Mat Collishaw – Black Mirror. Roma, Galleria Borghese

Zootropio 205 x 200 cm Acciaio, alluminio, resina, gesso, stroboscopio, meccanismo di rotazione. Andrea Simi

Non sono nuovi né il progetto di mettere in dialogo un artista del passato con uno contemporaneo, né la modalità di presentarlo in un museo dove simile conversazione si presta maggiormente ad una immediato lettura. E non è nuovo neanche il luogo dove tale accostamento è svolto. A commisurarsi con un mostro sacro della storia dell’arte non sono italiana è l’inglese Mat Collishaw, che mette sotto la sua attenzione nientepopodimenoche Caravaggio conservato nella collezione di colui che fu il suo più importante committente e protettore, il cardinale Scipione Borghese. La Galleria Borghese, infatti (come del resto la GNAM), dal 2007 propone, col progetto Committenze Contemporanee, interessanti mostre organizzate proprio sul concetto del parallelo generazionale, anche con il nobile intento di rendere evidente la continuità (se non addirittura la filiazione) dei lavori contemporanei con quelli degli artisti che li hanno preceduti.

Presentata dal British Council (che ha anche supportato la realizzazione del docufilm sulla mostra di Elisa Fuksas, e visibile su Sky Arte), organizzata da 1/9unosunove e curata da Anna Coliva e Valentina Ciarallo, l’artista della YBA (quella generazione di artisti della scuderia Saatchi che esplose con la pluricitata mostra Sensation) che nel 1997 si rivelò presentando il suo frammentato Bullet Hole, il suo “buco di proiettile” – anche se in realtà un colpo di rompighiaccio -, ha realizzato tre grandi opere che prendono spunto da altrettante famigerate opere del Merisi: Madonna dei Palafrenieri (sala X), San Girolamo scrivente (sala XVI) e Davide con la testa di Golia (sala XIV).

Ma andiamo per ordine. Perché la mostra Black Mirror (che mi fa venire in mente la musica di Michael Jackson) si sviluppa sui due piani della Galleria.

Entrati, per prima cosa si visita il piano terra, quello per lo più allestito con sculture (per intenderci il piano dove sono conservati i gruppi scultorei mozzafiato del Bernini e l’ammiccante Paolina del Canova). Proprio tra queste sale, per la precisione nel grande salone di ingresso su cui domina la grandiosa volta affrescata con la celebrazione della civiltà romana realizzata da Mariano Rossi, è approntato il primo lavoro di Mat Collishaw. La Strage degli Innocenti dello Scarsellino (conservata sempre nella Borghese nella sala 11) ha una traduzione plastica attraverso la riattualizzazione di un giocattolo ottico di epoca vittoriana, lo zootropio, che accentua la ferocia e la drammaticità dell’evento biblico. Ogni otto minuti, le luci si abbassano, un piccolo fascio di luce stroboscopica illumina la scultura a forma di tempio circolare; lo zootropio tempestato di piccoli personaggi, attraverso un meccanismo di rotazione, inizia a girare vorticosamente, e le piccole figure realizzate in resina in stampa 3D ripetute diciotto volte, come per incanto, si animano. E sembra di sentire le urla di dolore e di avvertire sulla propria pelle la nerbata del manigoldo sulla donna che tenta disperatamente di salvare il proprio figlio dalla morte sicura (e travalicando il confine del racconto biblico, sembra addirittura prendere vita quella quotidiana violenza a cui molte donne sono sottoposte nelle mura domestiche dai loro compagni). Un vertiginoso girare che sembra portarci dentro uno straziante girone dantesco, con una violenza che appare senza soluzione di continuità. Una strage di innocenti che in quest’epoca, e soprattutto in questi giorni, sembra quanto di più attuale e contingente: quelle stragi ugualmente perpetrate per motivi altrettanto incomprensibili da chi non riesce a mettere a fuoco i motivi per un sereno equilibrio di convivenza e di religiosità.

