Short Theatre 9 – Le giovani parole di Mariangela Gualtieri

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Mariangela Gualtieri

Ascoltare Mariangela Gualtieri è un prezioso evento per chiunque conosca il Teatro Valdoca. Lo è anche per i devoti al verso, per gli innamorati della poesia, ma la commozione più grande tocca a chi abbia assistito almeno una volta a un lavoro firmato Cesare Ronconi.

Questo perché sui suoi versi, oramai da anni, si regge l’intera produzione di quello che viene messo in piedi da quest’indistruttibile contenitore di impulsi che è Valdoca.

Tutto fondato a partire dai versi della Gualtieri, eccezionalmente tutto, solo che questo eccezionalmente sovente significa anche invisibilmente. I versi fungono da basamento per l’exploit spettacolare ma non s’odono quasi mai e se s’odono è sempre per troppo poco.

Questa è la ragione del tutto esaurito, finanche per la stampa, il giorno in cui Mariangela Gualtieri è in cartellone a Short Theatre.

Il tulle turchino che le cinge la vita precede il bagliore del linguaggio con l’impressione che ella venga fuori da un mondo altro, fiabesco e di bottega al contempo.

Apre Sermone ai cuccioli della mia specie, parabola di speranza affidata all’infanzia di tutte le ere, a partire da quella dell’autrice, dono del suo giuramento piccino per la salvezza del dolore adulto, del cruccio raffermo, della resa, a finire con un’invito ad essere, a mordere, a giurare ancora, per questi cuccioli sazi e indeboliti.

L’evento cui si faceva riferimento in apertura non riguarda soltanto la meraviglia della personificazione del verso ma anche e soprattutto il contatto con l’oralità della poesia.

Non è sempre detto che i versi in bocca a chi li partorisce acquistino un valore aggiunto per chi li ascolta, anche se l’affermare una cosa tale potrebbe somigliare a un grido di supponenza; per quel che riguarda la Gualtieri però, sappiamo bene quale ruolo giochi la pratica orale, la corporalità della voce, la cadenza strappata del ritmo che non funziona più  una volta sottratto a chiunque non sia lei stessa. Pur non volendo, pur avendoci insegnato la contemporaneità l’astrazione, non smetteremo mai d’essere cercatori di senso ed è quel che ci risulterebbe familiare fare con la sola lettura del suo corpus ma è proprio qui che si nasconde la frattura. La Gualtieri, oltre a farci dono del pensiero messo per iscritto ci insegna l’alfabeto di come trattarlo, ci insegna il rispetto per la poesia dinamitarda, ci insegna la metrica, ci dice che una pausa è una pausa e come tale va attesa e poi ripresa.

La scelta dei testi è stata una passeggiata dentro il processo della fioritura, per mano ai doni terreni e a quelli celesti, altro invito alla cura con Sii dolce con me. Sii gentile.

Per concludere con una lunga poesia antologica del Ringraziare desidero dove un barlume è ancora rivolto a quell’unicum che resta del teatro: ‘ringraziare desidero per il teatro’ dice, per il potere di riunire belle anime attorno a sé, questione su cui dovremmo interrogarci per praticarlo sempre tenendo a mente questa rinnovabile possibilità.

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Maria Rita Di Bari è un acquario del 1986. Si laurea in lingue con una tesi sulla giustizia letteraria dedicata a Sophia de Mello Breyner Andresen e scrive di critica teatrale e cinematografica per testate quali Repubblica.it, “O”, “Point Blank” e “InsideArt”. Ha pubblicato con Flanerì un racconto dal titolo “La fuga di Polonio”.

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