Sedici chambres de bonnes contro il cielo di Parigi.
Sedici isole personali, sedici individualità, microcosmi, personalità.
Sedici persone che forse non si incontreranno mai, o forse bivaccheranno sul pianerottolo o, più probabilmente, si spieranno dalle porte accostate per sapere quando verrà il proprio turno per il gabinetto o per la doccia.
Uno spazio che si stringe attorno agli individui, dominato dalla Tour Eiffel.
Destini: destini gloriosi di yuppies, di singles, di immigrati, di artisti.
Sembra ci sia una legge che impedisce di affittare metrature al di sotto dei 9 mq, ma le chambres de bonnes sono redditizie e il loro fascino non lo perdono mai.
E’ rimasto qualcosa di Murger. Scene di vita di boheme nel terzo millennio.
Ma anche di Serge Gainsbourg, di Boris Vian, di Madonna o di Gabriel Gárcia Márquez quando ancora non erano quelli che conosciamo.
Soffitte arroventate d’estate e ghiacciate d’inverno: luce e cielo, cielo e luce. Stelle di notte, nuvole.
Ad un passo dalla pioggia, ad un passo dai raggi di sole, appena un po’ lontano dall’alone lunare.
Accampati, frastornati, isolati, stretti.
Luoghi inabitati, gente che vive la strada, assai più confortevole di quei due metri di larghezza.
Allarghi le braccia e la tua casa è già finita.
Claustrofobia e cielo. Com’è possibile?
A Parigi tutto è possibile. Ma come si può fare l’amore in una chambre de bonne?
Come si può avere stima di se stessi, alzarsi, sedersi, sdraiarsi?
E’ il fascino del povero, del semplice; e poi la Tour Eiffel che di notte si illumina e di giorno trafora il cielo con i suoi ricami.
Per chi sa vivere e per chi vuole vivere, ma anche per chi avrebbe voluto morire.
Sepolcri d’aria e di luce.
Intuire il piccolo cimitero di Montmartre. Ecco tornare il romanticismo decadente, ecco che torna Jean Genet, narratore di una vita fin troppo parigina che nei suoi libri sembrava quasi inventata e invece è ancora realtà, una delle mille realtà della Ville Lumiere.
E noi che pensavamo che tutto fosse Place Vendome, Rue de Rivoli, le belle case borghesi col camino ole nuove case periferiche con l’ascensore e l’aspirapolvere…
La soffitta di Divina è reale, economica, quotidiana.
Non puoi comprare né il latte né il burro. Senza frigorifero.
Non puoi comprare i vestiti. Senza armadio.
Né lenzuola. Senza letto.
Sapone, lysoform e i soldi per la lavanderia e la stireria ed i pranzi per strada.
Senza spesa, senza conforti.
Una chambre de bonne è per chi ama la vita, non i suoi accessori.
Ed i libri fanno da tavolo; per dipingere usciremo sul pianerottolo.
Senza pentole e senza piatti (dove potemmo lavarli?).
Un lavandino, magari il vaso da notte.
Una roulotte sospesa nel cielo.
Sotto Parigi che brulica, sotto Parigi che vive.
Scale, voci attutite: nelle sedici chambres de bonnes confinanti il giorno passa nel vuoto, la notte nella solitudine.
Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.
Solo a leggere ho avuto un attacco di claustrofobia.
Avvalersi di un loculo peggiore di una cella carceraria, non so, mi fa pensare a qualcosa di malsano, paradossale: dormire in una bara per sentirsi vivi.
Bell’articolo
cb
Ti capisco, Cristina!!!! Eppure quando sei lì dentro non sembra un loculo, ma un nido. Il classico alloggio bohemien con il suo carico di romanticismo e di disagi.
Tanti anni fa ci ho vissuto per un po’. Mi piacque tantissimo: non avere il frigo, dover sistemare sempre tutto era un modo di prendermi cura di me, di fare la spesa tutti i giorni, di meditare sulle infinite possibilità che la vita parigina offriva.
Certamente oggi è tutto molto diverso. La gente si affitta le chambres de bonnes come loft, se dai un’occhiata ai siti di affitto scopri che hanno rivoluzionato queste piccole abitazioni rendendole autosufficienti.
Così mi piacciono di meno, però.
Grazie a te.
? A quando la nostra bella Spagna? Questo racconto ci fa sognare grazie
Paolo del Rio