L’Iran di Shadi Ghadirian e delle altre. The Others Me, con intervista all’artista e alla curatrice

Shadi-Ghadirian-Miss-Butterfly-6-2011-Courtesy-lartista-e-Officine-dellImmagine-Milano

Sono molte le voci di artiste donne che ci giungono dall’Iran, un paese segnato da profonde contraddizioni, con l’inarrestabile globalizzazione alla quale si oppone la stretta della tradizione. Nel tentativo di portare la propria testimonianza, alcuni artisti sono stati costretti a lasciare l’Iran, mentre altri sono rimasti, tra questi Shadi Ghadirian. Nata a Teheran nel 1974, ha scelto di continuare a vivere nel proprio Paese d’origine, che ama malgrado tutto.

Le sue foto sono costruite in modo tale da accogliere modernità e tradizione, ironia, leggerezza e potenza.

Al centro nella sua poetica temi delicati come la condizione femminile, la guerra, la libertà, i diritti. Ha esposto nei maggiori musei internazionali e spesso in Italia, in questo periodo infatti troviamo una corposa personale a Milano, alla galleria Officine dell’Immagine, intitolata The Others Me, curata da Silvia Cirelli, con molte opere delle diverse serie (Miss Butterfly del 2011, Like Everyday del 2002, Qajar del 1998, Nil, Nil del 2008). È poi presente alla Biennale d’Arte di Venezia, al Padiglione dell’Iran, nella collettiva The Great Game.

Ci rivolgiamo dunque direttamente a lei e a Silvia Cirelli per comprendere meglio le sue scelte e il suo percorso:

Lei è stata una delle prime donne a laurearsi in Fotografia alla Azad University di Teheran. Qual è stata la sua formazione artistica e come mai ha scelto proprio la fotografia?

 “Ritengo che la fotografia rappresenti un linguaggio diretto, utile per trasmettere facilmente un messaggio, per questo motivo ho deciso di studiarla. Ho fatto parte del primo gruppo di studenti di questa facoltà, c’erano ottimi insegnanti, che hanno reso il mio ingresso nel mondo della fotografia un’esperienza molto positiva.”

Come e in cosa è cambiata la storia della fotografia, secondo lei, dagli anni ’90 ad oggi?

 “Nel periodo della rivoluzione e della guerra, la fotografia in Iran è servita a documentare gli avvenimenti, è stata per lo più fotogiornalismo, per ovvi motivi. Successivamente, quando la situazione si è in parte pacificata, ci si è potuti allargare anche ad uno stile più “artistico”. Le gallerie hanno ripreso la loro attività, ma ancora oggi è molto difficile vivere solo di fotografia, il “mercato” dell’arte non è sufficientemente florido da consentirlo.”

Oltre ad essere un’artista, è impegnata anche in iniziative che favoriscono l’espressione artistica e la cultura nel suo Paese, per esempio ha dato il suo apporto al museo di fotografia Akskhaneh Shahr, ci racconta di queste sue attività?

“Nel periodo dell’Università ho collaborato con Bahman Jalali, uno dei fondatori e dei migliori fotografi iraniani. Il museo è nato anche con lo scopo di conservare il grande archivio fotografico che abbraccia varie epoche. Quell’esperienza molto stimolante mi ha ispirato la serie Qajar. In seguito ho curato un sito web di fotografia iraniana cercando di promuoverne la diffusione anche al di fuori dal Paese, poi sono stata invitata a dirigerne uno rivolto più in specifico alla questione femminile, che ho dedicato ad artiste iraniane affermate ed esordienti.”

Nelle sue opere spesso si affiancano oggetti o situazioni relative a tempi diversi, si riferiscono alla tradizione ma allo stesso tempo richiamano la contemporaneità. Cosa esprimono questi “salti” temporali? Quale valore dà alla tradizione?

“I miei occhi individuano naturalmente le contraddizioni e i contrasti, attraggono la mia attenzione più delle altre cose. Non so esattamente perché, forse il tutto è da ricondurre alla mia infanzia. Sono cresciuta durante la rivoluzione e la guerra; le persone attorno a me vivevano faticosamente questa condizione, eppure spesso agivano o parlavano in modo non coerente con le proprie idee. L’esperienza poi mi ha dimostrato che questo succede ovunque e che anche in altri contesti si vive diversamente da come si vorrebbe.”

In una delle sue serie più recenti, Miss Butterfly, lei ritrae donne in interni, impegnate a tessere ragnatele davanti a fonti di luce. Un senso di malinconia pervade la scena, a cosa si è ispirata?

 “Nel periodo in cui ho cominciato a lavorare a quest’opera c’erano le elezioni; molti miei amici erano fuggiti o in carcere. Ero sola, preoccupata e non mi sentivo al sicuro, ma non volevo lasciare l’Iran, perchè amo il mio Paese. Ho scelto di rimanere e di far crescere mia figlia lì.”

