Sergio Ceccotti, irrealtà figurativa a Villa Torlonia

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«Io dipingo ciò che devo, non ciò che voglio» sostiene Sergio Ceccotti. L’esigenza insopprimibile di creare, ma senza esser pressati, senza subire imposizioni, anziché imprigionare, svincola l’artista; lo rende indipendente da condizionamenti e influenze legate alla tendenza del momento. Per questo è estremamente difficoltoso, se non impossibile, circoscrivere o etichettare Ceccotti collocandolo in una corrente.

Romano, classe 1935, allievo di Kokoschka, Ceccotti sceglie ben presto di girovagare, appena può, in Europa, alla ricerca di spunti e stimoli culturali. Entra così in contatto con personalità del calibro di Otto Dix, che nel 1966 scriverà un contributo introduttivo sul catalogo di una sua mostra alla Galleria Piazza di Spagna a Roma. Le prime esposizioni di Ceccotti, nella metà degli anni ’50, rivelano la sua curiosità nei confronti del cubismo, rivisitato a modo suo con la cura grafica di un disegno molto raffinato e maturo, come testimoniano anche i taccuini di schizzi, una produzione limitatissima, ristretta agli anni ’60, perché successivamente l’artista disegnerà direttamente sulla tela, prima a matita, poi con l’inchiostro di china, servendosi alcune volte di schizzi preliminari e fotografie come punto di partenza, bozzetti veloci che però non conserva.
Ceccotti attinge anche alla pittura metafisica, all’Espressionismo tedesco, alla Pop Art, al fumetto, al cinema, all’illustrazione. Queste molteplici fonti di ispirazione sono rigorosamente adattate alla sua necessità della pittura, un’urgenza che, si intuisce, prende avvio dopo una attenta concentrazione e osservazione rapida degli spazi che lo circondano e delle atmosfere che gli suggeriscono.
L’ambiente metropolitano viene così declinato nel suo dialettico e continuo svelarsi e celarsi, con elementi che disturbano un’apparente quiete borghese e denudano sentimenti, intimità cupe, presagi di orrore, solitudini, incomunicabilità.
Il clima noir che avvolge alcuni suoi dipinti è dato dall’abile combinazione tra quelli che appaiono come veri e propri set cinematografici – accostabili a quelli di Alfred Hitchcock – e l’apparizione di dettagli spiazzanti che lasciano lo spettatore all’oscuro, senza risposte.
Negli anni ’80, dopo una personalissima incursione nelle tematiche care agli artisti dell’Anacronismo, trova nei rebus una soluzione alle sue esigenze di racconto pittorico. Il fascino onirico e metafisico delle tavole enigmistiche si traduce sulla tela in composizioni stranianti nelle quali le sequenze, svincolate dalle comuni logiche narrative, assumono una connotazione ipnotica. Sembra quasi che l’artista abbia voluto mutuare in pittura, e quindi in un contesto bidimensionale, quelle tecniche cinematografiche – piano sequenza, profondità di campo – che apportano grande efficacia alla sintesi del racconto e arricchiscono di pathos la composizione.
In realtà c’è molta più musica che cinema nell’afflato creativo di Ceccotti; appassionato di musica classica – dopo un breve ma intenso innamoramento per il jazz dal vivo dei Modern Jazz Quartet – e in particolare di quella da camera, cerca di far balzare fuori dai suoi quadri una scansione ritmica, una disposizione rigorosa che corrisponda a quell’armonia di suoni che ama ascoltare quando dipinge.
È percepibile il distacco emotivo dell’artista nel presentarci situazioni che preludono o seguono un crimine, una scena d’intimità domestica, uno scorcio cittadino con presenze misteriose: sembra che per Ceccotti conti di più il rigore descrittivo, l’equilibrio mai lezioso della composizione e, soprattutto, un’ irrinunciabile volontà narrativa.
Questo messaggio arriva, eccome, anche agli occhi distratti, anche nelle opere che lasciano maggior spazio alle architetture urbane – Roma e Parigi, le città dove l’artista vive e lavora – si avverte una delicata ricerca poetica e, talvolta, una giocosa e pungente volontà di disorientarci, inserendo personaggi in bilico su cornicioni o spaventati da presenze a noi invisibili.

La mostra a Villa Torlonia, curata da Cesare Biasini Selvaggi e organizzata da Liliana Maniero, ha il pregio di presentare una ricca antologia di opere (dal 1958 al 2014) che rivela tutte le sfaccettature di un percorso artistico non riconducibile a correnti o scuole e che orgogliosamente sfugge a certe facili scorciatoie; un mondo che ritrae minuziosamente l’irrealtà, quello di Sergio Ceccotti, un mondo che custodisce un che di misterioso, meditabondo, ma condito da una raffinata e sottile ironia, un mondo che, forse, proprio in questo, un po’ gli somiglia.

Info mostra

  • Sergio Ceccotti – La vita enigmistica
  • a cura di Cesare Biasini Selvaggi e organizzata da Liliana Maniero
  • dal 22 ottobre 2014 all’11 gennaio 2015
  • Musei di Villa Torlonia – Casino dei Principi
  • Via Nomentana, 70 – Roma
  • Orario 9.00-19.00. La biglietteria chiude 45 minuti prima

Giorni chiusura: il lunedì; 25 dicembre; 1 gennaio.

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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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