Un film sceneggiato da Richard Curtis (Quattro matrimoni ed un funerale del 1994, Il diario di Bridget Jones del 2001, Love actually del 2003 e I love radio rock del 2009 ) è già un film con garanzie di successo. Se poi è diretto da Stephen Daldry (Billy Elliot del 2000, The Hours del 2002, The reader del 2008) le garanzie di un film professionale e ben costruito aumentano il suo valore in premi internazionali e buoni incassi di botteghino. In Trash il valore aggiunto lo fanno poi i tre interpreti, Rafael, Gardo e Rato (Rickson Tevez, Luis Eduardo e Gabriel Weinstein) giovanissimi protagonisti di una bella storia movimentata e di buoni contenuti sociali, presi dalle strade delle favelas brasiliane, ma già pieni di grande maturità artistica. Hanno contato molto anche gli altri brasiliani del cast, ad iniziare dal Direttore della fotografia, Adriano Goldman, con le sue riprese luminose o chiaroscurate, i movimenti esagitati dei giovani, una grande galleria di ritratti, il montatore Elliot Graham, con i suoi stacchi secchi ed efficaci nelle scene d’azione e le sue lunghe introspezioni nelle pause ed infine il musicista Antonio Pinto che ha fornito al film quel ritmo vivace della samba che è caratteristica del cinema brasileiro.
Storia facile da raccontare. Tre ragazzini sui 14 anni che vivono in una favelas e lavorano in una discarica, trovano un portafoglio che contiene un segreto. E malgrado la polizia ed un politico corrotto li vogliano morti per non far scoprire il mistero, con l’aiuto di un prete (un credibile Martin Sheen) ed una volontaria (una intensa Rooney Mara) riusciranno a salvarsi, facendo trionfare nella loro moralità di dropouts, quello che loro dicono “è la cosa giusta da fare” per battere un sistema corrotto e violento. Con uno sfrontato e pericoloso coraggio, indagano come provetti investigatori e fuggono a polizia e mafiosi per tutto il tempo. Rendendo il film un action movie con risvolti di protesta civile, attraverso rocambolesche ed atletiche performances e momenti di grande solidarietà e commozione.
Abbiamo assistito alla simpatica Masterclass di Stephen Daldry, un elegante ed acuto signore inglese, intervistato da Piera Detassis e Costanza Quatrilio. Trash è stato tratto dall’omonimo romanzo del maestro contemporaneo Andy Mulligan, che ha insegnato a ragazzi poveri e soli in India, Filippine e Brasile, ma la conferenza stampa ha puntato soprattutto sui rapporti che si sono instaurati tra un inglese (preciso e cinico come ha specificato Daldry) e l’entusiasmo ottimista ed anarchico dei giovani attori locali. Si è parlato dell’ambientazione difficile da realizzare nelle location delle favelas, delle difficoltà linguistiche, di far coincidere una puntuale sceneggiatura con una spontaneità da non comprimere troppo. Stephen Daldry ha parlato della difficoltà di avere dai ragazzi quella giusta determinazione attoriale senza perdere la scintilla creativa. Le improvvisazioni sul set per captare i loro momenti più entusiasti, le perdite di giornate quando erano privi di volontà. Si trattava del resto di ragazzi di differenti favelas, senza regole e senza tempi dati.
Diventando il lavoro molto spezzato per seguire gli umori dei ragazzi – ha detto Stephen Daldry – occorreva spiegare continuamente il processo narrativo e girare quelle parti che potevano venir meglio. Se c’era uno spunto interessante (ad esempio come quello di giocare con un videogioco) veniva seguito in un opera di continua collaborazione. Ed infatti parte della sceneggiatura si è modificata seguendo il loro immaginario. Sul discorso della giustizia sociale c’è stata la migliore intesa – ha continuato Daldry – perché i ragazzi sono molto sensibili a questo problema. La differenza tra un inglese ormai scettico sulle modifiche di ogni società e l’entusiasmo e la speranza dei ragazzi brasiliani di cambiare il mondo è stata la molla per inserire i vari siparietti in cui i ragazzi spiegano con soddisfazione le loro idee su sé stessi e sulla situazione di una società.
Nel panorama del cinema attuale Stephen Daldry è il regista che più di tutti ha una straordinaria abilità nel raccontare storie in cui i suoi interpreti riescono ad andare al di là di una recitazione fittizia. Ne sono già esempio i premi Oscar ottenuti da Nicole Kidman per The Hours e Kate Winslet per The reader. Ma ancora più questa sua abilità, basata sul cambiare i confini delle cose per trovare il meglio di ogni attore, si può vedere nel raccontare storie di ragazzi come in Billy Elliot ed in Trash. Sono storie di infanzie raccontate con una aderenza alla realtà vissuta che fanno dimenticare la finzione cinematografica. Ancora più che in ET di Steven Spielberg o di The millionaire di Danny Boyle, favole come quella del ballerino Billy o dei ragazzi delle favelas, ci fanno così credere in loro, da appassionarci alla loro vita ed aspirazioni e commuoverci alle loro vittorie. Sono tra i pochi casi in cui per noi spettatori smaliziati il miracolo della finzione cinematografica ci fa diventare tutto reale.
Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.
Trash è il film vincitore del Festival.