Gita al Faro. Due chiacchiere con gli autori. Fabio Stassi

Il secondo incontro con un partecipante a Gita al Faro è con Fabio Stassi.

È sempre più forte la sensazione che tutti noi desideriamo soprattutto farci raccontare delle storie, che abbiamo fame di racconti. Abbiamo davvero solo bisogno di narrazione?

È un istinto. È l’unico modo di confondere il tempo, di esprimere una protesta contro l’iniquità del mondo.

Da dove nascono le tue storie?

Ho sempre pensato che tutto nasca da una necessità infantile di riparazione. Raccontare una storia è un tentativo, per quanto ingenuo, di provare a restituire qualcosa che si è perduto. Molto viene dalle voci che ho ascoltato da bambino, e che raccontavano storie sgrammaticate, ma inaudite di avventure, spartenze, disperazioni e qualche raro colpo di fortuna.

Di cosa parli con maggior coinvolgimento quando vuoi raccontare la vita reale? Famiglia, amore, crescita personale, oppure hai un tuo percorso meraviglioso?

La realtà è irriproducibile. E forse non mi interessa riproporla, sarebbe comunque una sconfitta. Mi piace, e mi diverte, muovermi sul filo della possibilità, organizzare degli incontri impossibili, sabotare la Storia per arrivare a farmi una piccola idea di quell’unghia di realtà che si riesce a decifrare. Credo che si parli degli stessi temi, sempre, la nostalgia, il dolore, la morte, l’amore…

Che faccia hanno i tuoi lettori? Cosa credi li affascini della tua scrittura?

Non so che faccia hanno. Ogni tanto li incontro, ed è sempre una sorpresa. Un riconoscimento. Mi piace questa parola. Penso che si scriva per riconoscersi, e per essere riconosciuti. Ma ci sono così tanti classici da leggere, e tanti libri, che non mi sognerei mai di ragionare troppo sui miei. Mi aiuta capire che cosa ha colpito un lettore, ma non sono io che li affascino, sono loro che affascinano me.

Perché hai deciso di partecipare a Gita al Faro? Cosa ti ha convinto a dire sì? Ti era già stato chiesto?

No, non mi era stato chiesto, è la prima volta. Ma ho accettato di slancio. Ho una formazione storica, più che letteraria. Ho studiato per molti anni la storia del Risorgimento e dell’Italia contemporanea. Mi sono formato sui libri di Vittorio Foa, Carlo Rosselli, Gaetano Salvemini… Ventotene, oltre all’idea dell’isola che da siciliano mi attira, mi evoca molte suggestioni. Il confino, la speranza.

È la prima volta che sei “costretto” a un eremitaggio letterario?

In questo modo, sì. Ma ho fatto altri viaggi, legati alla letteratura, soprattutto all’estero, che sono stati solitari e importanti.

Sei mai stato prima a Ventotene?

No, non ci sono mai stato, ma come dicevo prima ho sempre avuto la voglia di visitarla.

Cosa porti di te nell’Isola?

Chi da un’isola viene, vede tutto a forma di isola. Per di più, uno come me che è cresciuto in una famiglia di emigranti e la propria isola non l’ha mai veramente vissuta. Porto sempre questo senso di nostalgia, questo desiderio di ritrovare l’isolare di cui mi parlavano, quando ero piccolo, e che per me era più un nome inventato che una realtà, un’isola fantasma e visionaria che a volte ho ritrovato da altre parti. Porto questa curiosità.

Cosa cerchi nell’Isola?

Non credo che si sappia quasi mai in anticipo quello che si cerca. Lo si scopre forse soltanto dopo averlo trovato, ma è difficile. Forse tutte le isole disegnano un perimetro della solitudine, che è sempre più difficile da recuperare, e difendere.

Cosa pensi potrebbe mancarti (persone, cose, emozioni…) sull’isola e cosa invece non vorresti ti mancasse?

Mi mancherà il treno, perché sono un pendolare da troppo tempo, e il pendolarismo ormai per me è diventata una dimensione esistenziale e una necessità fisica. Mi capita molto raramente di restare fermo in un posto. Ma spero che in un paio di giorni passi tutto, e che la sedentarietà per un poco sia un balsamo.

Conosci qualcuno degli altri scrittori? Pensi che sull’isola riuscirai a destrutturare o a confermare le impressioni sui tuoi compagni di confino?

Sì, qualcuno lo conosco, due anni fa ho passato un’estate per il Campiello in giro per l’Italia con Beatrice Masini: fu una stagione particolarissima, e mi fa enormemente piacere rivedere Beatrice. Con Michela Murgia e Tommaso Pincio ci siamo incontrati diverse volte, ho conosciuto anche Marco Peano, il cui libro mi è piaciuto molto, mentre Evelina Santangelo proviene addirittura dallo stesso paese di una parte della mia famiglia, nell’estrema Sicilia occidentale. Sono sicuro che sarà un’occasione bella per condividere un po’ di cose e confrontarci, cosa che capita di rado. Bisognerebbe ricostruire un discorso letterario comune, e avere più occasioni per discuterne insieme.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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