Distruzioni, vandalismi e altre bestialità contro l’arte. Non solo Anish Kapoor a Versailles

Anish Kapoor, installazione-scultura allestita alla Reggia di Versailles, 2015

Lasciandoci andare a una riflessione generale, dolente e impulsiva, che dall’Arte si estende al consesso nazionale e internazionale, sappiamo bene che essa, l’Arte, pur non trattando necessariamente, pedissequamente, didascalicamente della realtà, la racchiude in sé. Non contempla, però, la violenza, di cui è spesso o talvolta oggetto. A tal proposito, concordiamo con André Gide:

«L’arte comincia dalla resistenza: dalla resistenza vinta. Non esiste capolavoro umano che non sia stato ottenuto faticosamente.»

Un ennesimo atto di devastazione ai danni di un’opera d’arte si è palesato in questi giorni: riguarda, stavolta, l’enorme opera di Anish Kapoor allestita per essere temporanea alla Reggia di Versailles. È tunnel d’acciaio color ruggine, un antro sinuoso lungo circa 60 metri che si allarga alla fine – o all’inizio – in una sorta di imbocco di tromba. Il problema, per taluni, riguarda il carattere sessuale (ma anche originario, ovvero arcaico) delle opere di Kapoor; tanto è vero che la scultura-installazione è stata ribattezzata in modo volgare, irrisorio e semplicistico: “Vagina della Regina”. Ribatte l’artista britannico di origine indiana:

«Non ho mai parlato di  Regina, ma di Her, cioè Lei, per designare una forma vagamente femminile, stesa sul prato, come una sovrana egiziana o una sfinge.» (cit. su “Le Figaro”).

Vernice gialla l’ha imbrattata, e a tale vandalismo hanno fatto seguito una denuncia contro ignoti da parte dei responsabili della Reggia e un lesto restauro del ciclopico capolavoro.

Qualche tempo fa (ottobre 2014) sempre in Francia, a Parigi, fu vandalizzata l’opera pubblica in place Vendôme dell’artista americano Paul McCarthy. Tree, un totemico albero gonfiabile verde brillante, evidentemente irriverente e rivendicativo, data la sua forma simile anche a un gigantesco giocattolone sessuale. Può piacere o meno, personalmente  meno: lo giudico sin troppo scontato anche nella sua giocosità insolente e volutamente esplicita. Ma un tale attacco è inaccettabile. Reazionario. Come lo è quello contro Dirty Corner di Kapoor e Tree di McCarthy, come successe a Napoli in Piazza del Plebiscito (2002: i teschi di Rebecca Horn), diversamente come a Milano, rivolta a Senza titolo, 2004, l’installazione di Maurizio Cattelan sulla quercia centenaria di piazza XXIV maggio – i realistici bambini in vetroresina impiccati, che indignarono più delle vere violenze su infanzia e più deboli, tanto da essere deturpati da un solerte censore che volle tirarli giù: la nemesi si è compiuta e il poveretto cadde dall’albero, con conseguenti fratture multiple – e, ancora, come, nel 2014 è avvenuto contro l’incombente, aristocratica La Carbonaia di Jannis Kounellis in piazza del Ferrarese a Bari e lo street-corvo di Lucamalonte nell’ambito di Prato Contemporanea; e, più recentemente, come l’imbrattamento ingiurioso del murale di denuncia dei femminicidi a Via dei Reti al quartiere San Lorenzo a Roma, continuamente restaurato dai volontari della rigenerazione urbana e dei beni comuni RetakeRoma.

Si chiedeva già Daniel Buren (Can art get down from its pedestal and rise to street level?, in Contemporary sculp-ture. Projects in Münster 1997, ed. K. Bussmann, K. König, F. Matzner, 1997, catalogo della mostra, pp. 481-507):

«Può l’arte scendere dal piedistallo e risorgere a livello stradale?»

Può, dunque? Se ne assume il rischio sia se non lo fa, sia se lo fa, l’Arte, e lo sa (“qualunque cosa fai… ti tirano le pietre”: accogliamo come ideale colonna sonora, dalla voce di Antoine e Gian Pieretti, Pietre, 1967-68!): ma da qui ad accettare la sua contestazione in forma di distruzione, quindi di censura e punizione – come quella che i Nazisti rivolsero alla produzione bollata come Degenerate, con annessa mostra denigratoria allestita nel 1937 a Monaco (della cosiddetta Entartete Kunst, cui opposero la Grosse Deutsche Kunstausstellung / Grande Rassegna di Arte germanica – ce ne corre.

