Pier Michelatti e “la bella compagnia” che ricorda Faber. Per sempre

Che bella compagnia…” Notava Fabrizio De Andrè nel brano che da il titolo al suo ultimo disco, Anime Salve, del 1996. In quel disco, come ngli album e nei tour dei 16 anni precedenti e dei due che seguiranno, prima della sua “partenza” verso quelli che la sua preziosa amica Fernanda Pivano amava chiamare “gli spazi profumati dell’eternità“, c’era una certezza: Pier Michelatti al basso.
Michelatti, diplomato al conservatorio di Alessandria in contrabbasso, ha lasciato presto la musica classica per dedicarsi ad altre sonorità. Da allora, imbracciato il suo basso, ha collaborato con i nomi più importanti della musica in Italia: Fiorella Mannoia, Pino Daniele, Edoardo Bennato, Enzo Jannacci, Roberto Vecchioni, per citare esclusivamente le tournèe. E prima di tutti, appena ventenne e da allora in poi, appunto, con De Andrè. Alla cui memoria si dedica oggi, girando l’Italia con la sua band tributo, i Faber per Sempre: con loro ha riempito, il 26 luglio, Piazza Garibaldi di Gerenzano (VA).

Era un pubblico numeroso, variegato e partecipe quello che, complice la pioggia che ha dato tregua, ha affollato tutto lo spazio utile e si è lasciato incantare dal talento, oltre che del bassista, dei suoi compagni di viaggio: Maurizio Verna (chitarre e bouzouki) Paolo Guercio (tastiere e fisarmonica) Alessandro Cristilli (batteria e percussioni) Luca Campioni (Violino) e Roberta Malerba (Voce femminile e cori).
Palpabile ed emozionante, soprattutto per chi è nato dopo o poco prima della scomparsa del cantautore genovese, l’impressione di vivere un suo concerto e una traversata di tutti i suoi più bei classici così come dovevano essere, grazie anche ad arrangiamenti mantenuti estremamente fedeli agli originali, fatte salve una – pregevolissima – introduzione di chitarra di Verna alla Canzone dell’Amore Perduto e una versione della Canzone di Marinella riarrangiata a metà tra il tango e il bolero di cui ci spingiamo a immaginare lo stesso De Andrè sarebbe stato piacevolmente colpito, vista soprattutto la propria insofferenza,-che Michelatti non ha mancato di ricordare- così come è per molti colleghi, verso il brano che l’ha reso famoso. Una serata davvero ricca di emozioni, passata attraverso tutti i brani irrinunciabili delle centinaia di quello che ormai è per tutti soltanto Fabrizio in modo che che ciascuno dei presenti potesse goderne, che fosse più o meno appassionato e profondo conoscitore dell’autore. Dai primi testi, come Via del Campo e Bocca di Rosa a brani di Rimini (1978) come Volta la carta, dell’ album senza titolo del 1981 universalmente noto come l’Indiano, per l’immagine in copertina (Fiume Sand Creek e la sempre struggente Hotel Supramonte) fino agli ultimi brani, la già citata Anime Salve e in conclusione la sorprenderente –in questa scaletta, perchè meno nota– Princesa, che dimostra la forza comunicativa e sociale oltre che il valore poetico di un un autore capace di parlare di travestiti in una canzone nel mezzo degli anni novanta, in anticipo di forse decenni su chiunque altro.

Il pubblico ha mostrato di gradire molto, spellandosi le mani e richiamando i musicisti per numerosi bis, nella suggestiva location del sagrato della chiesa per una sera fattosi palco.
A margine di una così bella serata ci fa immensamente piacere che Michelatti, che al talento d’artista affianca una generosità umana propria di non molti colleghi, si sia piacevolmente prestato a qualche parola.

Cominciamo da te. Hai suonato con tutti i più grandi, in tutto il mondo. Perchè adesso scegli di fare musica anche nelle piazze suonando De Andrè?