Si passa poi al primo piano, alla Pinacoteca e, salito l’ultimo gradino della scalinata a chiocciola, mediante un sapiente gioco di prospettive, in un solo colpo d’occhio si possono ammirare tutti e tre i lavori caravaggeschi di Mat Collishaw realizzati per questa parte della mostra. Tre grandi specchi, con articolate, imponenti e straordinarie cornici nere in vetro di murano (realizzate dallo stesso Collishaw volutamente in vetro per la contraddizione interna del materiale stesso, forte e fragile allo stesso tempo, per la sua trasformazione da liquido in solido), che hanno il ruolo di “decontestualizzare e ricontestualizzare le figure”  – come afferma Anna Coliva – e di inquadrare altrettanti “specchi”, altrettante “scatole magiche”. Di nuovo, con una variabile cadenza temporale, le superfici specchianti, da meri piani riflettenti, si animano, prendono vita. E lo spettatore, come nel celebre film disneyano, si ritrova di fronte allo specchio delle mie brame nell’attesa di una risposta, che ovviamente non arriva. Ma, anziché spuntar fuori il viso dello spirito dello specchio magico, appare tutta la grandezza del Caravaggio, mostrata attraverso la sensibilità e la forte perizia di Collishaw (in questo caso mediante un intelligente uso del 3D), che vuole sempre coinvolgere lo spettatore. Artista che liberamente utilizza diversi media (fotografia, video, scultura, installazioni) per indagare come il linguaggio figurativo possa influenzare sulla concezione che si ha di quella stessa immagine, con una prassi molto tipica del Barocco, quale la maraviglia con la ripresa di elementi figurativi estratti dalla tradizione dell’arte, con artefici anche provocatori, sempre in bilico tra realtà e finzione. Così, nella sala XIV, quella testa di Golia (“che il quella testa volle ritrarre se stesso e nel David ritrasse il suo Caravaggino”, come riporta Manilli nel 1650) sembra effettivamente uscire dal quadro e materialmente offerta a noi.

Evidenziando il drammatico naturalismo e enfatizzando la maestria della luce di Caravaggio, Collishaw riproduce quel tremolio della fiammella delle candele che illuminavano quegli ambienti bui e scuri. Dopo un’apparizione generale dell’immagine, dove i corpi acquistano i segni vitali del respirare, del battere delle ciglia, si sofferma sui dettagli, che prendono corpo e movimento. Quell’attimo congelato da Caravaggio, quel momento topico delle storie da lui narrate, acquista quella temporalità che lo rende eterno. È il momento in cui Gerolamo, uno dei quattro Dottori della Chiesa la cui figura assunse nuova importanza nel periodo della Controriforma, è intento a scrivere supervisionato da un teschio e la luce; dopo aver reso evidente la raffigurazione nel suo insieme, fa brillare i dettagli salienti, come la mano, il suo volto attento e concentrato, il teschio. È il momento in cui la Madonna preoccupata protegge il figlio e il piedino del bimbo calpesta il serpente, che le sue spire continuato a tentare di stringere la gamba. È un’apparizione, realizzata con l’identica capacità scenografica del Merisi. Un narrare per dettagli. E poi ridiventa specchio.

Info mostra

  • Mat Collishaw – Black Mirror
  • Galleria Borghese, Piazzale del Museo Borghese 5 – 00197 Roma
  • prorogata fino al 15 febbraio 2015
  • Orari: martedì/domenica 9.00-19.00 (ultimo ingresso alle ore 17.00)
  • Ingresso: Intero € 11,00 (9,00 + 2,00 di prenotazione obbligatoria); Ridotto € 6,50 (4,50 + 2,00 di prenotazione obbligatoria)
  • Prenotazioni: t. +39 06 32810 – www.ticketeria.it
  • Informazioni: blackmirror.info, galleriaborghese.beniculturali.it, unosunove.com, britishcouncil.it
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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