Senza Nome di Wilkie Collins. Quando il lettore trova il suo personale punto di vista.

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Senza Nome di Wilkie Collins, Cover

“Truffatore non è niente di più di una parola di quattro sillabe (…). Definizione: un agricoltore morale, un uomo che coltiva il campo della simpatia umana. Io sono quell’agricoltore morale, quell’uomo che coltiva. La mediocrità della mente ristretta, invidiosa del successo della mia professione, mi chiama truffatore (…). Dipende interamente dal punto di vista. Adottando il suo punto di vista, mi presento chiaramente come un truffatore. Sta a lei rendermi il favore e adottare il mio.”.

Questa è la descrizione che il capitano Wragge, uno dei personaggi di Senza Nome di Wilkie Collins, dà della sua “professione”; e, secondo me, se si vuole trovare una chiave di lettura del romanzo, è questo che di deve tenere presente.

Perché aldilà della trama (Fateli ridere, fateli piangere, ma soprattutto teneteli in sospeso, diceva l’autore stesso – e qui ci riesce alla grande), quello che rimane di tutta la vicenda è una messa in discussione sia dell’amore familiare che anima la protagonista Magdalen (che per esso si dà ad azioni veramente turpi e sleali, e in piena coscienza della loro scorrettezza) sia della freddezza morale (mascherata da rispetto delle leggi) del contesto sociale che la circonda. Il fatto è che Magdalen, una volta ritrovatasi senza nome e senza amici (frase che torna spessissimo sulle labbra della ragazza), non solo prende coscienza della propria situazione con una freddezza  chirurgica e furente, ma poi agisce di conseguenza, abbandonando ogni remora assieme agli scarsi contatti sociali che le restano, superando ogni rimorso, ogni limite imposto da nobiltà d’animo ed educazione, come se, assieme al nome, fosse stata cancellata la sua stessa identità.

Mi viene da pensare che un romanzo del genere, all’epoca della prima pubblicazione, debba essere stato una bomba, soprattutto per un finale che sembra cerchiobottista, ma che, riflettendoci, è molto più ambiguo di quanto potrebbe sembrare a tutta prima: non riesco a non chiedermi che cosa possa seriamente pensare Magdalen di se stessa, di chi la circonda, della società e della vita in genere, a vicenda conclusa.

Perché, alla fine dei conti, tutti i personaggi hanno ragione (le loro ragioni), e tutti hanno esercitato un diritto che erano liberissimi di esercitare, hanno agito come era loro concesso agire, con il permesso della legge, della logica o dei sentimenti, istanze tutte nobilissime e tutte discutibili; e tutte, appunto, messe in discussione.

La strada per l’inferno è lastricata dalle buone intenzioni, dice l’adagio: e tutti i personaggi di Senza Nome si muovono spinti dalle motivazioni più nobili, o più giuste, o meramente legali; e nel migliore dei casi quel che riescono a fare è evitare di fare danni (come Norah, che accetta triste, buona e tranquilla la sua disgrazia e che alla fine viene premiata), mentre il superamento della crisi è dato puramente dal caso, ovvero dalla penna perfettamente oliata dell’autore.

Insomma, aldilà del feuilleton appassionante, Senza Nome è un romanzo che davvero resta, che pone interrogativi estremamente moderni (o eterni?) e che, soprattutto, ha il merito di spingere il lettore a costruirsi un punto di vista veramente suo, non solo su quello che legge, ma soprattutto su quello che lo circonda.

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Sono toscana, ed ho sempre letto molto da quando ho imparato a farlo, ovvero a quattro anni. Oltre alla lettura ho una passione per gli sport da combattimento e le arti marziali, per il cinema e la birra.
L'indirizzo del mio blog è www.winteraubergine.it.
Il mio nick è, ovviamente, Winter Aubergine.

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