Ugo La Pietra – Progetto disequilibrante

Ugo La Pietra Immersione “Caschi sonori” Installazione alla Triennale di Milano (con Paolo Rizzatto) 1968 Courtesy Archivio Ugo La Pietra

Già visitando il sito web di Ugo La Pietra (http://www.ugolapietra.com/) si ha immediatamente la percezione di trovarsi di fronte a una figura che con piena libertà ha investigato numerosi e apparentemente dissimili campi di indagine. La home page infatti recita:

“Questo sito rappresenta una sintesi delle esperienze di ricerca e di sperimentazione che Ugo La Pietra ha condotto a partire dagli anni Sessanta attraversando le varie discipline. È possibile consultarlo secondo un ordine cronologico oppure per ambiti disciplinari. È stato costruito l’Archivio Ugo La Pietra che raccoglie le opere e i documenti organizzati nelle discipline: Arte, Architettura, Design, Arti Applicate, Musica, Didattica, Editoria”.

Tutto ciò ha ovviamente creato non pochi problemi nel delineare il personaggio. Difficoltà che lo stesso La Pietra non manca di sottolineare in un lavoro esposto nella personale meneghina in cui raccoglie alcune buste da lettera nelle quali è designato nei modi più svariati: da professore a architetto. Quest’ultima è sicuramente quella più rispondente a un dato certo, stabilito che nel 1964 si laurea in architettura al Politecnico di Milano. E lo stesso Ugo La Pietra (1938, Bussi sul Tirino, PE; lavora a Milano) nella biografia si definisce “artista, architetto, designer”. Accantonando la questione delle categorizzazioni, utili per incasellare e riordinare, si comprende che Ugo La Pietra in realtà è la fusione di questi diversi aspetti. Perché in ogni suo progetto, anche solo performativo, c’è sempre la compresenza delle sue diverse anime, da quella di architetto (si muove costantemente nella città, nelle architetture, e ha ben presente l’impianto urbanistico del centro abitato in cui agisce), a quella di designer (utilizza di continuo oggetti con una certa linea e progettualità), accompagnate dalla visione di artista (non dimentichiamoci che nel 1970 partecipa alla XXXV edizione della Biennale di Venezia realizzando RICORDO DI UGO LA PIETRA DALLA BIENNALE DI VENEZIA nel laboratorio sperimentale per la realizzazione di plurimi, attivato per tutta la durata dell’esposizione al Padiglione Italia ai Giardini di Castello). Tutto puntualmente illustrato e narrato nelle diverse riviste che nel corso degli anni ha diretto (“In”, 1971-74, “Progettare in più”, 1973-74, “Brera flash” e “Fascicolo”, 1976-79, e dal 2000 “Artigianato tra arte e design”; mentre nel 1980 è stato redattore della rivista “Domus”).

Comunque, chiarito questo iniziale aspetto che pone delle difficoltà di classificazione, la grande personale organizzata nel Triennale Design Museum di Milano (www.triennale.org), curata da Angela Rui, non solo ha affrontato queste diverse anime che convivono e si fondono, ma ha rivolto particolare attenzione all’aspetto più umanistico e antropologico di Ugo La Pietra. Non a caso, lui stesso si definisce “ricercatore nelle arti visive e nella comunicazione”. Con un allestimento curato dallo stesso La Pietra, la mostra Progetto disequilibrante (aggettivo che deve essergli caro, dal momento che lo ha utilizzato anche nei titoli di alcuni lavori, che indica per La Pietra l’unica possibilità di liberare la forma, spezzare cioè un equilibrio ormai cristallizzato) ha riproposto le diverse tappe artistiche che, a partire dagli anni Sessanta, evidenziano come l’uomo e l’ambiente in cui esso vive e agisce siano sempre al centro della sua riflessione non solo strettamente artistica. Nonostante durante il percorso espositivo si arrivasse a individuare nel triangolo (la forma geometrica che lo accompagna nell’arco della sua intera produzione esposta, addirittura alla base de Il Commutatore del 1970, piramide “aperta e flessibile posta come un dispositivo che contesta l’idea della prospettiva come elemento regolatore della nostra visione in città”, come recita il catalogo), la sua sigla stilistica, la cui costante ripetizione diviene alla fine una cifra quasi noiosa, diversi progetti antropologici hanno mostrano una forte connotazione di originalità e sensibilità, seppure alcuni di essi mantengano un indubbio legame col momento storico in cui furono realizzati. Tra questi, molti dei progetti degli anni Settanta. Per esempio, quello fotografico dal titolo Decodificazione dell’ambiente, del 1972, dove Ugo la Pietra e Vincenzo Ferrari sono seduti su una panchina posta in diversi ambienti, a voler significare come quegli ambienti possano condizionare l’uomo e viceversa

Sono molti i lavori interessanti. Dal Premio Lissone (1975) e Compasso d’Oro (1979) nei quali ripropone le considerazioni sugli ambienti delle case Gescal e insiste su come lo spazio possa essere recuperato per altre necessità quotidiane attraverso il loro “occultamento”: sollevando il pavimento si possono estrarre scrivanie, sedute e altro. Da La casa per lo scultore (1960-1961 primo esempio di opera sinestetica), alle Immersioni (un invito a toglierci dal contesto che ci circonda che però alla fine condiziona ugualmente), alle “attivazioni dello spazio attraverso i piani inclinati” dei progetti Occultamento (delle case Gescal, 1974; del NEGOZIO JABIK di Milano o di Mila Schön di Roma, entrambi del 1971). Da Il Commutatore (1970, una piramide aperta flessibile che permette a ognuno, in pase al grado di angolazione, di avere un diverso punto di vista della realtà circostante), a Verso il centro (nel quale, nel Natale del 1972, in piazza Duomo a Milano, pone dei grandi schermi su cui sono proiettate delle immagini della periferia). Da Il desiderio dell’oggetto (1973, col quale egli conduce un’indagine sociologica su più di 500 campioni indagando lo stato reale degli interni delle case e i desideri dei loro abitanti), a La Casa Telematica (1983) e La Casa Palcoscenico (1989).

Uno dei progetti più poetici e, allo stesso tempo, più carico di una forte connotazione civile e politica è Abitare è essere ovunque a casa propria (1968-1977), titolo mutuato l’ideologia espressa negli anni Cinquanta dall’Internazionale Situazionista; ben sintetizza la posizione di Ugo La Pietra, il quale definitivamente mette a fuoco che tutti i suoi progetti realizzati fino ad allora miravano al “tentativo di prendere possesso del territorio urbano in cui vivevo, superando il concetto di uno spazio da usare per uno spazio da abitare”.

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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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