Jimmie Durham, l’americano cherokee che ama e svela Venezia tra realtà e stereotipo turistico

Jimmie Durham, fotoritratto dal video Reads his Poetry, by Jesse Watt, 2012

C’è una profonda differenza tra il turista e il viaggiatore perché il primo tende, in massima parte, a portare consumo – secondo le valutazioni di Tiziano Terzani – e ha a suo modo una predisposizione predatoria. Per questo, personalmente, prediligo i termini esploratore, globe-trotter, viaggiatore – appunto – che incarnano un’attitudine al pellegrinaggio – anche doviziosamente preparato, ovviamente –  di chi si cala “il più possibile nella realtà” che incontra o sceglie di conoscere meglio, lasciandosi “guidare dalla curiosità” per “seguire un filo” (cit. www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/tiziano_terzani_il_turista_e_il_viaggiatore1).

L’americano Jimmie Durham (Washington, Arkansas, 1940; vive a Berlino e Napoli) affronta da par suo tale ampio tema nella sua mostra Venice: Objects, Work and Tourism non a caso allestita a Venezia (Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org/ita/home_page.php ).

Durham è artista completo, come ogni artista che si rispetti: è anche  saggista, poeta e attivista politico impegnato nelle questioni legate ai nativi americani, anche forte delle sue origini cherokee. Negli anni ’70 è nell’American Indian Movemen, è fondatore dell’International Indian Treaty Council e rappresentante presso le Nazioni Unite. Questo suo coinvolgimento e tale attenzione profonda hanno pertanto sostanziato il suo lavoro, che forza coscientemente la descrizione comune – impostata spesso ad hoc da  certi poteri – dell’identità nazionale; come? Smantellando pezzetto per pezzetto i cliché, i pregiudizi su cui si fonda la cultura occidentale: anche sfidano l’idea di architettura e  monumentalità con la loro caratteristica perentoria, verticistica…

Tra i citati stereotipi e preconcetti si annoverano quelli su determinate città da grandi numeri e – appunto – del turismo. Spesso di massa, mordi-e-fuggi, pieno delle orrende navi-crociera che invadono la laguna, attentano al silenzio delle calli, sfiorano case e palazzi storici, creano muri insormontabili che appestano l’aria e oscurano il sole e la visione del mare…: per pura speculazione, per compiacere la lobby industriale di turno o nel timore – questa è una delle (pretestuose?) scusanti istituzionali – di perdere economia che le compagnie di navigazione portano a Venezia, visitatori in più compresi. Che dire? Che dice Durham? Analizza con le sue opere il rapporto tra la città dei canali, di Palladio, del colorismo dei pittori veneti e l’attenzione turistica ma anche culturale, l’immaginario collettivo e il lavoro che spesso non si vede ma c’è (quando c’è)…

“È come se Venezia simboleggiasse qualcosa di importante che ha a che fare con la bella vita. Da trecento anni questo porto italiano è un indiscusso polo di attrazione (…)”; ma “l’aumento costante del flusso dei turisti sta distruggendo Venezia” e passano gli anni e tale rammarico “non perde il suo accento di verità malgrado i turisti siano anche uno dei principali motori per l’economia cittadina.” Ciò detto, pensa Durham, “curatori, architetti, registi e artisti vanno in pellegrinaggio a vedere le Biennali. Questo significa che il pensiero intellettuale europeo non può  essere separato dal turismo europeo, né dall’oggetto creato dall’uomo. (…);  turisti e intellettuali europei condividono, di Venezia, una visione romantica che cancella la realtà viva dei lavoratori veneziani, i quali ricreano in continuazione la città, le impediscono di andare in rovina, le ridanno forma sotto gli occhi di tutti.”

L’inizio di tale riflessione trova corpo quattro anni fa, quando l’artista fu invitato proprio dalla Fondazione Querini Stampalia a lavorare a un progetto su Venezia che iniziò trattando dei lavoratori veneziani: carpentieri, maestri vetrai, battiloro o intagliatori e camerieri, ristoratori e amministrativi. Egli parlò con ognuno di loro e raccolse le loro storie, spesso di immigrazione, talvolta clandestina o al nero, e per ciò elemento invisibile pur essenziale  produttivo locale. Questo rendiconto torna, consapevolmente strutturato e, ovviamente, con un  linguaggio visivo,  per questa 56esima Biennale  in cui  Durham ha presentato la complessa installazione  Venice: Objects, Work and Tourism fatta di tanti oggetti nuovi, assemblaggi, risultato di combinazioni inattese; scarti, reperti del quotidiano, lacerti pieni di una propria storia caricata, grazie all’arte, di un punto di vista diverso, di riflessioni alternative. Mai assertive, anzi, propense all’accoglimento, all’ascolto (così in un’intervista ad Hans- Ulrich Obrist, 2015). Ecco, così, “pezzi di vetro raccolti nel corso di anni accanto a vernici dalle tinte vivaci, mattoni veneziani vecchi di trecento anni accanto a elementi tratti dall’industria turistica” e dell’abituale commercio locale. Il risultato rifugge la monumentalità per farsi, invece, un possibile tramite per il dialogo che sappia evidenziare “la complessa mescolanza” di concetti quali il turismo – nella sua versione di risorsa ma anche di superficie e di luogo comune –, l’immaginario sociale di Venezia – come ogni immaginario, un po’ rispondente alla realtà e molto all’idea, alla percezione: nel bene e nel male – e, soprattutto, l’oggetto artigianale e il lavoro. Già, il lavoro, perché Durham non perde mai di vista l’uomo, la sua fatica, l’operosità singola e collettiva, l’impegno e le contraddizioni (lo sfruttamento, per esempio: di territori e persone) laddove si nascondessero: “Venezia è l’incarnazione di questa confluenza: un luogo in cui l’oggetto diventa la pietra angolare della vita culturale e intellettuale e luogo dove questo simbolo apparentemente statico della cultura e dell’intellettualità viene continuamente modellato e perfezionato attraverso la manipolazione e il lavoro di tutti i giorni.”

Info mostra

  • Jimmie Durham. Venice: Objects, Work and Tourism
  • Un progetto a cura di Chiara Bertola e nato dalla collaborazione tra Fondazione Querini Stampalia, Venezia, e Kurimanzutto, Città del Messico Messico e con il sostegno di Fondazione FURLA, Bologna; Dena Foundation, Parigi; ZERYNTHIA Associazione per l’Arte Contemporanea, Roma.
  • La mostra è accompagnata da un libro d’artista concepito come parte integrante di un unico progetto. Durham ha composto questo libro con testi e immagini – oggetti che ha raccolto, immagini di persone e scene veneziane – e vi ha racchiuso la sua analisi dei legami tra il settore turistico, le storie dei lavoratori veneziani e la storia della città.
  • Fondazione Querini Stampalia, Venezia – Area Carlo Scarpa e Museo
    Santa Maria Formosa -Castello 5252, 30122 Venice Tel. + 39 041 2711411
    Fax. + 39 041 2711445 www.querinistampalia.org
  • Ufficio stampa: Lara Facco T. +39 02 36565133 / M. +39 349 2529989 / press@larafacco.com; per la Fondazione Querini Stampalia: Sara Bossi, T. +39 041 2711411 / M. +39 339 8046499 / s.bossi@querinistampalia.org
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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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