Sangue del mio sangue. Saggio autoriale dal Laboratorio Fare Cinema di Bellocchio a Bobbio

Locandina
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Bobbio è il paese di nascita di Marco Bellocchio. Là sono le sue radici, la sua famiglia, i suoi antenati. E’ la sua terra fatta di albe e di tramonti, di storie. Vi ambientò il suo primo film I pugni in tasca (1965)  Vi è tornato come cittadino illustre, ha portato la sua esperienza, ha messo a disposizione la sua arte ed i suoi mezzi per un miglioramento culturale ed economico della sua Storia. Da diversi anni il suo Laboratorio fare cinema tiene corsi estivi di cinema con un rinomato cineforum Bobbio film festival, nel chiostro dell’Abbazia di san Colombano. Produce corti, documentari e film. Il film Sorelle Mai del 2014 è la summa dei saggi dei corsi del 1999, 2004, 2005, storia di una famiglia locale, girato con i suoi familiari (Elena, Maria Luisa, Letizia e Pier Giorgio Bellocchio), con alcuni amici, studenti ed attori del Laboratorio nei luoghi di Bobbio.

Questa premessa per dire che anche Sangue del mio sangue riguarda Bobbio e la sua Storia. Una storia che parte dalle prigioni che fanno parte del famoso monastero, e che gli hanno fatto pensare qualche anno fa, alla Monaca di Monza ed alla sua fine sotto l’Inquisizione: torturata e murata viva. Per il presente, pieno di malaffare, ha pensato all’Ispettore Generale di Gogol, con un finale con blitz reale della Finanza. Poi c’è Dracula, non quello transilvanico ma italico, che sta succhiando la nostra linfa vitale, il nostro futuro.

Nel 1988 Bellocchio aveva diretto La visione del sabba, in cui uno psichiatra si innamora di una strega che sostiene di essere nata nel 1630. In Sangue del mio sangue è suor Benedetta, fatta monaca a forza nel ‘600, che corrompe il suo confessore, e poi anche il fratello gemello, uomo d’arme, disposto poi a farsi monsignore. Tutto condito di torture fisiche e mentali da parte della Inquisizione per far confessare la suora di aver avuto rapporti con il diavolo e così poter ricomporre in luogo consacrato il confessore che, per vergogna si è annegato nel Trebbia (come un personaggio delle Sorelle Mai).

Il film, al di là della citata complessa sua genesi, è girato benissimo dal maestro Bellocchio. Ma con tutti questi rimandi ai suoi vecchi progetti e realizzazioni manca di organicità, diventa una realizzazione confusa e trasparente, dove non si crea la compenetrazione tra spazio e tempo, passato e presente, immagini e contenuti, forme ed idee messe insieme. Con l’intento non riuscito di fare un discorso sul potere, sia quello ecclesiastico del ‘600, sia quello ancora di matrice democristiana, che vira alla corruttela, del 2000.

Superficiale nella lunga serie di disquisizioni da talk show tra i bravi Roberto Herlitzka (il vampiro) e Toni Bertarelli (il dentista) sullo stato dell’arte in Italia, entrambi membri di un vecchio comitato cittadino (massonico), che regola la vita di Bobbio, con la paura dell’imminente arrivo dell’imbroglio globalizzato. Con l’aggiunta di spruzzate di sensualità, ferocemente represse (ma anche giustificate) nel 1600, e gioiosamente libere oggi nelle movide notturne. Due giovani bellezze nel tempo e due vecchi cadaveri inorriditi. Perché?!

Due film in uno, anche se ambientati nello stesso convento –carcere (Bobbio) e con alcuni attori in due vesti contrapposte, come ad esempio Pier Giorgio Bellocchio, figlio del regista, nel ruolo onesto e duro dell’uomo d’armi e del corruttibile imbroglione affarista. E se la prima parte rimane più tesa, corposa e consistente anche nei suoi spostamenti fantastici (la suora murata viva ne esce dopo anni più bella che prima), la seconda parte o storia fa solo il  verso cinico a quello che ci raccontano tutti gli altri registi su questo sfascio irreversibile dei costumi di una vita pubblica e privata (burocrazia, beni pubblici, feste astruse ed amori fugaci) ormai troppo noti.

Alla fine quello che rimane sono i luoghi di quella terra (il fiume, il convento, il ponte gobbo, il paese) che il regista conosce ormai visceralmente dopo averli visti e rivisti in una vita intera, così pieni di misteri, sfumature, bellezza. Sangue del suo sangue.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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