E’ così che è nata Miss Butterfly, ispirata ad una vecchia leggenda iraniana, che narra la storia di una farfalla:

“Miss Butterfly vuole incontrare il sole, ma cercando una via per raggiungere la luce, finisce nella tela di un ragno. Il ragno, commosso di fronte alla grazia e alla delicatezza di Miss Butterfly, decide di proporle un patto: la condurrà verso la luce se in cambio la farfalla gli porterà uno degli insetti nascosti nella buia cantina. Dopo aver ascoltato le storie degli insetti nella cantina, Miss Butterfly prova però pietà per loro e, con le ali ferite, ritorna dal ragno a mani vuote, proponendosi come prigioniera. Colpito da questo grande coraggio, il ragno decide di liberarla, mostrandole la via per la luce. Felice di questa concessione, la farfalla richiama tutti gli insetti della cantina, per condividere la gioia della libertà, ma questi non le rispondono. Amareggiata e frustrata per questa reazione, Miss Butterfly apre allora le grandi ali ferite e stanche, prendendo da sola il volo verso il sole”.

 Le sue opere ci parlano di guerre, di lotta per la libertà e di condizione femminile. Lei pensa che nel tempo ci sarà un cambiamento in positivo, per questi problemi, presenti nel suo Paese, ma anche globalizzati in modo preoccupante?

 “Le due serie Nil, Nil White Square hanno come tema la guerra, che io riconduco allo scontro Iran-Iraq, vissuto durante la mia adolescenza, ma il concetto si presta ad essere generalizzato e ad esprimere il mio rifiuto. Purtroppo nella parte di mondo in cui vivo, continua ad essere condizione molto diffusa! Conviviamo con la guerra e abbiamo con questa una sorta di familiarità.

 Lei è una delle protagoniste al Padiglione Iraniano alla Biennale di Venezia, quale lavoro presenta?

“Ho portato alcune foto proprio dalla serie Nil, Nil: volevo raccontare cosa rimane nelle nostre case quando sono attraversate dalla guerra, che sembra non avere mai termine e lascia dietro di sè un dolore continuo.”

A Silvia Cirelli, curatrice della mostra milanese, chiediamo il significato del titolo, The Others Me.

“Per la scelta del titolo mi sono ispirata ad una frase che spesso sento dire a Shadi:
“la mia arte è lo specchio della mia vita, quando parlo di me, parlo anche delle donne intorno a me, delle mie sorelle, dei miei amici, delle persone con cui condivido l’essere donna, ma anche l’essere iraniana o l’essere artista”.
Le opere di Shadi sono il riflesso di tutte le donne iraniane che come lei sentono la necessità  di superare restrizioni sociali ancora purtroppo radicate; sono il ritratto degli iraniani di oggi, legati alle proprie radici ma comunque desiderosi di un Iran più moderno ed emancipato. The Others Me racchiude questo senso di condivisione, di appartenenza.”

Come s’inquadra la figura artistica di Shadi Ghadirian sia sulla scena artistica internazionale, sia nell’attualità del suo Paese di provenienza, che lei ha scelto di non lasciare.

“C’è sempre molto stupore quando dico che Shadi Ghadirian continua a vivere in Iran e soprattutto non ha nessuna intenzione di lasciarlo. Mi rendo conto che possa sembrare un controsenso, perché vivere in un paese che ti limita sia come donna che come artista? La sua scelta, condivisa comunque anche da molti altri artisti che come lei hanno deciso di rimanere, è mossa dalla convinzione che le cose si possono cambiare solamente dall’interno, non è lasciando il paese che si può effettivamente migliorarlo.

Shadi Ghadirian è assolutamente consapevole di quanto sia rischioso mostrare le proprie opere in Iran, gli artisti iraniani si muovono sempre sul sottile confine fra censura e approvazione, ma questo non la ferma mai, infatti ogni volta che conclude un lavoro nuovo è proprio a Teheran, nella sua città, che lo espone per la prima volta. Ha sempre fatto così, per tutte le sue serie fotografiche.”

Informazioni:

  • La Biennale di Venezia
  • Padiglione IRAN | The Great Game
  • Dal 9 maggio al 22 novembre 2015
  • Orario 10 – 18 / chiuso il lunedì
  • Commissario: Majid Mollanooruzi. Commissario Aggiunto: Marco Meneguzzo, Mazdak Faiznia. Curatori: Marco Meneguzzo, Mazdak Faiznia.
  •  Sede: Calle San Giovanni 1074/B, Cannaregio
  • Ingresso www.labiennale.org – www.labiennale.org/it/arte/biglietteria
  • Officine dell’Immagine
  • The Others me
    A cura di Silvia Cirelli
  • Dal 23 aprile al 21 giugno 2015
  • Via Atto Vannucci 13 20135 Milano
  • Tel: +39 02 91638758; info@officinedellimmagine.it
  • Orari: martedì – sabato: 11 – 19; lunedì e giorni festivi su appuntamento.
  • Ingresso libero
  • Catalogo in galleria
+ ARTICOLI

Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.