Azioni aggressive come quelle francesi, come a Napoli, a Bari, a Prato, a Milano etc.  non sono bravate ma superano il loro caratterizzarsi come ridicole e antistoriche per darsi come pericolose. Già, perché il sottotesto che ne possiamo rilevare è di intolleranza aggressiva. Da qui alla distruzione da parte dell’Isis delle statue (copie?) nel museo di Mosul, dell’area archeologica di Nimrud e Hatra e, mi si consenta la forzatura, all’eccidio nella Redazione di “Charlie hebdo”, il passo non è tanto lungo…

E’ la solita triste storia di ignoranza e disdegno nei confronti della Cultura, in questo caso dell’Arte, quando essa non risponda ai canoni che taluni pretendono essa dovrebbe mantenere. Ma, appunto, l’arte non “mantiene”, bensì è e guarda avanti, proponendo punti di vista sulla realtà – sia essa intangibile che più concreta – non omologati. Quindi problematici. Conseguentemente, il più delle volte, non uniformati al sentire generale ma, direi, generico.

«L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro.» (Vasilij Kandinskij).

Data per buona la citazione, a quanto pare, il prezzo che paga è sempre lo stesso…

Alla loro epoca, spesso anche un po’ dopo e per qualche altro secolo, Michelangelo scandalizzava per la sua veemenza anatomica, Leonardo altrettanto, per di più spaventando per i suoi studi che, invece, ci hanno consentito arte strepitosa e conoscenza inimmaginabile, ancora attuale e dirompente in questo secolo.

Che dire, poi, di Caravaggio, ritenuto scabroso e offensivo? Rappresentava, con la sua luce simbolica e il suo vero-più-vero-del-vero, piedi di Santi in primissimo piano, sporchi, e altri piedi, ma di un angelo, piantati saldamente per terra, prosaicamente; e una povera donna del popolo, forse prostituta, annegata nel Tevere eletta a modello per la Morte della Madonna: l’artista visualizzava in modo forte e chiaro che “Dio che si è fatto Uomo” ma tale chiarezza a quel tempo era, per stolti e bigotti, insostenibile…

In Francia, Delacroix passava per un gradevole invitato a corte, bello e dotto come era, ma anche per un rozzo pittore a causa delle sue pennellate sgarbate e per alcuni temi ritenuti indecenti, dunque non rappresentabili in un quadro; Le Radeau de la Méduse di Théodore Géricault (1818-19 oggi al Louvre di Parigi) fece sobbalzar sulla sedia tanto era drammatica e feroce, specialmente perché – non tutti ancora lo sanno – restituiva un fatto realmente accaduto, di spietatezza di classe, di negligenza del Comandante Hugues Duroy de Chaumareys e di ricaduta anche politica.

Pure i Realisti come Courbet e Millet – che elessero i lavoratori, gli umili a protagonisti della scena e del loro sovvertimento pittorico – furono osteggiati in ogni modo dall’establishment: la loro arte disturbava non solo esteticamente (siamo negli anni di sommosse e rivendicazioni sociali del ’48). Per tacer degli Impressionisti, poveri cristi in Francia, massacrati da critica benpensante e da una collettività non pronta alla loro rivelazione, quando ancora dominava una pittura diligente, liscia, ben definita, con tutti i particolari al loro posto, che riportavano il visibile migliorandolo, persino; il pubblico, come un orologio che ritarda rispetto al genio (Charles Baudelaire) non sapeva guardare – anche concretamente: non riusciva a mettere a  fuoco l’immagine dei quadri! – né apprezzare le innovazioni del proprio tempo, come lo erano la Fotografia, la Scienza, l’Ottica etc. che, invece, quei ragazzi bohémien resero principali nella loro pittura.

Ricordiamo anche i Cubisti, in Francia e altrove inizialmente detestati dal pubblico, impreparato alla loro rivelazione e potremmo proseguire pagine e schermate per ritrovarci sempre con annose rese dei conti che in qualche modo e misura sono specchio delle tensioni, incomprensioni e della barbarie a cui stiamo assistendo e nelle/per le quali nessuno può dirsi escluso. Esse, come neoalfabetismo anche morale, si pongono come conseguenza di pesanti mancanze di confronto costruttivo, di dialogo e di civile, amorevole interazione tra persone diverse, tra pensieri differenti, ideologie e culture difformi che sembrano sponde lontane, sempre più lontane, calcolando questa evidente non volontà o incapacità – non solo politica – di costruire ponti al posto di questi incivili muri e di orrende barricate.

“L’immaginazione al potere” è sempre più distopia?

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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