Falstaff: il corpo in fuga dalla ragion di Stato.

Sbruffone, tracotante, carnale, ingordo e materico. Un cavaliere allergico a qualunque regola e ai doveri che il suo ruolo gli impone: Shakespeare lo traghetta dall’Enrico IV a Le Allegre Comari di Windsor, passando per i richiami nell’Enrico V.
Tradizione pesante quella piovuta addosso a Giuseppe Battiston, per la regia di Andrea De Rosa, con il Falstaff che inaugura la stagione di prosa del Teatro Comunale Città di Vicenza. Un’apertura d’anno coraggiosa, frutto della collaborazione tra E.R.T. – Emilia Romagna Teatro Fondazione – e Teatro Stabile di Torino. Una scelta senza dubbio capace di spiazzare la platea, forse convinta di trovarsi davanti all’ennesimo rassicurante classico del teatro moderno.

La scena di Simone Mannino divide lo spazio in più livelli di visione, che corrispondono ad altrettanti piani narrativi. Il bordello è regno lascivo del re godereccio Falstaff, scuola di perdizione per il giovane principe Hal, erede al trono schiacciato dal rapporto con il padre Enrico IV, costretto dalla paura a una distanza morale tra le cui pieghe si fa strada il piacere assoluto, quello che vomita ogni sorta di ordine etico-sociale.

Una voce spegne con gelido incedere acustico luce e disordine, proponendo dal proscenio discorsi che nessuno degli altri personaggi vorrebbe sentire. De Rosa, che ha lavorato sul testo e sulla traduzione con Nadia Fusina, interpella Kafka e Nietzsche per raccontare il dissidio, l’inquietudine che sotto quella carne votata all’ubriachezza si annida nell’animo del principe Hal ma anche del suo padre putativo Falstaff, oltre il freudiano principio del piacere che sembra dare un senso alle loro giornate.

Non è solo l’ascesa al trono a incombere sulla sfrenata ebbrezza dell’eros, ma un’intera epoca destinata a imprigionare per sempre l’essere umano, condannato a una libertà pervasa di vincoli e responsabilità. Un peso esistenziale non paragonabile a quello desiderabile e denso di godimento del corpo, strumento usato per ingoiare ora dopo ora tutta la gioia possibile, deformato e allargato a dismisura per uscire dal terribile confine del lecito.

La storia intanto, fuori di là, fa il suo corso, e giunge il funesto momento della resa dei conti, dell’incontro con quel padre simbolo dell’addio agli istinti accesi dalle più torbide sfumature del vivere. Una pesante ombra immersa nel grigio e nella distanza, quasi fosse una bieca divinità incapace di qualunque slancio umano.

Le intenzioni registiche e la costruzione drammaturgica conquistano l’attenzione e si sposano con la carismatica figura di Giuseppe Battiston, in scena nel doppio ruolo di Falstaff e di Enrico V, circondato da un gruppo di attori in grado di sostenere il ruolo pur senza emergere con particolare forza interpretativa. Rimane un che di non risolto, come una domanda che stimola la discussione e invita all’approfondimento senza essere fino in fondo supportata dalle sue motivazioni di fondo, che in teatro si traducono primariamente in forza estetica.

FALSTAFF da Enrico IV / Enrico V di William Shakespeare. Traduzione Nadia Fusini. Con Giuseppe Battiston, Gennaro Di Colandrea, Giovanni Franzoni, Giovanni Ludeno, Martina Polla, Andrea Sorrentino, Annamaria Troisi, Elisabetta Valgoi, Marco Vergani. Adattamento e regia Andrea De Rosa. Scene e costumi Simone Mannino. Luci Pasquale Mari. Suono Hubert Westkemper. Movimenti scenici Francesco Manetti. Prodotto da Fondazione del Teatro Stabile di Torino / E.R.T. Emilia Romagna Teatro Fondazione.

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La Sicilia non solo terra d'origine ma luogo dell'anima, culla del teatro e fonte di ispirazione dove nasce l'amore per la scrittura. Dopo una laurea in Comunicazione e una specializzazione in Discipline dello spettacolo, scelgo di diventare giornalista e continuare ad appassionarmi alla realtà e ai suoi riflessi teatrali e cinematografici.

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