Richard Avedon. Nulla è mai statico: da Gagosian a Roma

Audrey Hepburn and Art Buchwald with Simone, Frederick Eberstadt, Barbara Mullen, and Dr. Reginald Kernan, evening dresses by Balmain, Dior, and Patou, hair by Enrico Caruso, Maxim’s, Paris, July 1959

“Nulla è mai statico!”, soleva affermare il grande fotografo Richard Avedon. Ma, più che uno slogan, è un’acuta osservazione e una reale constatazione e sembra essere stato il principale diktat che ha guidato la sua corposa produzione fotografica per tutta la sua lunga e fulgida carriera.

Traendo insegnamento e ispirazione dal quasi dimenticato e altrettanto innovativo fotografo ungherese Martin Munkacsi, Richard Avedon, insieme a Irvin Penn, è colui che maggiormente ha incarnato la figura di fotografo di moda. È Munkacsi che fece scuola a molti giovani fotografi della stessa generazione (compreso l’altro grande pilastro della fotografia Henri Cartier-Bresson che rimase letteralmente fulminato dal servizio Liberia, soprattutto dall’immagine dei ragazzi che corrono verso l’acqua che ha tenuto appesa nel suo studio per tutta la vita e grazie alla quale “ho capito all’improvviso che la fotografia poteva fissare l’eternità in un attimo”). E sempre a Munkacsi si deve l’introduzione del “movimento” negli scatti di moda e quindi il passaggio da una foto di moda eterea, statica, a una foto dinamica e corporea; nel 1931 la rivista londinese “Modern Photography” lo incluse fra i cento migliori fotografi al mondo.

Nato a New York nel 1923 da una famiglia ebrea di origine russa, Avedon a nove anni ricevette dal padre in regalo una Kodak Brownie, ma è durante il servizio militare nella seconda Guerra Mondiale, che ha raffinato la sua tecnica di ritrattista. Nel ritratto, quello che Avedon cerca non è tanto la perfezione, ma “quando qualcosa di inatteso accade in un volto”. Seppure abbia sempre oscillato con grande disinvoltura tra la fotografia commerciale e di moda e quella “impegnata” senza apparente distinzione, in cuor suo aveva ben chiara la demarcazione: l’una era funzionale al sostentamento della seconda, al finanziamento di progetti molto lontani dal glamour delle riviste patinate. Infatti, seppur famosissimo per i celebri scatti delle sue donne incarnanti quella bellezza universale, Richard Avedon ha realizzato lavori fotografici che sono distanti anni luce dai servizi di moda [si vedano: The American West (1979); la serie dei cosiddetti “ritratti del potere”, quella sugli orfani del Vietnam e quella sul padre divorato dal cancro]. E, benché autodidatta, nel 1987 gli viene conferito l’Asselblad Award. Rientrato in patria alla fine della guerra, la svolta professionale avviene nel 1944. Risale infatti a quell’anno il suo incontro con Alexey Brodovitch, art director della prestigiosa rivista “Harper’s Bazaar”, con la quale collaborerà per più di dodici anni, divenendone addirittura lui stesso art director nel 1947. Oltre all’opportunità di conoscere il suo mentore Munkacsi, al quale Avedon riconosce grande meriti (aver “portato il gusto per la gioia, e l’amore per le donne in quella che prima era un’arte statica e prova di allegria. È stato il primo e oggi il mondo della moda è pieno di piccoli Munkacsi, i suoi eredi”). Il famoso scatto di Munkacsi, la modella con ombrello che, con un leggero salto, scende dal marciapiede (1934), successivamente è stato realizzato, pressoché in modo identico, da Avedon (1957), a testimonianza della preziosa eredità lasciata dal grande fotografo ungherese. Grazie alla Harper’s Bazaar, Avedon si trova nel posto giusto al momento giusto; è presente e testimone della grande rivoluzione della moda e ne immortala la nascita e la storia. È, infatti, a Parigi nel 1947, quando Carmel Snow, capo-redattrice della rivista, sancisce la nascita del New Look e assiste all’incoronazione del già quarantaduenne Christian Dior, quale indiscusso re della moda e del suo rinnovamento. Rinnovamento che non tarda difatti a sbarcare anche negli Stati Uniti, lanciato definitivamente con l’apertura di una boutique Dior a New York nel 1948. E questo spessore, questa infinita ricerca sul mondo frivolo (della moda) e serio (della vita reale), questa grande biografia, fatta di incontri e di scambi (non dimentichiamo che nel 1959 è pubblicato Observations, l’album di fotografie scattate tra il 1946 e il 1959, a celebrità quali: Marilyn Monroe, Brigitte Bardot, Anna Magnani, Louis Armstrong, Frank Lloyd Wright, Gianni Agnelli, Pablo Picasso, M. et M.me Georges Braque, Marcel Duchamp, Chanel, Humphrey Bogart, e tanti altri, con testi di Truman Capote), trapelano da ogni suo scatto. Perché, quello che colpisce delle sue foto, oltre ai fiumi di parole che si sono scritte sul suo conto, è come la quotidianità irrompa anche negli scatti di moda.