Perchè un giorno, poco dopo che era “partito”, Dori (Ghezzi ndr) mi ha chiamato. Aveva trovato una vecchia agenda e uno scritto per me. Fabrizio mi ringraziava, con la consueta ironia, dicendomi quanto lo facesse sentire “protetto” il mio basso alle spalle. Lì ho capito che dovevo mettere insieme questo gruppo e continuare a suonarlo. La sentivo, e la sento, quasi come una missione. Sono andato alla Fondazione, e ho chiesto il permesso. Allora gruppi tributo non ce ne erano tanti quanti oggi, anzi. E mi son sentito rispondere “Beh, se non lo fate voi, che siete i suoi musicisti, chi altri?” Così Dori mi ha dato la sua “benedizione” e il Patrocinio della Fondazione, ed eccoci qui.
Ma soprattutto mi diverto ancora moltissimo, mi piace, amo suonare e stare insieme.
Sono appena tornato dal festival di cui curo la direzione artistica, Risonando De Andrè, a Soriano nel Cimino (VT) dove abbiamo riunito gran parte della storica band: Giorgio Cordini, Mario Arcari, Ellade Bandini, più il “mio” cantante: Ivan Appino. E’ stato molto bello.

I prossimi impegni?

Adesso coi Faber Per Sempre siamo abbastanza impegnati, avremo una serie di concerti, in Veneto soprattutto. Questa è una band di professionisti, con tutti le conseguenze del caso, e la crisi, le amministrazioni, la sentono. Ma andiamo avanti.

E tu? Dopo tanto viaggiare, adesso cosa fai?

Io mi occupo soprattutto di colonne sonore. Lavoro coi francesi: qui, ormai, è il vuoto.

Ecco il tasto dolente: qual è la tua impressione della situazione nell’ambiente, oggi?

Oggi vedo una totale assenza di voglia di fare, di spinta, da parte di chi avrebbe il compito di creare le occasioni perchè l’ambiente cresca. Io con Fabrizio ho iniziato a 22 anni, ma a 13 suonavo nelle feste di paese. Perchè allora occasioni ce n’erano, quasi dovunque. Qualcuno che abbia oggi i vent’anni che io avevo alllora, di fatto non ha possibilità che non contemplino l’emigrazione. E non è una questione puramente economica, per come la vedo io: in Spagna per esempio la situazione è grave quanto da noi, ma non c’è questa apatia culturale che mi vedo intorno.

Devo farti la domanda che non vorrei fare, perchè te la sentirai rivolgere continuamente: Chi era, per te, Fabrizio?

Musicalmente e professionalmente, uno che sapeva essere un negriero, tanto ci teneva a far bene: era capace di farti provare un pezzo – uno solo- quattro giorni di seguito.Ti racconto un episodio: Tieni presente che perchè un gruppo di musicisti funzioni, anche se sono i più bravi, occorrono sempre alcune date di “rodaggio”. Ebbene: Quarta data del tour de Le nuvole, del 91, al Palasport di Lucca. Era dall’inizio che non gli piaceva nulla. Ma proprio niente. Ci scrisse una lettera – a tutti, musicisti e tecnici: “Questo tour è una ciofeca, io me ne torno a Milano, se volete continuare fatelo da soli e trovatevi un cantante.” Testualmente. Ci volle tutta la pazienza di Bruno Sconocchia (Il tour manager, ndr) Dori e Mauro (Pagani ndr) che era l’unico dei musicisti che lo teneva a bada, per convincerlo a tornare indietro. Al decimo concerto ci radunò in camerino: “Adesso si, è bello, quasi quasi ci faccio un album live” Fu addirittura un doppio!

Professionalmente. E l’uomo?

L’uomo era uno che se in tour era così, era però anche capace di immensi scatti di umanità. Una persona che, specie quando non c’era in lavorazione nulla, nè dischi nè tour, ti chiamava a sorpresa: “Andiamo a cena?” Dei molti con cui ho suonato, solo Enzo (Jannacci ndr) era così. Fabrizio era un uomo vero. Per questo mi è rimasto nel cuore.

Ne abbiamo parlato prima, e allora ti chiedo: che cosa lascia, Fabrizio, ai ventenni di oggi?

Un tesoro immenso. Per questo tutti i ventenni che lo ascoltano sono persone speciali!
Ti racconto un altro aneddoto: una volta col mio gruppo abbiamo suonato vicino Udine. Arriviamo e ci troviamo davanti una platea di metallari. Ci sentivamo i Blues Brothers, abbiamo avuto paura che ci tirassero dietro qualcosa. Alla fine piangevano tutti. “Si, ascoltiamo solo haevy metal. Ma non toccateci Fabrizio!” Ed è così dovunque. E’ commuovente vedere quanto sia trasversalmente amato. Si sorprenderebbe.

Credi che non lo sapesse?

No. O meglio, di essere amato lo sapeva, e ci scherzava, ma non fino a questo punto, quello che constato io portando in giro i suoi brani. Ecco, così tanto no.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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