Il Cairo. Fra vecchie narrazioni e nuove prigioni

Il Cairo, Egitto
Il Cairo, Egitto
Il Cairo, Egitto

Potrebbe essere ancora tutto così, ma il terrore, in questo inizio di 2015, ammanta i giorni e le notti de Il Cairo. Una città che implode su se stessa, spaventata e divisa da un ordine improbabile e da un’alienazione che non sembra più ricordare il passato. Anche quello più recente, quello che vi racconto qui e che in molti riconosceranno.
Perché anche se orribile, degradato, disgregato è la testimonianza di una cultura dalle mille facce che ci affascinano e respingono allo stesso modo e che ora ci è negata. E non solo a noi viaggiatori. Anche ai suoi abitanti, ai cittadini egiziani.

E’ notte, è Egitto. Sapore dolce, cose orrende, misfatti del tempo e degli uomini, te alla menta, odore di piscio, caldo.
Se le piramidi hanno ancora qualcosa di esoterico nonostante la stretta mortale dei turisti, la città vecchia, vista di notte, e soprattutto il bazar, sembra addirittura sacrale.
Un viaggio fra le nefandezze del mondo per giungere alla purificazione.

Usciamo dal caffè Fishawi’s dove abbiamo trascorso buona parte della serata fra te aromatizzato con foglioline di menta, lunghe fumate di narghilè e canzoni egiziane (cosa esiste fra la terra e il cielo di più esaltante, di più obliante e di più malizioso…) per inoltrarci fra le casupole diroccate e le baracche del bazar.

Corpi distesi in terra a fingere di riposare, o forse a dormire sonni di piombo lontani da ogni sogno; dovunque rifiuti, liquame, sporcizia.
Donne decrepite, rattrappite contro le loro mercanzie, venditori di spezie e di aromi, pani lasciati in mostra sul selciato striato di orina, odore di fritto e di kebab, gelati, karkadè.
Una donna grassa si dondola paurosamente al suono di una radio gracchiante, chinandosi su una specie di urna ricoperta di terra e muschio. Ed ancora corpi ammonticchiati, tuniche, sguardi folli, fumerie dalle maioliche ricoperte da insetti neri e, sopra a tutto, quasi a confondere il tutto, un’aria dolce, dolcissima, come del resto sempre qui in Egitto.
Il sapore dolciastro, infatti, impasta qualsiasi cosa, qualsiasi cibo, qualsiasi sensazione.

Alzo gli occhi è una notte di luna e, come mi hanno insegnato, guardo la punta spezzata della piramide di Cheope e mi concentro su quell’asse che la congiunge al globo lunare. Dicono che solo così si raggiunga l’equilibrio con l’infinito…

L’Egitto non ha una sola verità, l’Egitto è dualismo: il basso e l’alto Egitto, il dualismo è la moltiplicazione esponenziale della verità. Tutto è possibile, dunque, ed anche il suo contrario.
Ha un senso profondo tutto questo, risolve i perché della storia e della giustizia, a volte. Meno che oggi, forse, dove tutto questo sdoppiarsi non è più narrazione o folklore, ma diventa reclusione. Senza sbarre.

Ma a Il Cairo sanno che ogni cosa che si fa andrà in porto sempre e soltanto se Dio lo vorrà.

Anche la rinascita. Se Dio vorrà. Inshallah.

 

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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