Le tracce del tempo secondo Hiroshi Sugimoto

Hiroshi Sugimoto - Lightning Fields (part.) - Fondazione Fotografia -ph. Federica Casetti

“Una fotografia è come il vetrino di un frammento di tempo che, una volta piazzato sotto la lente della curiosità, può essere analizzato, compreso, assimilato”.

Il tempo studiato con un approccio quasi medico, quello di Hiroshi Sugimoto che al posto del bisturi, usa l’arte, la fotografia. Giapponese di nascita (Tokyo 1948), nel 1970 si trasferisce a Los Angeles per studiare all’Art Center College of Design e poi nel 1974 a New York.  Difficile dire quale delle sue molteplici inclinazioni prevalga o abbia influenzato le altre (ha una formazione che comprende studi di scenografia, sociologia, economia, scienze, è anche antiquario e ricercatore), meglio affidarci alle sue riflessioni e a quanto lui stesso racconta, sul concetto di tempo, il filo che lega tutta la sua produzione e che lo denota, fin dall’infanzia:

“La prima volta che ho riflettuto seriamente sul concetto di tempo ero alle elementari. Su un numero della rivista ”Children’s Science”, a cui ero abbonato, lessi un articoletto sulla luna corredato da un diagramma che ne mostrava la distanza dalla terra e spiegava come, persino alla velocità della luce, occorrevano alcuni secondi perché la luce dalla luna raggiungesse la terra. Ciò mi portò a elaborare una mia personale teoria: l’immagine della luna che io vedevo era in realtà quella dell’astro alcuni secondi prima; questo significava che, se avessi posizionato un grande specchio sulla luna e contemplato la mia immagine riflessa in esso, quella che avrei visto era in realtà l’immagine di me stesso alcuni istanti prima. Il passo successivo fu pensare di poter sfruttare il tempo che occorreva alla mia immagine per raggiungere la luna e tornare indietro sulla terra per costruire un secondo grande specchio sulla terra che avrebbe restituito tale immagine; il gioco di riflessione tra i due specchi avrebbe così preservato l’immagine di me bambino per l’eternità. Fantasticavo di trasferire lo specchio della luna sulla terra in modo tale che, quando fossi diventato un vecchio canuto, avrei potuto ogni tanto rivolgere una fugace occhiata alla mia immagine da bambino. Per un po’ fui convinto di aver inventato una sorta di macchina del tempo, ma non mi ci volle molto per capire che la mia teoria aveva una pecca: purtroppo la terra girava e la sua rotazione impediva l’allineamento dei due specchi. Eppure le mie fantasie infantili dimostrano ancora oggi quanto sia connaturato all’uomo il desiderio di arrestare lo scorrere del tempo”.

Un tema, il tempo, esplorato in tutti i suoi significati, pervade il lavoro di Sugimoto, dalle prime raccolte di immagini a soggetto comune, fino alle più recenti.

Spiega Filippo Maggia, direttore di Fondazione Fotografia di Modena e curatore della mostra qui allestita:

 “Nella serie Dioramas (1976 –2012), il punto di vista è quello di un osservatore consapevolmente estraneo alla scena, come spesso lo è il fotografo, e l’ossessiva ricerca del vero condotta dall’artista è amplificata dal fatto di ritrarre un’ambientazione sotto vetro, di per sé statica e immobile come una fotografia già scattata. Nei Seascapes (serie in corso dal 1980), lo sguardo si posa invece su distese d’acqua infinite, immutate da millenni e depositarie di una lunga storia che si ripete nel lento e inesauribile approdare alla riva”.

In Theaters (work in progress dal 1976), l’artista usa tempi lunghissimi di esposizione che annullano tutto ciò che è azione e movimento, congelano una scena teatrale e lasciano un rettangolo bianco sullo schermo; prosegue Maggia:

“In questo caso, il rettangolo bianco al centro dell’immagine è metafora di una duplice visione di quello che è stato il flusso di immagini risolto nel bianco abbacinante dello schermo e di quanto contestualmente è andato apparendo su di esso, il teatro appunto, come su un foglio fotografico immerso nel rivelatore”.

Nei Portraits (1999) l’artista ridà vita ai personaggi storici del celebre Museo delle Cere di Madame Tussaud di Londra, con un bianco e nero che li anima e li rende più reali della finzione ricostruita attorno a loro.

I Photogenic Drawings (2008 – 2010), sono il raffinatissimo risultato della stampa, mai eseguita precedentemente, di antichi negativi di Henry Fox Talbot, ma una delle serie più conosciute è Lightning Fields (2006, in progress), immagini ottenute direzionando sulla pellicola fotografica una scarica elettrica da 400 mila Volt con un generatore Van de Graaff, che traccia oniriche creature.

A Modena in mostra anche alcune opere della serie Architecture (in corso dal 1997), realizzate da Sugimoto in occasione della XIV Biennale d’Architettura di Venezia: tra queste, le vedute del Johnson Wax Building di Frank Lloyd Wright, la Einstein Tower di Erich Mendelsohn, il Monumento ai Caduti del futurista italiano Antonio Sant’Elia, la Serpentine Gallery di Londra, il Museum of Modern Art di New York. Queste mostrano come, spiega Filippo Maggia;

“l’interesse di Sugimoto per il primo modernismo in architettura si sia progressivamente spostato dai volumi alle strutture e al rapporto di queste con l’ambiente.

Il particolare sistema di ripresa utilizzato dall’artista permette di ottenere un’immagine in cui il soggetto ripreso appare come indefinito, eppure ben percepibile, a noi prossimo, palpabile come se la sua superficie fosse davvero a portata di mano. E con essa la sua storia, il suo esistere perpetuo nel tempo, reso ancora più definitivo dall’immutabilità della fotografia”.

Un altro ambito in cui Sugimoto è significativamente attivo, inoltre, è la produzione di libri d’artista, testimoniata da ben 52 volumi monografici esposti in mostra.

“Collezionare fotografie è collezionare il mondo”, sostiene Susan Sontag; e Hiroshi Sugimoto aggiunge, sintetizzando così il pensiero filosofico che lo guida:

“Da quasi 180 anni è la fotografia a determinare il modo in cui l’uomo guarda la propria storia e percepisce il mondo; grazie alla fotografia, la nostra storia collettiva è stata immortalata, archiviata e ripetutamente passata al vaglio fino alla banalizzazione, tanto da poter dire quasi che, da allora, la storia è vera storia solo dopo che la fotografia ha svolto la sua parte”.

 

Info mostra

  • Hiroshi Sugimoto. Stop Time.
  • FONDAZIONE FOTOGRAFIA MODENA
  • Foro Boario – Modena, Via Bono da Nonantola, 2
  • 8 marzo –7 giugno 2015
  • orari di apertura: mercoledì-venerdì 15-19; sabato-domenica 11-19; lunedì e martedì chiuso
  • biglietto d’ingresso € 5,00 – ingresso libero tutti i mercoledì
  •  www.fondazionefotografia.orgpress@fondazionefotografia.org
  •  Catalogo Hiroshi Sugimoto. Stop Time, Milano, Skira, 2015
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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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