Social business design management

foto x artapartViviamo tempi difficili da interpretare, tempi in cui i valori condivisi si sono nebulizzati nella nebbia dell’indifferenza. In questo contesto l’azione sociale, nel suo insieme, si pone come uno dei riferimenti alti, un faro che ci può aiutare a [rin] tracciare sentieri percorribili.
Anche nel mondo del design questo tipo di tensioni stanno prendendo sempre più forma, grazie a ricerche ed esperienze che hanno la capacità di porre al centro dell’interesse l’innovazione, attraverso l’attività progettuale del Social Design.

Il Social Design ha una lunga storia. Si iniziò a codificarne i confini verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso, grazie all’attività di progettisti e teorici del design che intravidero, sulla spinta dei movimenti giovanili dell’epoca, un nuovo modo di interpretare i termini di crescita e sviluppo.
Protagonisti ne furono designer come Thomas Maldonado o Victor Papanek che in quegli anni teorizzarono, e praticarono, la declinazione del progetto industriale in una chiave che poneva al centro dell’azione il rispetto della dignità umana e dell’ambiente.
Concetti controcorrente, difficili da far accettare all’epoca da un sistema tutto proteso verso la crescita dei consumi, letti come crescita globale. Analisi che però aveva mentori importanti in personalità di primo piano, come Bob Kennedy, che proprio in quegli anni enunciava il suo appello per i valori della nazione alla Kansas University, pochi mesi prima di essere assassinato.

Oggi, tuttavia, i tempi sono mutati ed una nuova pagina si sta aprendo per questa disciplina. Difatti, oltre al mondo del no-profit, da sempre attenta a certe tematiche, anche il mondo dell’imprenditoria ha ormai fatto propri valori quali l’ecologia e l’azione sociale, come certifica il crescente investimento in CSR (Corporate Social Responsibility) da parte delle aziende, anche italiane. Proprio nella intersezione tra il mondo no-profit e profit, il Social Design ha trovato un suo ruolo, quello di essere “mediatore culturale” di realtà che faticano a conversare tra loro oltre i termini della mera donazione economica, per approdare al mondo del progetto condiviso.
Il Design si pone in questa collaborazione come strumento per una azione di innovazione che coniuga l’attenzione progettuale, ai temi in grado di rispettare le esigenze più profonde dei popoli, azione che può rilasciare grandi energie, anche in termini economici. Si profilano in questo modo, delle grandi occasioni che gli operatori del no-profit e gli imprenditori, possono cogliere sia in termini di azione sociale che di business.

L’esordio del Social Business pone i progettisti di fronte ad un ripensamento del loro ruolo o, per meglio dire, li richiama ad una riflessione sul ruolo del design nella contemporaneità. Del resto è un dato incontrovertibile che il design si caratterizza per essere una disciplina legata alla contemporaneità, tale per sua essenza strutturale; non è dato parlare di design se non è restituzione, attraverso il progetto, del sentire più cogente di un dato momento storico.
Sarà cura della diversa sensibilità dei progettisti porre l’accento su valori sociali o di mercato in maniera più o meno evidente ma affrontare il tema del Social Business significherà fare una scelta di campo con determinazione, avendo acquisito come dati incontrovertibili istanze quali la sostenibilità, la parità dei diritti, l’attenzione per l’altro.
Considerazioni che amplificano il ruolo dei progettisti come interfaccia tra mondo imprenditoriale e mondo reale, posizione che in realtà i designer hanno sempre presidiato come intermediazione tra il mondo dell’industria e quello del mercato, ponendosi, in qualche modo, quali “mediatori culturali tra produttori e consumatori”.

Anche il mondo accademico inizia ad accorgersi dell’emergenza di questa nuova possibilità per il progetto, e proliferano i corsi in cui gli insegnanti delle facoltà di design propongono, all’interno del percorso accademico, questi temi come parte centrale della ricerca, anche se come scelta di sensibilità individuale. D’altra parte, però, un’importante istituzione per l’alta formazione come l’ISIA Roma Design, sta proponendo presso la sua sede di Roma un corso post-laurea che affronterà proprio queste tematiche, con l’obiettivo di formare progettisti che siano in grado di dialogare con i diversi attori di questo sistema e saperne cogliere le opportunità. La vera scommessa di questa iniziativa, e altre che prenderanno forma, sarà quella di riuscire a coinvolgere partner economici ed istituzionali in grado di recepire la forza di questa proposta innovativa.

http://www.isiaroma.it/formazione/master-social-design/

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Marco Pietrosante, system designer. Studioso e progettista in ambito Social Food, si è occupato di design industriale con particolare attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale. È consulente per il marketing strategico ed esperto in Design thinking. È stato promotore e conduttore del primo master in Food Design europeo. Ha ideato e gestisce il premio Social design prize che viene conferito ai progettisti più attenti al sociale. Si occupa di eventi culturali legati al design e all'architettura ed è responsabile dell’area master presso l’ISIA Roma Design.

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