La mostra che non ho visto #72. Maurizio Pierfranceschi

Maurizio Pierfranceschiin un ritratto fotografico di Riccardo Lodovici
Maurizio Pierfranceschi
in un ritratto fotografico di Riccardo Lodovici

PALAZZO GRASSI 1999-2000
“IL RINASCIMENTO A VENEZIA E LA PITTURA DEL NORD AI TEMPI DI BELLINI, DURER, TIZIANO”

Desolazione senza nome di un quadro: le Cortigiane di Carpaccio. Di dove viene? Ancora un’opera perfetta ottenuta per contrari…Sulla leggiadra terrazza ogni forma di bellezza è raccolta, come in un’immagine araldica: i fiori, i cagnolini, le bianche tortore domestiche, i pavoni dalle code preziose, i melograni più ardenti del rubino. L’aria è calmissima, quasi bronzea nello spessore profondo dell’azzurro. E’ l’ora immobile, profondamente bella, che si vorrebbe arrestare. E “A che serve?” sembrano gridare in silenzio i due sguardi fissi, di una mitezza senza centro, perduta, i due vuoti e puri profili, uguali come due cose uguali, come due minerali in un trattato, due piante acquatiche: robuste e prigioniere.

Cristina Campo, Parco dei cervi, in Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 2002.

Di recente a Venezia col mio amico Carlo Alberto Bucci visitando una mostra su Manet un’opera mi ha incantato più di ogni altra, ma non di Manet che pure molto ammiro. Era una tavola di Vittore Carpaccio in passato chiamata “Le cortigiane” poi riscattandone il censo “Due dame veneziane”, opera che conoscevo sui libri, ma di cui mi mancava esperienza diretta. Ormai da molto tempo non provavo un’emozione così forte, e per certi versi incomprensibile. Quadro non imponente (una pittura a olio su tavola di medie dimensioni circa cm 94 x 64, datata tra il 1490-1495) certamente non spettacolare, eppur capace di coinvolgermi profondamente. Come l’assoluto rapimento che provavo da bambino nel guardare sui libri le riproduzioni dei quadri, lì ho scoperto il potere della Bellezza che ha segnato poi, tirannicamente, la mia vita. Un sentimento di tumulto e pace, un abbandono simile all’estasi. Insomma, non riuscivo ad allontanarmi da quelle due donne malinconiche che sedute in terrazza guardavano stancamente altrove, in uno spazio disseminato di simboli nuziali, sospese nel tempo di un’annoiata attesa. Ma la complessa simbologia dell’amor coniugale lasciava indifferente me come loro, non però il meraviglioso e silente equilibrio di forme e colori che tutto sovrintendeva. Aldilà di ogni analisi tecnica, storica o sociologica, c’era l’irrefutabile e assoluta evidenza della visione, semplicemente. Mi tornarono allora alla mente le parole di Andrej Tarkovskij che nel suo libro “Scolpire il tempo” uno dei testi recenti per me più interessanti scritti sull’arte prima che sul cinema, metteva a confronto Raffaello e Vittore Carpaccio. Rimasi spiazzato allora quando affermava la superiorità dell’uno (Carpaccio) rispetto all’altro, ma ecco che ora davanti al “fatto” riuscivo a comprenderlo meglio.

“…parlo della volontà, dell’energia e della legge dell’intensità in pittura che a me sembra imprescindibile. E in effetti troviamo questa legge espressa nei lavori di un contemporaneo di Raffaello, il veneziano Carpaccio! Nelle sue opere anch’egli risolve i problemi morali posti davanti agli uomini del Rinascimento, accecati dalla realtà oggettiva, concreta e umana che li aveva inondati. Ma li risolve con mezzi autenticamente pittorici, e non letterari, a differenza della Madonna Sistina che emana odore di predica e di escogitazione……le affollate composizioni di Carpaccio ci colpiscono per la loro magica bellezza. Forse è persino il caso di arrischiarsi a dire che si tratta della Bellezza dell’Idea. Mentre sei ritto davanti a loro avverti il trepido sentimento di una promessa di spiegazione dell’inesplicabile. In un primo momento è impossibile comprendere che cosa crea questa campo psicologico, entrati nella sfera del quale è impossibile sottrarsi al fascino di una bellezza che vi sconvolge a fondo, a volte fino al terrore. Possono passare parecchie ore prima di cominciare ad avvertire il principio dell’armonia della pittura di Carpaccio. Ma una volta che sei arrivato finalmente a comprenderla rimani per sempre soggiogato dal fascino della bellezza e della prima impressione che ti ha pervaso…”.

 “Il principio dell’intensità in pittura” credo fosse questa qualità ad avvincermi. Ho sempre trovato difficoltà a definire i motivi che mi portano a prediligere un certo artista ad amare una certa opera, al netto dei valori formali e delle sue qualità storicamente conclamate. Perché quel particolare artista mi tocca così profondamente? A quali segrete corde è in grado di arrivare? E’ un mio sentimento privato, un legame di sangue, che agisce e reagisce col mio personale sentire, o è un valore, per così dire universale, dove l’artista attraverso simbologie complesse ma spesso semplici, l’articolata storia di un santo o un giglio nel vaso per rimanere a Carpaccio, riesce nel miracolo di una visione che rende vana ogni parola?

Carlo Alberto mi raccontò poi la storia di questa tavola, rivelatasi la parte inferiore di un dipinto più grande.

La parte superiore “Caccia in laguna” si trova attualmente al Getty Museum di Los Angeles, “Le due Dame” al Museo Correr di Venezia. A metà degli anni 90, in occasione del restauro di entrambi i pannelli si è avuta conferma di quella che, fino a quel momento, era stata solo una supposizione degli studiosi. La mostra tenutasi a Palazzo Grassi nel 1999 ha finalmente dato l’opportunità di poter rivedere le due tavole riunite nella visione originaria, prima del crudele taglio, che, credo per facilitarne la vendita, fu operato, nel susseguirsi dei proprietari. L’insieme raddoppia lo stupore e dà senso compiuto al racconto. Dietro le due donne di età diverse ma somiglianti, forse madre e figlia, oppure sorelle, si apre un paesaggio lagunare ove alcuni personaggi in barca, probabilmente i loro familiari, sono intenti insieme ai servitori in una battuta di caccia ai volatili sotto un cielo di cristallo. Poggiato sulla balaustra il vaso ritrova il suo giglio e tutta la scena assume uno stralunato sentimento tra il tedio e il compatimento verso i giochi degli uomini sullo sfondo, che né la compagnia dei molti animali, né il conforto dei fiori e dei frutti, né il messaggio del paggio attenua… almeno così sembra vedendo le riproduzioni disponibili, dato che, come avrete capito, purtroppo io quella mostra non l’ho vista e nulla ne sapevo.

Ecco, persa quest’occasione forse irripetibile, mi resta solo la speranza che dal lungo oblio torni alla luce la tavola sinistra della composizione. Perché ora si ipotizza che Carpaccio avesse in realtà dipinto due pannelli per un armadio o uno studiolo. L’anta destra è quella nota e brevemente riunita, l’anta sinistra, tuttora ignota darebbe un senso allo sguardo delle dame proprio lì rivolto.

Oppure, infine, sognerei una piccola mostra di due sole opere, sublimi esempi dell’ideale connubio rinascimentale tra architettura e natura: le nostre dame in terrazza con le spalle alla laguna e di fronte la Sacra Allegoria di Giovanni Bellini degli Uffizi. Con questo sogno nel cuore, ringrazio Piacentini che con la sua curiosa domanda mi ha permesso anche solo di immaginarlo.

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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