Quelle modelle, anche non perfette, sono calate nella vita di tutti i giorni, fuori dallo studio, en plein air, a place de la Concorde (Suzy Parker and Robin Tattersall, 1956) o al Trocadero (Shoe by Perugia, 1948), in un Casino (Audrey Hepburn and Art Buchwald, with Simone D’Aillencourt, Frederick Eberstadt, Barbara Mullen and Dr Reginald Kerman, 1959) o in un circo (Dovima with elephants, 1955): come in uno dei tanti café parigini, con gli abiti di Dior, a dire che ogni donna in ogni giorno può spensieratamente indossare Dior. E alcune delle sue donne, ritratte nella loro essenzialità, senza accessori e in contesto neutro e astratto (penso al ritratto di Marella Agnelli o a quello di Brigitte Bardot, di Sophia Loren o di Jacqueline Kennedy), sono mostrate per come sono e non per quello che rappresentano. Infatti Avedon, nei suoi ritratti, mirava esclusivamente a far emergere la personalità del soggetto (si veda l’energia che sgorga dal corpo di Tina Turner), per questo sosteneva che la fotografia non rappresenta la realtà, bensì la elabora. E, in questa elaborazione, anche la quotidianità acquista un certo rilievo. È il caso dei ritratti di Elsa Maxwell e di Gabrielle Bonheur Chanel, le quali, riprese in un momento della loro vita di tutti i giorni, sono spogliate del loro ruolo sociale e offerte nella loro essenzialità di persona. Essenzialità che ben si coglie nella serie Early Paris (1978), dove la luce e la leggerezza divengono esse stesse protagoniste alla stessa stregua dei personaggi ritratti (da Dorian Leigh a Marlene Dietrich). Tutto questo è alla Gagosian Gallery di Roma, nella mostra dal significativo titolo Beyond Beauty. Una retrospettiva che ha voluto, per l’appunto, puntare soprattutto sulla moda e sulla femminilità. Quella femminilità anche sensuale e seduttiva, immediatamente dichiarata dal ritratto di grande formato di Nastassja Kinski ventenne, posto all’ingresso distesa, le cui nudità sono abilmente celate, e la sensualità seduttiva è rimarcata dal serpente che attraversa il suo morbido corpo.

Un allestimento gioioso, con un andamento sinuoso che sembra ripercorrere le linee flessuose di un corpo, raggruppa e scioglie le immagini, come in una melodia, lasciando isolate poi delle note fondamentali, sottolineandone la leggerezza o la fragilità (come nello splendido ritratto di Marylin Monroe). Nonostante la mancanza di puntuali didascalie e dell’edizione dei singoli scatti, osservando le otre sessanta fotografie, si respira gioia di vivere. E siccome nel bene c’è sempre un pizzico di male, ecco che, nell’insieme, sono inserite delle note isolate che ci riportano con i piedi per terra e ci ricordano la realtà nella quale siamo immersi (Italy #3, Rome, 1946; New York Life #13, Harlem, 1949). Una certa amarezza espressa con assoluta poesia e maestria, rappresentata nella serie In Memory of the Late Mr. and Mrs. Comfort: A Fable in 24 Episodes (1995), una serie dove il colore sostituisce il pregnante bianco e nero, e sembra dirci che, alla fine, tutto è effimero, come la moda, e che la morte ci aspetta.

Info mostra

  • Richard Avedon – Beyond Beauty
  • Gagosian Gallery, via Francesco Crispi 16 – 00187  Roma
  • fino all’11 aprile 2015
  • orari – da martedì a sabato dalle 10.30 alle 19.00
  • ingresso libero
  • info – t. +39 06 42086498 – roma@gagosian.comwww.gagosian.com
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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