Giuseppe Stampone odia gli indifferenti. Con intervista

Quando il 9 ottobre 2009 fu annunciato il conferimento del premio Nobel per la Pace a Barack Hussein Obama, molti ne furono sorpresi [1]. “Non credo di meritare di essere in compagnia di tante figure che hanno cambiato il mondo e che mi hanno ispirato” dichiarò lo stesso Obama appresa la notizia. La commissione del Premio gli riconobbe all’unanimità lo “straordinario impegno per rafforzare la diplomazia internazionale e la collaborazione tra i popoli”, attraverso il tentativo di ridurre gli arsenali nucleari e intavolare un dialogo col Medio Oriente. Dopo solo undici mesi di presidenza. La sorpresa aumentò ancor di più allorquando Obama declinò l’invito a incontrare il Dalai Lama (altro premio Nobel per la Pace nel 1989); rifiuto che, da alcuni commentatori politici, venne interpretato come la volontà di evitare eventuali dissapori col governo cinese in vista della sua visita ufficiale a Pechino. Anche l’artista Giuseppe Stampone (Classe, 1974) rimase sorpreso del premio e iniziò degli studi su di esso. P&W, esposto nell’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma, nella personale Odio gli indifferenti curata da Raffaele Gavarro e Antonella Renzitti, è il risultato di queste ricerche. Una mostra che già dal titolo appare un chiaro proclama politico: perché Odio gli indifferenti è l’incipit di un articolo di Antonio Gramsci pubblicato nel 1917, nel numero unico del giornale “La città futura”, curato della Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista. Sostiene Gramsci nel suo scritto:

“L’indifferenza è vigliaccheria. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia”.

E ancora:

“L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore.”  [2]

Nelle tre sale dell’Istituto, Giuseppe Stampone mostra alcuni dei suoi lavori più recenti che esplicitano, in modo chiaro, la sua personale visione geopolitica e raccontano una Storia la quale, nel momento stesso in cui la trascrive, non è più attuale, è già superata, è già diventata altra; e, soprattutto, presentano la sua pratica artistica. Che non è solo l’esecuzione materiale delle opere, anzi il contrario. Esse sono il risultato di articolate azioni, di un’interessante declinazione di public art, perché l’artista, prima di rappresentare dei simboli con le rispettive parole, si confronta con la collettività cui quel simbolo deve essere ricondotto e, insieme, scelgono la parola. Oltre alla già citata P&W, che apre il percorso espositivo, sono allestite Global dictator, Abc dell’arte e Solstizio.

La monumentale installazione di P&W che, nelle intenzioni di Giuseppe Stampone, si presenta come opera aperta, è molto suggestiva. Ben centoquattordici dipinti, raffiguranti le bandiere degli Stati o degli Enti ai quali, dal 1901, è stato assegnato il premio Nobel per la Pace. Il premio ha la sua rappresentazione grafica nella bandiera; egli è affascinato, come ci racconta:

“dal concetto di nazione che si esprime con una bandiera, un elemento astratto, fatto da moduli geometrici, larghezza e altezza, che diventano il segno di una Nazione”.

Così, per ogni anno che il premio è stato assegnato, egli ha eseguito la bandiera del Paese associato al vincitore, per i natali o per la sede fiscale. Nella visione d’insieme, P&W attiva molte connessioni e apre la strada a varie considerazioni e constatazioni. È sconvolgente notare, per esempio, che ad essere i più premiati col Nobel per la Pace, sono proprio quei paesi che di più hanno innescato, sostenuto, finanziato, le guerre nel mondo. Sono, infatti, ben ventidue i premi consegnati agli Stati Uniti, seguiti a ruota dal Regno Unito (tredici). E molti premi sono stati consegnati ad alcuni Enti neutrali (come ad esempio Médecins sans Frontières, cui è stato assegnato nel 1999), che hanno, però, la loro residenza legale nell’imparziale Svizzera (ben undici), da sempre sede dei grandi capitali finanziari delle potenze mondiali; oppure sono stati consegnati a persone che rivestivano la carica di presidenti di istituzioni create appositamente per il mantenimento della pace, in pratica premiati perché svolgevano il loro incarico [3]. Altrettanto violentemente salta agli occhi la bandiera del regime nazista con la svastica. Perché nel 1935, in pieno regime nazista, il premio fu assegnato al giornalista tedesco Carl von Ossietzky per il suo intenso e prolungato impegno pacifista, e che, per tale motivo, fu incarcerato diverse volte e non ritirò mai il premio. Nella teoria di bandiere ordinatamente disposte in più file, emergono i monocromi (in tutto diciannove), che, nel tourbillon di colori accesi, netti e densi, appaiono come delle pause, dei buchi, delle fermate. Essi coincidono agli anni in cui il premio non fu consegnato. Guarda caso, in corrispondenza di quegli anni, l’Europa era impegnata in conflitti. Si diceva che P&W apre il percorso espositivo e, nuovamente, il titolo cela significati diversi: abbreviazione ideata da Stampone per indicare tale premio, P&W sta per peace&war, volutamente scritto con le & commerciale, che subito richiama il concetto di import/export, per sottolineare il doppio senso (ancor di più se si tiene conto che è anche la sigla di un’industria aerospaziale statunitense specializzata, tra le varie cose, nella progettazione di motori aeronauti per uso militare). L’abbreviazione è suggerita proprio dalla visione complessiva di tutti i novantacinque premi Nobel consegnati.

