I Concerti nel parco. Ute Lemper e i Nove Segreti di Paulo Coelho

Nasce da una “follia” -come la chiama Ute Lemper stessa- il progetto di mettere in musica e in scena il testo di Paulo Coelho Il Manoscritto trovato ad Accra.

Un libro furbetto, come la maggior parte di quelli di Coelho, ma che ha emozionato la cantante e che, grazie a lei, è diventato qualcosa di altro. Forte, coinvolgente, sognante.

The 9secrets è il titolo dello spettacolo e questi segreti sono, in ordine sparso, bellezza, solitudine, cambiamento, successo, fuoco, sesso, il mondo e la virtù, amore, movimento.

Sono i nove segreti della felicità che Ute Lemper offre al suo pubblico.

È bella la sera di questa torrida giornata romana che inaugura la stagione dei Concerti nel parco, la 25esima che, grazie alle programmazioni illuminate e appassionate di Teresa Azzaro continua ad accompagnare le estati romane a dispetto di tutto.

La luce cala lentamente e si alza il ponentino, quel leggero vento marino che, da qualche anno, sommersi dall’afa, avevamo dimenticato. La platea si riempie, un musicista accorda pacatamente i suoi strumenti e crea un altro mistero: quale musica accompagnerà questi testi che la cantante ha scelto fra i nove capitoli del libro? La Lemper, infatti, in collaborazione con Coelho stesso, non solo si è occupata della musica e dei suoi arrangiamenti, ma ha anche costruito la drammaturgia dello spettacolo che racconta ciò che forse è accaduto nel 1099 a Gerusalemme, quando, mentre la città si preparava all’invasione dei crociati, un uomo greco, conosciuto come il Copto, invitava gli abitanti a rivolgere la loro attenzione agli insegnamenti che provengono dalla vita di tutti i giorni.

La prima cosa che colpisce l’orecchio e la fantasia è la struttura jazz che si mescola ai suoni etnici, mentre alcuni skyline vengono proiettati sullo sfondo regalando al palco profondità inaspettate. Sono deserti, rovine, ulivi antiche città  visibili e invisibili. Accra forse, Palestina, ricordi sacri. Questa cornice, ideata dal regista tedesco Volker Schlöndorff, proviene, infatti, da un un video girato tra le antiche rovine palestinesi.

“Senza la solitudine l’amore non dura a lungo,  perchè l’amore ha bisogno di silenzio per crescere” racconta uno dei segreti e gli fa eco un’altra rivelazione: “La bellezza è riposta nella sofferenza”.

Qui la musica diventa un vecchio valzer musette che riporta in una Parigi anni ‘30 con l’accordeon a dare atmosfera e tempi che, all’improvviso, di nuovo cambiano e si ritrovano in un ritmo sincopato.

“Perchè la natura è bellezza”.

E qui s’innesta una sonorità quasi da musical e ci si bea di questa sorta di excursus fra generi musicali di un passato recente, così fortemente moderni, mentre l’uso di lingue diverse (inglese, francese, spagnolo, tedesco…)  moltiplicano il medesimo  racconto che si frammenta in tanti racconti diversi a seconda dell’idioma in cui viene narrato.

Riecheggiano omaggi discreti ad Uma Sumac mentre Ute Lemper modella la voce imitando gli strumenti con i quali dialoga davvero e poi sembra divertirsi molto quando incomincia a parlare di changes, di cambiamenti e la musica si impossessa del significato regalando un accenno di danza che si dipana fra parole spagnole e inglesi.

“L’amore è la mia unica religione” afferma il Copto ed ora la storia s’affida ad un parlare arabo, così simile ad un cuscino di sogni musicali; canti del deserto e non solo si protraggono morbidi fino a quando giunge la lingua madre.

In tedesco ora il canto serpeggia su vecchie storie vissute in qualche Berlino dimenticata.

“Movimento. Non esiste nulla come la vittoria e non esiste nulla come la sconfitta. Nel ciclo della natura e della vita c’è movimento. Solo e sempre movimento. Quando il tuo cuore lo capisce, può essere libero”.

Ed improvvisamente mi trovo su un trapezio del Cirque du Soleil, senza motivo e senza rete.

La narrazione è musica e la musica è narrazione, ma c’è anche molta semplicità nell’avvicendarsi di questi concetti antichi e sacri. Ute Lemper racconta del vento che soffia e tutta la platea vola lontano in un afflato di nostalgia mentre di nuovo la lingua tedesca, destinata a non dimenticare, riporta gli spettatori in una Mitteleuropa non ancora sconvolta.

È un gran viaggio questo, che va oltre le rivelazioni del Copto e ci va soprattutto grazie  ai ritmi e agli stili musicali così diversi. E alle lingue mescolate e modellate.
Ecco,infatti, che improvvisamente s’affaccia un refolo di saudade che rotola fra le esse sibilate del portoghese.

“L’amore è il fine più importante. Il resto è silenzio.
È sempre l’ultima chiave del mazzo quella che dimentichi, quella che avevi quasi perso. Ed è anche quella che apre le porte all’amore”.

Cade la notte sullo sfondo stellato e la melodia si fa quasi una nenia.
Una nenia che costruisce ponti verso l’amore. L’unica religione.
Verso il nuovo giorno.
Verso un linguaggio universale.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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