Passione. Una parola con tanti significati, ma labili emozioni

Il ratto di Proserpina, Bernini
Il ratto di Proserpina, Bernini
Il ratto di Proserpina, Bernini

Raramente s’incontrano parole tanto usate da cominciare a perdere ogni significato possibile, perché li hanno avuti già tutti; probabilmente passione, parola abusatissima, è una di queste.
Essa ha una storia lunghissima; viene direttamente da quel pathos che per l’arte e l’estetica ha significato molto. La passione è da sempre connessa ai fenomeni estetici, e il valore che le si attribuisce segue sempre quello, più generale, del contenuto emozionale del lavoro dell’artista o della sua importanza per il pubblico fruitore.

Dai tempi di Platone la componente passionale dell’arte è stata pesantemente criticata, ma ha continuato i suoi cicli di fama e oscurità, passando anche per gli ambigui trattamenti nietzscheani; di questi tempi “passione” subisce ancora una pessima fama conferitole da un Novecento tutto intento a limitarla per renderla accettabile.

Il secolo della tecnica non poteva che sostanzialmente diffidare di una emozione che, per quanto la si voglia relegare, nega per la sua sola presenza quella ‘distanza estetica’ che è la cifra comune di quasi tutte le teorie artistiche del secolo. Fatalmente, la negatività della passione si è consolidata con l’allargamento del numero di fruitori e spettatori legato all’«epoca della riproducibilità tecnica»: la fine dell’aura – anch’essa una distanza – delle opere d’arte ha spianato la strada a un sentimentalismo molto facile e molto vendibile.

Di qui è stato facile, in una chiacchiera sull’arte sempre più diffusa, passare a valutare la “passione” come ciò che può sostituire la lunga e difficile preparazione dell’artista, le sue innumerevoli esperienze, distorcendo un campo semantico che arriva fino alla considerazione del talento e del genio come semplici prodotti di un’intensa “passione”.

Il problema è ormai noto anche nell’arte: una comunicazione volta sempre alla ‘pancia’ del pubblico veicola una cultura fatta di ‘emozioni’ labili e non di sentimenti duraturi: costruire su quelle emozioni espressioni artistiche, poetiche, metodi critici è molto difficile e forse impossibile, sempre che lo si voglia fare davvero. Se non si sottolinea mai la fondamentale differenza tra sentimento ed emozione – che aiuterebbe molto a rivalutare le componenti patetiche, il pathos, la “passione” non solo in riferimento all’arte – rispondere a domande basilari come “cosa può essere la passione per l’arte?” o più rapidamente “l’arte è una passione?” diventa impossibile – oppure ipocrita.

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Lorenzo Gasparrini Dottore di ricerca in Estetica, dopo anni di attività universitaria a Roma, Ascoli, Narni in filosofia, scienze della formazione, informatica, ora è editor per un editore scientifico internazionale. Attivista antisessista, blogger compulsivo, ciclista assiduo, interessato a tutti gli usi e costumi del linguaggio.

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