A questo lavoro gli fa da contraltare Global dictature, la serie dei ritratti di dittatori tra i più spietati della storia. E, ironia della sorte, alcuni di loro furono nominati per il premio Nobel della Pace, come Stalin, menzionato nel 1945 e 1948 per il suo impegno a porre fine al conflitto mondiale; Hitler nel 1939 come capo del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi, e lo stesso Mussolini nel 1935 [4] . Ricalcando fedelmente il formato e il contenuto di copertine di riviste tra le più famose (come “Life”, “Time”, “Der Spiegel”, “Internazionale”, “The Indipendent”), contemporaneamente evocando i fogli dell’abbecedario utilizzati nelle prime classi delle scuole elementari appesi alle pareti delle aule, attraverso una visione fredda e decontestualizzata Stampone volutamente crea un corto circuito tra il personaggio rappresentato e la scritta a esso corrispondente, per evidenziarne la contraddizione interna, proponendo un altro punto di vista.

Precisa Giuseppe Stampone:

“Le mie opere come immagini-identificatrici, come dei tag, attraverso cui ricondurre la classificazione delle immagini corrispondenti, ma che indicano anche un’idea presente nell’immagine e nella categoria in cui si colloca, in quello che possiamo definire come il senso comune degli utenti della rete.”

Così, i premi Nobel da una parte e i dittatori dall’altra, spingono a riflettere sulla cultura occidentale, sulla strumentalizzazione del premio e di come l’economia abbia sempre (come adesso) influenzato e determinato le scelte politiche di molti Stati. Una grande mappa del mondo accompagna e completa i ritratti. Su di essa, attraverso precisi simboli (qualcuno molto pop), sottolinea dei paradossi geopolitici, alcuni già superati e trasformati in qualcosa di nuovo e diverso. In Abc dell’arte, un gioco da tavolo che, sulla falsa riga del monopoli, invita lo spettatore a riflettere sullo stato delle cose e verificare alcune conoscenze e convinzioni.

Chiude la mostra, il video e alcune tavole risultanti del progetto Solstizio, che include anche il progetto Global Education, avviato dal 2008, col quale attraverso laboratori didattici nelle scuole, mira a creare una nuova alfabetizzazione, attraverso l’esperienza formale che, per l’artista, “crea un legame con i luoghi”. Da non trascurare che tutti i disegni iperrealistici di una realtà sociale quotidiana sono realizzati con la penna a sfera di colore blu che, per Stampone, equivale alla pittura perché l’inchiostro è oleoso; inoltre, la penna a sfera è un media tra i democratici perché alla portata di tutti. Quella di Giuseppe Stampone è una visione che confida in un radicale cambio di rotta, espresso attraverso un pessimismo che nasconde, in realtà, un’autentica dose di fiducia nella ri-costruzione di un’innovata coscienza civile, a partire da quella del linguaggio. E contrariamente a quanto l’arte solitamente asserisce, di porre domande anziché fornire risposte, qui le risposte sembrano invece essere messe sotto i nostri occhi, in maniera lapalissiana, affinché nessuno possa nascondersi dietro l’alibi del “non sapevo”, “non ho visto”. O forse le domande sono in realtà delle esortazioni. “Adesso che hai visto e adesso che sai”, sembra dirci Stampone, “tu, cosa vuoi fare?”. Sono, quindi, incoraggiamenti a prendere posizioni chiare. In una visione di cittadini (e non abitanti) del mondo.

Note

Info mostra

  • Giuseppe Stampone – Odio gli indifferenti
  • Istituto Nazionale per la Grafica – Palazzo Poli, via Poli 54 Roma
  • Periodo: dall’11 ottobre 2014 all’11 gennaio 2015
  • Ingresso: libero
  • Apertura al pubblico: martedì – domenica, ore 10.00 -19.00 – chiusura settimanale: lunedì
  • Info: 06 69980238 – www.grafica.beniculturali.it

Note

1.  «Congratulazioni presidente Obama per il Premio Nobel per la Pace: ora per favore se lo guadagni!»: è il messaggio del regista Michael Moore. Anche il Times attacca la decisione «assurda» ché rende il premio «una presa in giro» e «raramente un premio ha avuto un intento così palesemente politico e di parte […] per esprimere la gratitudine europea per la fine dell’amministrazione Bush, l’approvazione per l’elezione del primo presidente nero d’America e la speranza che Washington onori la sua promessa di tornare a impegnarsi con il mondo».

2.  Un articolo pressoché dimenticato, rispolverato da Gianrico Carofiglio durante la manifestazione contro la legge sulle intercettazioni tenutasi al Teatro Quirino di Roma il 31 maggio 2010. È su questa spinta che Chiarelettere ha ripubblicato la raccolta degli scritti del biennio 1917-18 del politico italiano, nella versione ricostruita da Sergio Caprioglio dopo l’individuazione, nell’Archivio di Stato di Torino, delle parti censurate in virtù dell’attuazione del Decreto Legge del 23 maggio 1913, che imponeva a qualsiasi scritto, prima di essere pubblicato, di passare il vaglio della censura.

3.  A titolo di curiosità: nel 1907 il primo, e finora unico, italiano a conquistare questo riconoscimento è stato il giornalista e scrittore pacifista Ernesto Teodoro Moneta.

4.  Cfr nobelprize.org.

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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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