura e resina su parti di manichino, legno e cuoio su compensato. Cm 100 x 48 x 79, The Menil Collection, Houston.
John Doe (1959). Pittura e resina su parti di manichino, legno e cuoio su compensato. Cm 100 x 48 x 79, The Menil Collection, Houston.

L’uomo medio americano, l’eroe rassicurante dei film d’azione e il sereno padre di famiglia, divengono l’oggetto di un’accanita invettiva visuale. Kienholz rende John Doe invalido, posizionandolo su un carrello e pertanto suggerendo l’idea che egli non possa muoversi autonomamente, se non con la guida di qualcun altro.

Il manichino viene inoltre privato della sua virilità, in quanto reciso all’altezza del ventre. Con questo lavoro, Kienholz dichiara infine quanta ipocrisia si nasconda dietro la facciata di rispettabilità borghese; veicola questo significato facendo gocciolare del liquido simile a sangue dalla croce, a indicare quante meschinità siano perpetuate sotto il falso baluardo della fede.

L’aspetto più efficace del lavoro è proprio il contrasto che si genera tra la condizione menomata del manichino e la sua espressione calma; una dicotomia che conferisce all’opera un aspetto sinistro e grottesco.

Una volta aperta la possibilità espressiva dell’assemblage tridimensionale, Kienholz vi si butterà dentro con anima e corpo, realizzando lavori sempre più invasivi dello spazio, con l’aiuto, a partire dal 1972, della moglie Nancy Reddin.

Roxy’s viene realizzato in quello stesso giro di anni e introduce una novità sostanziale: la possibilità per lo spettatore di entrare e camminare all’interno di un lavoro artistico.

Kienholz ricostruisce infatti un bordello in cui era stato da giovane, creando delle vere e proprie stanze con tappeti, carta da parati, quadri e mobilio. Popola poi l’ambiente con delle prostitute, utilizzando nuovamente i manichini.

Roxy’s (1961-62). Manichini, mobili, lampade, teschio di cinghiale, carta da parati, fotografia, marionette, tappeti. Dimensioni variabili. Collezione di Reinhard Onnasch
Roxy’s (1961-62). Manichini, mobili, lampade, teschio di cinghiale, carta da parati, fotografia, marionette, tappeti. Dimensioni variabili. Collezione di Reinhard Onnasch

Kienholz, però, non si limita a descrivere la situazione, ma intende soprattutto esprimere la sua posizione in merito alla prostituzione. Il modo con cui decide di farlo è tramite uno choc visivo molto forte, che è generato, come già in John Doe, dai corpi martoriati dei manichini. Alle ragazze infatti non lascia inalterate le parti anatomiche, che assembla agli oggetti più bizzarri, quali secchi della spazzatura, macchine da cucire, ossa di animali. L’atmosfera domestica delle camere subisce così un forte turbamento. Lo spettatore, entrando nel lavoro, è costretto a confrontarsi con le figure deformi delle ragazze, che enfatizzano e rendono quindi evidente il dramma dello sfruttamento femminile.

Il coinvolgimento diretto e forzato dello spettatore, che viene dunque spinto, senza letterarietà, a scontrarsi con le problematiche della società in cui vive, sarà sempre di più utilizzato da Kienholz nei suoi lavori, che, con il tempo, si amplieranno ulteriormente. Dagli anni Sessanta alla sua morte, avvenuta nel 1994, Kienholz produrrà senza sosta opere in una scala ambientale sproporzionata, utilizzando immagini raccapriccianti e scuotendo la sensibilità americana.

Dopo aver passato vent’anni a Los Angeles, l’artista si trasferisce negli anni Settanta a Berlino, dove vivrà per il successivo ventennio, intervallando la permanenza in quella città con lunghi soggiorni a Hope, un piccolo centro dell’Idaho, nella parte nord-occidentale degli Stati Uniti. Kienholz si terrà sempre lontano da New York, geloso della sua riservatezza e poco attratto da un riconoscimento ufficiale.

The Merry-Go-World Or Begat By Chance And The Wonder Horse Trigger (1988-1992). Acciaio, legno, gomma, mobili, plastica, manichini, fotografie, luci, plexiglass, registratore. Cm 292 x 467 di diametro. Collezione di Nancy Reddin Kienholz
The Merry-Go-World Or Begat By Chance And The Wonder Horse Trigger (1988-1992). Acciaio, legno, gomma, mobili, plastica, manichini, fotografie, luci, plexiglass, registratore. Cm 292 x 467 di diametro. Collezione di Nancy Reddin Kienholz

La grandiosità della scala ambientale e l’esuberanza dei materiali che Kienholz adotta nel corso della sua attività raggiungono la loro massima espressione in una delle opere finali, The Merry-Go-World Or Begat By Chance And The Wonder Horse Trigger. Si tratta di un’istallazione gigantesca, simile a una giostra (da cui il gioco di parole nel titolo: The Merry-Go-World), su cui per quattro anni Kienholz e la moglie montano cavalli di legno, giocattoli, animali impagliati, luci e specchi. In essa è inserita una porta, attraverso la quale il visitatore penetra nell’ambiente e scopre al suo interno otto stanze. Ognuna di queste rappresenta un Paese del mondo (Kenya, Cina, India, Egitto, Texas, Sud Dakota, Brasile, Francia).

Questi micro-ambienti, che riproducono la miseria in cui alcuni di questi Paesi vivono, contraddicono l’allegria del carosello, generando, come nei lavori precedenti, un contrasto visivo spiacevole che mette a disagio lo spettatore.

Terminato due anni prima della scomparsa dell’artista, The Merry-Go-World è uno degli ultimi e più efficaci lavori ambientali di Kienholz, che problematizza l’indifferenza riservata alla condizione di miseria di tanta parte del mondo.

Il culmine della sua arte si attesta dunque su una modalità espressiva che ha bisogno di parlare tramite l’eccesso, l’horror vacui e la teatralità, sconvolgendo e disorientando la percezione dello spettatore.

Eccentrica, volgare e rigurgitante, l’arte di Kienholz è in realtà estremamente comunicativa. Restio ad ogni forma di “disciplinamento” accademico, l’artista fa della schiettezza la sua forza, sbattendo in faccia all’America, senza falsi pudori, tutto il marciume e le storture che la contraddistinguono.

La dirompente esigenza espressiva e morale, la complessità delle strutture ambientali, la passione e la partecipazione con cui le realizza, fanno di Kienholz uno dei più grandi artisti della seconda metà del Novecento, meritevole senza alcun dubbio di un riconoscimento pari, se non maggiore, a quello di tutti i grandi di New York.

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Francesca Castiglia

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