L’uomo che schioccava le dita. Doppi e contrasti nel nuovo romanzo di Fariba Hachtroudi

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Medio Oriente. Oggi (più o meno). I riferimenti alla contemporaneità sono fortissimi; al lettore la facoltà di orientarsi nell’indeterminatezza dell’ambientazione de L’uomo che schioccava le dita, il nuovo romanzo della giornalista iraniana Fariba Hachtroudi. O meglio: l’azione si svolge tra non meglio definiti Oriente e Occidente, e in una continua alternanza tra il prima e il dopo, tra flashback e attualità, tra uomo e donna. Lo scambio, il passaggio dei punti di vista, delle modalità di narrazione, degli scenari in cui si svolge l’azione è la chiave di lettura del romanzo. Ci si alterna continuamente in un gioco di contrasti, digradando verso una riconciliazione finale che potrà esserci solo a un prezzo tragico.

Protagonisti un uomo, Ala, e una donna, Vima. Lui richiedente asilo dopo essere stato al soldo della tirannica e fondamentalista Repubblica teologica nel paese d’origine; lei interprete, ex prigioniera del regime, incarcerata come esca per far sì che il fidanzato confessasse i propri crimini politici e poi liberata dall’azione di colui che lei identifica con il gesto che l’ha salvata dalla morte: uno schiocco di dita. Le vite dei due, per quegli ironici scherzi del destino che segnano ogni esistenza, si ritrovano a confrontarsi quando lei è chiamata a fargli da interprete. L’iniziale odio di Vima per Ala si scomporrà pezzo a pezzo quando lui si rivelerà come suo salvatore e chiederà il suo aiuto per contattare la moglie amatissima e perduta, quella (anche lei) Vima che alla fine del romanzo svelerà quanto l’amore sia in grado di far chiudere gli occhi di fronte alla realtà.

Vima e Ala non possono fare a meno di aiutarsi, se non altro in nome del proprio passato comune. In forme diverse, sono entrambi segnati da un regime dittatoriale, ed entrambi cercano di recuperare un amore ormai, a loro insaputa, perduto. La loro storia è quella di due solitudini che si specchiano l’una nell’altra e inevitabilmente, in parte, si ritrovano. C’è un messaggio positivo dietro questa storia triste: i fantasmi traumatici del passato devono essere affrontati senza ricorrere a vigliaccherie e vie di fuga collaterali, e il confronto è tanto più efficace quanto più lo si vive assieme agli altri, in una reciproca operazione di aiuto e sostegno. Vima e Ala vivono questo: la progressiva uscita da una chiusura al mondo e un vicendevole scambio di forze, seppur nate da un’esperienza disperata e disperante.

Quasi inevitabile il coinvolgimento emotivo nelle storie (e nelle vite) dei protagonisti. La scrittura è un continuo e spesso frenetico alternarsi tra l’ottica di Ala e quella di Vima: uno sguardo doppio tramite cui la narrazione può essere condotta e la storia può essere letta. Ci vengono restituiti il pensiero e lo stato d’animo dei protagonisti atraverso lo svolgersi stesso delle loro riflessioni: come a dire che alcune storie, così intensamente tragiche e così inevitabilmente ambigue, non si può fare a meno di raccontarle da un punto di vista almeno doppio, che restituisca chiavi interpretative plurime. L’impostazione narrativa scelta dall’autrice è decisamente vincente.
L’uomo che schioccava le dita (edizioni e/o) è una storia emotivamente forte ed estremamente contemporanea. È una finestra su quelle “vite degli altri” che dovremmo essere in grado di osservare con un maggiore sforzo di comprensione. Forse, anzi, sicuramente, anche i libri possono insegnarci a farlo.

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Lorenzo Moltedo nasce a Roma nel 1991. Laureato (triennale) in Lettere Moderne presso “Sapienza” Università di Roma con una tesi sull’Orlando Furioso, è davvero curioso di conoscere cosa gli riserva il futuro. Non saprebbe immaginare una vita senza libri (e lo scrive con il rischio di sembrare retorico). Tra gli altri suoi interessi: viaggi, corsa, cinema e, in generale, ogni forma di manifestazione artistica. Quella con artapartofcult(ure) è la sua prima esperienza “ufficiale” di scrittura.

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